M.O.: Blinken da Bin Salman ma Riad e Tel-Aviv restano lontane


Il capo della diplomazia statunitense, Antony Blinken, è atteso in Arabia Saudita ma, alla vigilia della sua missione a Riad, non sfugge agli osservatori come un’ipotetica normalizzazione tra Israele e il Paese del Golfo, dopo quasi sette mesi di Guerra, sia quanto mai lontana. Quella ‘finestra di opportunità’ per un accordo storico che avrebbe visto la monarchia del Golfo riconoscere Israele, secondo gli analisti, è sempre più chiusa, tanto per il conflitto in corso tanto per le imminenti elezioni negli Stati Uniti.
L’attacco senza precedenti di Hamas del 7 ottobre ha frenato quello che avrebbe potuto essere un importante successo di politica estera per il Presidente Joe Biden. A settembre, prima dell’aggressione che ha scatenato la guerra a Gaza, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman aveva dichiarato di “avvicinarsi ogni giorno di più” a un accordo che avrebbe dovuto anche rafforzare il partenariato di sicurezza tra Washington e Riad. Ma il leader de facto del regno ha anche sempre sottolineato l’importanza della questione palestinese.
Mentre i combattimenti si trascinano a Gaza e i mediatori lottano per ottenere una tregua, i funzionari sauditi insistono più che mai sulla necessità di trovare una soluzione che porti alla creazione di uno Stato palestinese. Condizione ‘sine qua non’ per la normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele come ribadito a gennaio, al World Economic Forum, dall’ambasciatrice del regno a Washington, la principessa Reema bint Bandar al-Saud, secondo cui la normalizzazione sarebbe impossibile “senza un percorso irrevocabile verso la creazione di questo Stato”. “Il prezzo della normalizzazione, in particolare sul fronte palestinese, è certamente aumentato”, ha sottolineato all’AFP l’analista saudita Aziz Alghashian. “Quello che possiamo dire è che abbiamo bisogno di qualcosa di più tangibile che teorico. Più che semplici promesse”, ha aggiunto.
L’Arabia Saudita non ha mai riconosciuto Israele e non ha aderito agli Accordi di Abramo negoziati dagli Stati Uniti nel 2020, sotto la presidenza Trump, che hanno visto i suoi vicini del Golfo (Bahrein ed Emirati Arabi Uniti) e il Marocco, stabilire legami formali con Israele.
Dopo la visita di Biden a Gedda, nel 2022, e l’incontro con il principe ereditario, l’amministrazione statunitense si era impegnata a fondo per trovare un compromesso sulla base degli Accordi di Abramo. I sauditi tuttavia avevano chiarito che avrebbero chiesto a Washington più garanzie di sicurezza dei loro vicini nonché il suo sostegno al programma nucleare civile del Paese.
Anche prima della guerra a Gaza, evidenziano gli osservatori, un accordo saudita-israeliano-americano non era affatto scontato.
Per Elham Fakhro, ricercatrice del think tank statunitense Chatham House, “l’Arabia Saudita è consapevole del desiderio dell’amministrazione Biden di raggiungere un accordo”. E Riad “è consapevole del fatto che nessun altro Paese arabo ha lo stesso peso per fare pressing a favore della causa palestinesi”, ha aggiunto. Tuttavia, a suo dire, “gli Stati Uniti dovranno concedere qualcosa e nessuna delle ‘richieste’ dell’Arabia Saudita è facile (da esaudire)”.
Secondo la ricercatrice, infatti, “un patto di difesa dovrà passare attraverso il Congresso degli Stati Uniti e la sua approvazione è tutt’altro che scontata”, in un contesto pre-elettorale che rende “ancora più difficili gli accordi bipartisan”. (AGI)

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