MARIA OCCHIPINTI, LA RESISTENZA E I “NON SI PARTE!”


Di Ettore Minniti

Quello che i libri di storia non ti diranno mai! Quando si parla di Repubblica di Comiso ci si riferisce a un breve periodo tra il 1944 e il 1945, in cui una rivolta popolare a Comiso fece scatenare una vera e propria lotta contro le autorità. A quel tempo la Sicilia era da poco stata liberata dagli alleati, ma il morale dei siciliani non erano certo dei più rosei, in quanto i drammi della guerra erano ben visibili sia tra le strade, con numerosi edifici distrutti dai bombardati, che nel numero delle vittime di guerra. Tra i siciliani risuonava continuamente un obiettivo comune, ovvero l’indipendenza della Sicilia, magari trovando aiuto proprio negli americani, dove nei decenni precedenti molti siciliani erano emigrati in cerca di migliori fortune. La rivolta siciliana più popolare avvenne proprio nel territorio ibleo, dove il 6 gennaio 1945 venne proclamata la Repubblica di Comiso (fonte Sicilyintour).

 

Gli americani avevano sostituito i tedeschi ma il rapporto non era cambiato. La miseria e la fame erano in ogni porta, in ogni casa. Il grano prodotto non bastava a sfamarli. Era già triste e difficile vivere così, al limite della sopportazione umana. I giovani dovevano ripartire nuovamente per il fronte: erano stati richiamati alle armi, per servire la Patria e combattere, come nemici, formazioni militari appartenenti a una nazione con la quale sino a pochi giorni prima si era stipulata un’alleanza e un ‘Patto d’Acciaio’. Molti di loro erano appena tornati e non avevano fatto in tempo a deporre l’uniforme nell’armadio: dovevano ripartire, volenti o nolenti, se non volevano essere dichiarati disertori e subirne le conseguenze.

Le cartoline color rosa erano state fatte recapitare a color che, dovendo nuovamente servire la Patria, dovevano portare con sé: “… una coperta, un tegame, un cucchiaio, una forchetta!”.

Un funesto richiamo alle armi:

«Il Ministero della Guerra ha ordinato il censimento dei militari appartenenti alle classi 1914, 1915, 1916, 1917, 1918, 1919, 1920, 1921, 1922, 1923, e del 1° quadrimestre 1924 (nati dal 1 gennaio al 30 aprile) in atto in Sicilia. E’ fatto obbligo di presentarsi a tutti i militari di qualunque grado, arma e servizio del Regio Esercito, comunque in atto nel territorio della Provincia di Ragusa, in qualsiasi posizione essi si trovino (congedo illimitato, congedo provvisorio, riformati, licenze rinnovabili, licenze di convalescenza, prigionieri liberi sulla parola, sbandati, ecc.). La Commissione preposta al censimento funzionerà nei locali di ciascun Comune dalle ore sette alle ore sedici dei giorni che saranno comunicati dal Comune con apposito banditore ed avviso».

L’obbligo di leva era interpretato come un nuovo sopruso che privava nuovamente le famiglie dei propri cari e la terra di braccia giovani e forti. Si sentiva dire in giro che potevano essere inviati addirittura a combattere in Estremo Oriente per sostenere gli interessi anglo-americani.

“Mario, hai sentito cosa sta succedendo in Sicilia?” .

“Ma chi si credono di essere quei ‘signori’ lassù? Non siamo carne da macello!”, rispose Mario, giovane coetaneo di Pinò, “La prima mobilitazione contro l’arruolamento obbligatorio si è già avuta ad Enna lo scorso 11 dicembre, ci si sta già organizzando a Palermo, Messina e nei comuni delle province di Agrigento, Caltanissetta, Ragusa, Siracusa e Trapani! E noi cosa vogliamo fare?”.

“Ho sentito gli amici di Catania”, disse don Peppe, “giorno 14 dicembre, i militari hanno aperto il fuoco contro un gruppo di studenti che stava manifestando, uccidendone uno. La reazione della popolazione e degli studenti è stata immediata. Sono insorti ed hanno appiccato il fuoco al Municipio e assaltato gli edifici pubblici. Se si continua così, prima o poi, le autorità interverranno con fermezza e sarà una carneficina!”.

“Pinò, amico mio, la rivolta non può arrestarsi, anzi bisogna inasprirla. I militari hanno già ucciso un giovane militante comunista a Catania e un giovane sacrestano, anch’egli aggregatosi con i rivoltosi. Una coraggiosa donna di Ragusa, incinta di cinque mesi, si è messa davanti ad un camion per impedire la coscrizione di alcuni giovani!”.

“Non possiamo opporci al potere. Ci arresteranno tutti quanti!”, osservò don Peppe.

“Non si parte! Faremo insorgere tutta la città. Tutte le mamme, i vecchi, i bambini, i lavoratori, ma non lasceremo la nostra terra. Ti ricordi di Giovanni, Luigi, Salvatore, Rocco, Giuseppe? Sono morti della quale, oggi, alla luce di quanto è avvenuto, ne avrebbero fatto a meno!”.

“Sono tutti in piazza, centinaia e centinaia di persone. Sono davanti al Municipio. Stanno gridando: ‘Non si parte!’”. Presentarsi significa servire i Savoia”.

Uscirono di corsa, verso la sperata libertà. Quello che poteva essere un’opinione o un pensiero, come se trasmesso con un tam – tam silenzioso, fece il giro della città. Tutti i giovani, e non solo loro, si ritrovarono in piazza, in una manifestazione spontanea, amichevole, fraterna, con lo slogan, prima sussurrato, poi scandito piano piano, poi gridato: “Non si parte!”. E tutti a gridarlo sempre più forte. Non era una ribellione contro l’ordine costituito, era solo un grido disperato di pace. Ancora una volta, dal nuovo governo, dagli stessi Alleati, la Sicilia era stata considerata facile terra di conquista. Dopo i Vespri siciliani stava nascendo una nuova consapevolezza nella gente, nei giovani e in particolare negli studenti, che, scesi per la strada, gridavano il loro grido di pace tra i popoli”.

(liberamente tratto dal romanzo “Il colletto rivoltato” di Ettore Minniti)

In quei giorni a Ragusa la “pasionaria” Maria Occhipinti si schierò apertamente, rischiando la vita, contro la chiamata alle armi.
Una donna vulcanica, leader del movimento antimilitarista “Non si parte” che prese vita il 4 gennaio del 1945 a Ragusa tra corso Vittorio Veneto e via IV novembre.

Maria, ventitreenne sposata e incita di cinque mesi si stese a terra davanti alle ruote di un camion militare opponendosi alla nuova leva di giovani siciliani chiamati a contrastare, a fianco degli Alleati, l’avanzata dei nazisti al Centro  –  Nord. Per questa plateale protesta sarà incarcerata, poi confinata a Ustica e schedata a vita dalla polizia italiana come sovversiva. Da questo suo gesto che anticipa di quasi cinquant’anni piazza Tienanmen.

Maria Occhipinti” una figura simbolo del riscatto sociale e del processo di emancipazione femminile in Italia negli ultimi sessant’anni. Scavando a fondo nell’intimità e nella forza di Maria e del prezzo elevato che è costata la sua “libertà”.


Lei, comunista convinta che si batteva per i diritti delle donne ragusane arriva alla rottura con il partito perché, il Pci aveva bollato i moti del “Non si parte” come azioni dettate da gruppi fascisti e separatisti. Così quando tornò a Ragusa a venticinque anni, dopo il periodo di confino a Ustica e il carcere dalle suore benedettine di Palermo, trovò il marito che si era rifatto una nuova vita con un’altra donna, e la sua famiglia e la città che le voltarono le spalle perché considerata troppo lontana dai dogmi della figura femminile subordinata all’uomo. Solo gli anarchici le aprirono le porte e la elevarono a eroina dei moti del ’45. Disprezzata da tutti, prese la sua bambina e partì via.

(fonte Repubblica.it)