Mercati: nel 2025 saranno volatili e altalenanti


Nel 2025 l’aspettativa è quella di mercati un po’ meno ‘rampanti’ e più volatili, anche se, “con performance sempre positive, ma meno pronunciate e soprattutto meno lineari rispetto ai rally del 2024”, commenta Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte. “Cambierà la narrativa” si legge in un rapporto di Morgan Stanley, perchè a partire dal 20 gennaio arriverà Donald Trump e sarà un punto interrogativo come il nuovo presidente implementerà le sue politiche, specie quelle sui dazi, e poi perché ormai è chiaro che l’allentamento monetario della Fed nel 2025 rallenterà e bisognerà capire quanto sarà lunga la pausa che si prenderà sui tagli dei tassi”.
“La nostra previsione – spiega Vincenzo Bova, strategist di Mps – è che a cavallo tra primo e secondo semestre e cioè nella prossima primavera ci possa essere una fase di disillusione dei mercati azionari che potrebbe provocare una correzione intorno al 10%. Sul fronte obbligazionario ci aspettiamo un picco dei rendimenti tra gennaio e marzo, che dovrebbe mantenere gli attuali livelli elevati, cioè intorno al 4,6% per il decennale, e poi una discesa”. Per quanto invece riguarda i tassi Fed “prevediamo che i 2 tagli previsti dalla Federal Reserve a dicembre siano plausibili, il problema è se l’istituto li farà subito e o se aspetterà l’estate. Al riguardo va detto che più la Fed starà ferma e quindi più la sua pausa sarà lunga, più il mercato ipotizzerà uno scenario in cui la banca centrale non li taglierà per niente nel 2025, una prospettiva decisamente sgradita per Wall Street”. “Complessivamente – sintetizza Cesarano – alla fine sarà un anno mediamente positivo per i mercati, anche perchè nel sistema finanziario c’è ancora tantissima liquidità in circolazione, ma dietro l’angolo c’è anche il timore che ritorni l’inflazione, soprattutto per le manovre espansive di Trump”. Di qui la prudenza di Powell e della Fed, la quale a dicembre ha cancellato gran parte dei tagli attesi per il 2025. Ora se ne prevede uno a maggio-giugno e un altro nel corso dell’anno, ma solo con un 40% di probabilità che venga deciso, per cui di fatto i mercati non si aspettano più di un taglio e mezzo l’anno prossimo, molti meno dei 6-7 che prezzavano l’anno scorso per il 2025. Per la Bce invece la situazione è molto diversa, sia perché l’economia europea è molto più zoppicante di quella americana, sia perché l’inflazione dovrebbe attestarsi intorno al 2% a fine anno. Per cui a Francoforte di tagli nel 2015 se ne aspettano almeno 4. E questo significa che a fine 2025 i tassi europei scenderanno, forse già a metà anno, intorno al 2%, contro il 4% di quelli Usa, diventando quindi il doppio più alti di quelli del Vecchio Continente. Inoltre il tasso di cambio dell’euro chiuderà debole il 2024 a 1,04 sul dollaro e rischierà di tornare sulla parità col biglietto verde. “Non è un caso – nota Cesarano – che oggi, come nel 2016 quando s’insediò Trump la prima volta, c’è lo stesso timore che il nuovo presidente con le sue politiche possa generare da entrambe le sponde dell’Atlantico, sebbene per motivi diversi, un rigurgito inflattivo, aumentando la volatilità delle Borse e rafforzando il dollaro”. “Anche se alla fine – suggerisce Cesarano – penso che tutto si risolverà bene e che le Borse e i tassi obbligazionari si calmeranno, ma non senza difficoltà e dopo molti alti e bassi”.
Un discorso a parte va tuttavia fatto in prospettiva per l’Europa, che al momento zoppica, ma che potrebbe risollevarsi l’anno prossimo, se dovesse maturare la possibilità di una tregua in Ucraina e a seconda di quello che succederà in Germania dopo il 23 febbraio. Cesarano, infatti, non esclude che una ‘svolta’ possa esserci “dopo il voto anticipato di febbraio in Germania”. “Dopo le elezioni – spiega l’analista – Berlino potrebbe prendere posizione e imprimere un cambio di passo sul fondo per la spesa della difesa da almeno 500 miliardi di euro, citato il mese scorso dal Financial Times, il quale potrebbe diventare un volano per gli investimenti nel Vecchio Continente”. Si tratta infatti di un fondo a partecipazione volontaria, aperta agli Stati non Ue, come Regno Unito e Norvegia e strutturato con garanzie nazionali dei paesi partecipanti anziché dall’Ue nel suo complesso. Anche Morgan Stanley nel suo rapporto sulle prospettive del prossimo anno ha un occhio di riguardo per il Vecchio Continente: “Crediamo che il 2025 sarà l’anno degli investimenti in conto capitale da parte dei governi e delle imprese europee… Questo è un tema chiave nella nostra prospettiva. In Europa, anche se la manifattura tradizionale ha rallentato, le aziende industriali innovative e redditizie sono ben posizionate per beneficiare dell’aumento degli investimenti in capitale in quattro aree chiave: l’AI, l’aerospaziale, le infrastrutture e la difesa. “E’ un momento importante – spiega Cesarano – quello del post-elezioni in Germania. Da lì in poi bisognerà capire la Germania cosa intenderà fare, specie sul fondo per la difesa da almeno 500 miliardi di euro, quello di cui ha parlato il Financial Times. Si dovrà capire se quel fondo verrà creato, in che modo, con che velocità. In pratica la Germania avrà il potere dopo quelle elezioni di imprimere un cambio di passo e di direzione a tutta l’Europa, che in questo momento soffre di una crisi di identità politica un po’ ovunque e che comunque per fare investimenti avrà bisogno di tassi più bassi rispetto agli Usa, la cui economia sta meglio in salute. Io credo che nel corso del 2025 si comincerà almeno a disegnare questo piano di investimenti sulla difesa Ue, il che significa anche che la Germania è pronta a spendere di più, a indebitarsi di più, cambiando rotta. E questo significa che, dal secondo trimestre in poi, se questi investimenti ripartiranno, l’azionario europeo potrebbe tornare a crescere, grazie a un impulso che comunque dovrebbe partire dalla Germania”. “Al momento – aggiunge l’analista – il tema trainante è quello della tecnologia che vede di fatto gli Usa leader indiscussi sui mercati azionari. L’Europa praticamente non ha un suo tecnologico forte. Ma credo che questi investimenti nella difesa possano dare un forte impulso e creare un indotto allargato, anche se partiranno solo dal secondo semestre, non prima, in base ai tempi richiesti per l’insediamento del nuovo governo tedesco e per il successivo varo del possibile fondo per la difesa”. E i Paesi europei per fare investimenti hanno bisogno di tassi più bassi rispetto agli Usa, la cui economia sta meglio in salute. Io credo che nel corso del 2025 si comincerà almeno a disegnare un piano di investimenti sulla difesa Ue, il che significa anche che la Germania è pronta a spendere di più, a indebitarsi di più, cambiando rotta. E questo significa che, dal secondo trimestre in poi, se questi investimenti ripartiranno, l’azionario europeo potrebbe tornare a crescere, grazie a un impulso che comunque dovrebbe partire dalla Germania”.(AGI)
RMS/PIT