M.O.: il ruolo di Ankara che non vuole escalation


Appena lo scorso 12 aprile gli Stati Uniti hanno chiesto a Turchia, Cina e Arabia Saudita di mediare con l’Iran per evitare attacchi nei confronti di obiettivi israeliani che avrebbero inevitabilmente aumentato il rischio di una espansione del conflitto. Un rischio che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan vuole evitare, divenuto tuttavia sempre piu’ concreto nei giorni seguenti l’attacco al consolato iraniano di Damasco sferrato dallo Stato ebraico, in cui hanno perso la vita 7 pasdaran iraniani, tra cui 2 generali. Dei tre Paesi cui gli Usa si sono rivolti, vale a dire Cina, Arabia Saudita e Turchia, sembra proprio quest’ultimo quello piu’ propenso a intervenire.
Iran e Cina sono legate da comuni interessi economici e commerciali; affari vitali per Teheran che rendono forte l’influenza di Pechino sugli ayatollah. Tuttavia è da vedere se la Cina seguira’ le raccomandazioni di Washington o se, come in passato, pensera’ a giocare la propria partita dietro le quinte per infastidire la Casa Bianca. La competizione tra Usa e Cina è in corso, tuttavia il botta e risposta rimane fuori dai radar della diplomazia e i due Paesi hanno dimostrato negli ultimi anni di non avere molto interesse a perseguire gli scopi dell’altro.
Iran e Arabia Saudita invece storicamente non si sono mai amate e si sono riavvicinate solo negli ultimi anni. I sauditi hanno un interesse concreto a bloccare l’escalation del conflitto, ma rimangono dubbi sulla reale influenza che sono capaci di esercitare su Teheran.
La monarchia saudita è stata piu’ volte accusata negli ultimi anni di aver dimenticato la causa palestinese e di aver perseguito solo i propri affari e interessi, avvicinandosi agli Usa e allo stesso Stato ebraico. Una politica opposta a quella portata avanti dal regime degli ayatollah, che rispetto ai sauditi ha pagato con le sanzioni e l’isolamento la propria intransigenza nei confronti di Israele e il sostegno ad Hamas, agli Hezbollah libanesi e agli Houthi yemeniti.
Una posizione che ha permesso all’Iran di porsi in testa al cosiddetto ‘Asse di Resistenza’ dove i sauditi sono assenti. In ballo tra Teheran e Riyad c’e’ il primato del mondo islamico, l’eterna competizione tra mondo sciita e sunnita che il clero iraniano, ora piu’ che mai, non sembra avere intenzione di perdere.
Al contrario, il conflitto tra Israele e Hamas ha finito con il riavvicinare Turchia e Iran. In seguito a un periodo in cui il dialogo tra i due Paesi è parso bloccato, dopo l’inizio delle ostilita’ a Gaza il ministro degli Esteri iraniano Amir Hossein Abdollahian ha improvvisamente definito le relazioni tra Turchia e Iran “storiche” e ha riconosciuto a Erdogan di aver portato avanti “una politica estera incisiva e allo stesso tempo equilibrata, un’opera diplomatica dinamica”. Obiettivi cui, come ammesso dallo stesso Abdollahian, aspira anche Teheran, nonostante l’isolamento di cui soffre la Repubblica Islamica. Un’obiettivo impossibile da raggiungere alla luce degli ultimi sviluppi; tuttavia i buoni rapporti tra Ankara e Teheran possono contribuire significativamente ad alleviare l’isolamento di cui l’Iran soffre. Isolamento che è tutto il contrario della diplomazia multidirezionale che ha permesso alla Turchia di consolidare la propria posizione sia in Medio Oriente che in Occidente. Alle parole di Abdollahian ha fatto seguito una visita ad Ankara del presidente iraniano Ebrahim Raisi, che ha avuto un lungo faccia a faccia con Erdogan. “La collaborazione tra i nostri due Paesi deve puntare a dare sostegno alle vittime palestinesi, compattare il mondo islamico. Non possiamo permettere che questo genocidio vada avanti e che civili, donne e bambini continuino a pagarne il prezzo. Iran e Turchia sono due Paesi in grado di assumersi la responsabilita’ di aiutare il popolo di Gaza e proteggere queste terre sacre”, ha detto Erdogan al termine dell’incontro. Il dialogo tra Erdogan e Raisi e’ pero’ andato oltre il conflitto a Gaza. Nelle settimane precedenti la visita Israele aveva colpito membri di Hamas e miliziani vicini all’Iran in Libano, Siria e Iraq; Teheran ha risposto colpendo una presunta base di spie israeliane in nord Iraq. Scambi di colpi che gia’ due mesi fa avevano fatto crescere il rischio di una escalation del conflitto. Teheran aveva infatti dimostrato di possedere armi e sfrontatezza per colpire oltre confine. Il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan si e’ recato in Libano negli stessi giorni per incontrare rappresentanti del governo, ma anche il leader di Hezbollah, Hasan Nasrallah.
Erdogan puo’ avere su Raisi l’influenza per limitare la reazione dell’Iran. Il governo turco non ha ancora espresso una posizione ufficiale sull’attacco di questa notte, una risposta politica, ideologica e per certi versi inevitabile contro Israele su cui ora Ankara interverra’ perche’ rimanga un caso isolato. Piu’ dell’attacco di questa notte infatti, a preoccupare Erdogan, sono gli Hezbollah libanesi, alleati dell’Iran, che continuano a minacciare il nord di Israele. Il governo turco vuole evitare una reazione dello Stato ebraico che porterebbe il conflitto in tutto il Libano, anche perche’ Erdogan ha la assoluta priorita’ di evitare crisi umanitarie ai propri confini.
Il presidente turco vuole evitare che il conflitto si allarghi a Libano, Siria e ovviamente Iran e per contenere la reazione degli Hezbollah libanesi, delle milizie filo iraniane in Siria e Iraq e degli stessi ayatollah si trova costretto a intensificare il pressing e su Teheran. A favorire Erdogan in forte interesse dell’Iran a consolidare il dialogo con la Turchia. Sono tanti le questioni aperte tra i due Paesi, ma alla luce della catastrofica situazione dell’economia iraniana agli ayatollah non conviene ne’ andare allo scontro totale con Israele, ne’ perdere un partner come la Turchia. Consolidare i rapporti con Ankara permetterebbe a Teheran di avere intermediario con gli Stati Uniti e alleviarne un isolamento che stritola la popolazione, annichilisce la diplomazia e spinge il Paese verso la guerra. (AGI)