MALATESTA (de Malatestis), Laura detta Parisina


 

 

Figlia di Andrea detto Malatesta, signore di Cesena, e della seconda consorte di questo, Lucrezia di Francesco Ordelaffi, nacque a Cesena tra il settembre e l’ottobre del 1404.

Alla bambina fu imposto il nome di Laura, ma fin dalla fanciullezza i parenti e gli intimi le assegnarono quel nomignolo che poi definitivamente la distinse in famiglia, la indicò nelle carte di corte, la cantò sulle pagine dei poeti e la rese nota ai posteri: Parisina, ovvero “la Parigina”, come a dire “la raffinata” per eccellenza, colei che ha grazia naturale e naturale eleganza di portamento, di gusto e di stile.

La sua esistenza fu presto segnata da congiure familiari e morti violente: la prima vittima fu sua madre, che il 19 ott. 1404, appena qualche settimana dopo averla data alla luce, fu uccisa a Forlì con una pozione di veleno perché complice del marito nel tentativo di spodestare gli Ordelaffi e dare Forlì ai Malatesta.

Successivamente, a causa di alcuni lutti che tra il 1412 e il 1416 decimarono la corte cesenate e, soprattutto, in seguito alla morte improvvisa del padre, avvenuta il 20 sett. 1416, fu mandata a Rimini presso lo zio Carlo Malatesta, dove crebbe sotto la materna sorveglianza della moglie di questo, Elisabetta Gonzaga.

Dalla fervida ammirazione che la M. avrebbe suscitato alla corte ferrarese si può dedurre che a Rimini la sua educazione fu curata con zelo, che non le mancarono buoni maestri di latino e di francese, di eloquio e di conversazione, di letteratura e di galateo, e che fu attentamente avviata ai cortesi passatempi tipici dell’epoca: la lettura dei romanzi bretoni (in particolare del Roman de Tristan), l’equitazione, la caccia, la falconeria, le sonate per arpa, i complicati solitari di carte e di tarocchi, la committenza di piccole opere d’arte, che a Ferrara sarebbero diventate affreschi, oreficerie e miniature.

Le prime trattative tra i Malatesta e gli Estensi per il matrimonio della M. avvennero su consiglio della diplomazia veneziana, la quale auspicava un consolidamento dell’alleanza politica tra Rimini e Ferrara. Inoltre, i precedenti e proficui sponsali tra membri delle due casate esortavano a queste nuove nozze, e così il fidanzamento della M., tredicenne, con il trentaquattrenne marchese Niccolò (III) d’Este, marchese pingue, sensuale e saggio, con eccellenti doti di mediatore internazionale e vedovo della prima moglie, Gigliola di Francesco Novello da Carrara, che non gli aveva dato eredi, fu affare concluso in fretta: il 27 febbr. 1418 furono siglati i patti nuziali. Alcuni storici ritengono sia quella la data delle nozze, che invece furono celebrate intorno alla metà di aprile del 1418 a Ravenna, presso la corte dei signori da Polenta, dove la M. era in visita a una sorella e dove Niccolò d’Este l’aveva raggiunta per condurla entro i confini del suo Stato.

La capitale, Ferrara, era una città pacifica e in crescita, ma vi infierivano spaventose recidive di peste che avevano fiaccato larga parte della popolazione; così per l’ingresso della M. si evitò prudentemente ogni sorta di festeggiamento pubblico che potesse riaccendere il contagio. Nella residenza estense la sposa non trovò un’accoglienza migliore: vi abitavano parecchi dei numerosi figli illegittimi che il marchese aveva avuto da varie donne, in particolare vivevano con lui Ugo, Leonello e Borso d’Este, i tre figli naturali ma prontamente legittimati nati dalla sua favorita, Stella dei Tolomei, che prese con malcelato dispetto l’arrivo di una signora in regola, magari capace di dare eredi legittimi alla dinastia.

La M. si impegnò subito, come testimoniano con vitale concretezza i documenti, nel ruolo che fu storicamente suo di accorta, solerte e infaticabile reggitrice della casa e della famiglia. Pur viaggiando molto anche al di fuori dello Stato estense e spesso soggiornando nelle ville campestri di Belfiore, Porto, Fossadalbero, Consandolo e Quartesana, stabilì le sue stanze private nell’antico palazzo marchionale, precisamente nell’appartamento “per signore” situato al primo piano della torre di Rigobello, un alloggio spazioso e comodo, decorato con motivi araldici e fornito di uno studiolo per ritirarsi a leggere e a suonare l’arpa.

Insieme con lei vivevano le dodici fanciulle che formavano la sua ristretta corte personale e i suoi bambini, due gemelle, Ginevra e Lucia, nate il 25 marzo 1419 e destinate a un avvenire poco fortunato, e il maschio, Alberto Carlo, nato il 24 maggio 1421, l’erede tanto sospirato ma gracile e malaticcio, che infatti morì nell’estate seguente, persuadendo Niccolò d’Este a favorire al massimo le sorti degli altri suoi maschi, benché naturali. Tra questi eccelleva Ugo, il principe già designato a reggere la signoria dopo il padre. Primogenito e amatissimo, pare che egli da principio covasse qualche astio verso la M., probabilmente fomentato dalla madre ma presto superato, grazie all’amabilità della M. e all’intervento del marchese che, proprio per porre fine a quegli assurdi rancori, volle che il ragazzo scortasse la M. a Ravenna per una villeggiatura presso i da Polenta e là rimanesse con lei per un mese. Era il maggio 1424. Tra i due giovani, entrambi alla soglia dei vent’anni, sbocciò allora quell’incauta passione che li avrebbe condotti al patibolo: essi riuscirono a prolungare la loro relazione ben oltre i giorni ravennati; per un anno si incontrarono, sia a Ferrara sia nelle ville di campagna, senza destare rischiosi sospetti, e solo la delazione di una donzella portò alla conoscenza stupefatta di Niccolò d’Este la relazione tra sua moglie e Ugo. Furente e ferito, egli si appostò con un testimone al piano sopra la camera della M. e lì poté vedere confermata attraverso un foro aperto nell’impiantito l’esattezza della denuncia. L’arresto dei due avvenne nella notte tra il 20 e il 21 maggio 1425. Furono segregati nei sotterranei della torre Marchesana del castello di Ferrara in due celle distinte per essere lì giustiziati senza processo, ma con un formale verdetto del podestà. A nulla valsero il pentimento di Ugo, l’incolparsi sincero della M., le suppliche rivolte al signore da Uguccione Contrari e Alberto dal Sale, suoi ministri e amici, affinché egli mutasse la pena da capitale in esemplare. I due amanti furono decapitati la notte del 21 maggio 1425 insieme con il loro ruffiano, Aldobrandino Rangoni, e quindi frettolosamente seppelliti all’alba del 22 nel giardino della chiesa ferrarese di S. Francesco, in prossimità del campanile. Anni dopo, alla figura della M. toccò l’epiteto di “Fedra di Ferrara”.

La traccia documentaria degli spostamenti e dei viaggi della M., reperibile presso l’Archivio di Stato di Modena, è l’unica fonte superstite, alla quale gli storici e i biografi della M. hanno attinto nella speranza di trovare qualche fondato indizio della sua storia d’amore, dal momento che lo scarno resoconto dei fatti tramandato dalle cronache coeve, o appena posteriori, riguarda soltanto l’esecuzione capitale dei due, mentre l’intera messe delle carte riguardanti la M. per il maggio 1424 – maggio 1425 è stata completamente eliminata da una mirata operazione di damnatio memoriae voluta con ogni probabilità dallo stesso Niccolò d’Este. Da alcune testimonianze coeve agli eventi si apprende, peraltro, che nei giorni successivi all’esecuzione il marchese di Ferrara inviò alle Cancellerie delle principali signorie d’Italia un dispaccio nel quale rendeva conto di quanto accaduto e delle conseguenti sentenze giudiziarie, e tuttavia presso nessun archivio si è mai rintracciato un simile documento.

Non risultano ritratti coevi e certi della M., né il suo profilo riprodotto su medaglia, un manufatto molto amato dagli Estensi e tipico della civiltà alle soglie del Rinascimento. Verosimilmente, la rimozione della M. e della sua vicenda coinvolse anche eventuali opere d’arte che la ritraevano. Un ritrattino della M., immaginario e più tardo (1474), compare alla c. 6 del frammento romano della Genealogia dei principi d’Este, manoscritto membranaceo conservato presso la Biblioteca nazionale di Roma (Fondo Vittorio Emanuele, 293): vi appare graziosa e bionda, adorna di un’elaborata acconciatura e vestita riccamente. Lo stesso fu ripreso e replicato a penna entro un tondo alla c. 10r della Historia Ferrariae di Pellegrino Prisciani, codice del XV secolo conservato presso l’Archivio di Stato di Modena (Manoscritti, 98).

La M. è stata oggetto, già nel XVI secolo, di una lunga fortuna letteraria, teatrale e musicale (cfr. Dizionario letterario e Iotti, 2004). La sua vicenda ha ispirato non solo i novellieri Matteo Bandello e Antonfrancesco Grazzini, detto il Lasca, ma anche poeti come George Byron, Giosuè Carducci e Gabriele D’Annunzio. Lo stesso D’Annunzio trasse spunto dalla vicenda per comporre nel 1912 la sua Parisina, una tragedia lirica in quattro atti che costituisce il secondo episodio della trilogia teatrale I Malatesti, di cui nel 1902 era già stata composta la Francesca da Rimini. Anche l’opera lirica si interessò alla M.: nel 1833 fu la volta, tra le altre, della rappresentazione della Parisina musicata da Gaetano Donizetti (libretto di Felice Romani); la stessa Parisina di D’Annunzio fu in seguito musicata da Pietro Mascagni e rappresentata nel 1913 al teatro alla Scala di Milano.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Modena, Ambasciatori, Venezia, b. 1, a. 1418 (missive relative alle trattative per le nozze della M.); Camera marchionale, Registrum literarum et mandatorum Nicolai III marchionis Estensis quandoque et dominae Parisinae marchionissae, 1422-24; Casa e Stato, Serie generale, Membranacei, cass. 23, doc. 43: 7 ott. 1424, Santarcangelo; doc. 45: 13 ott. 1424, Poggio Berni; Diario ferrarese dal 1409 sino al 1502 di autori incerti, a cura di G. Pardi, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXIV, 7, pp. 15-17; L. Tonini, Della storia civile e sacra riminese, V, Rimini nella signoria de’ Malatesti, 2, Rimini 1882, pp. 131-134; G.B. Gioia, Parisina M. Racconto storico e religioso fondato sulle croniche del Medio Evo e sulla Bibbia, I-II, s.l. 1864; A. Solerti, Ugo e Parisina. Storia e leggenda secondo nuovi documenti, in Nuova Antologia, 16 giugno 1893, pp. 593-618; 1( luglio 1893, pp. 61-84; G. Petrucci, Ugo d’Este e Parisina M. Reminiscenze storiche, Ferrara 1903; E. Biondi, Ricordi di donne leggiadre, I, Parisina, Bagnacavallo 1912; C. Grossi, Ugo e Parisina nella leggenda e nella storia, in Secolo XX, XI (1912), pp. 793-801; A. Zucchini, Parisina, in Riv. mensile del Touring Club Italiano, XVIII (1912), 6 (estratto); A. Lazzari, Parisina, Firenze 1949; L. Chiappini, Gli Estensi, Varese 1967, pp. 93-95; A. Mazzeo, Donne famose di Romagna, Bologna 1972, pp. 45-55; M. Tabanelli – F. Fleetwood, L. M. (detta Parisina), in M. Tabanelli – F. Fleetwood, Le donne dei Malatesti, Brescia 1984, pp. 39-42; G. Boccolari, Le medaglie di casa d’Este, Modena 1987, pp. 24 s., 36; Il tempo di Nicolò III. Gli affreschi del castello di Vignola e la pittura tardogotica nei domini estensi (catal., Vignola), Modena 1988, p. 50; A. Franceschini, Artisti a Ferrara in età umanistica e rinascimentale, I, Dal 1341 al 1471, Ferrara-Roma 1993, pp. 118-122; P.G. Fabbri, La signoria di Malatesta Malatesti (Andrea) signore di Cesena (1373-1416), Rimini 1999, pp. 160, 195; R. Iotti, Alleanze tra Po e Marecchia. Le relazioni nuziali tra le case d’Este e Malatesti, in I Malatesti, a cura di A. Falcioni – R. Iotti, Rimini 2002, pp. 353-355 nn. 29-38; Id., Parisina Malatesti d’Este, in Le donne di casa Malatesti, a cura di A. Falcioni, Rimini 2004, pp. 269-296; E. Bianchini, Il sogno di Parisina, in Il Ducato. Terre estensi, luglio-settembre 2005, n. 15, pp. 22-32; Diz. letterario delle opere e dei personaggi (Bompiani), III, Milano 1980, pp. 403 s.

 

Fonte: Enciclopedia delle donne