M.O.: analisti, senza Sinwar negoziato ostaggi più complesso


“In passato gli sforzi negoziali si basavano tutti sull’idea che Sinwar avesse un legame con la maggior parte dei sequestrati e che potesse influenzare le loro azioni”, riassume Jon Alterman, del think tank americano Csis. “Il quadro è molto più sfocato ora e dovremmo vedere risultati diversi”. Gli osservatori non escludono nemmeno il rischio dell’esecuzione degli ostaggi. Per vendetta dopo la morte del leader, oppure perché i rapitori credono di non poterli più monetizzare.
Nel vuoto di potere in cui è immerso il gruppo islamico, “gli ostaggi potrebbero essere lasciati a se stessi e riuscire a scappare”, ha affermato Karim Mezran, esperto della regione presso il Consiglio Atlantico. Ma “esiste anche il timore che i dirigenti intermedi di Hamas siano tentati di eliminarli per proteggere la propria identità e sfuggire a possibili ritorsioni”.
Ad ogni modo, la pressione sulle spalle del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è enorme. Tuttavia il governo israeliano non è disposto a rilasciare gli ostaggi a ogni costo. Non dovrebbe ripetersi il precedente della liberazione nel 2011 di mille detenuti palestinesi – tra cui lo stesso Sinwar – in cambio del soldato Gilad Shalit, ostaggio di Hamas per cinque anni, poiché il prezzo pagato è stato troppo alto. Israele ha affidato i negoziati ai suoi servizi segreti, con l’aiuto dei soliti partner: Stati Uniti, Qatar ed Egitto. Il loro compito non sarà più semplice di prima, anzi. Secondo pareri concordanti di analisti, la morte di Yahya Sinwar porta alla frammentazione senza precedenti della gerarchia di Hamas che complica ulteriormente i negoziati per il rilascio degli ostaggi. C’è attesa e incertezza sulla nuova leadership che verrà nominata in sostituzione del leader temuto e intransigente, considerato un ostacolo frontale a un accordo sugli ostaggi. I prossimi sviluppi ai vertici di Hamas peseranno molto sul destino degli ostaggi detenuti dal 7 ottobre 2023, in tutto 97, 34 dei quali sono stati accertati morti dall’esercito israeliano.
Il Soufan Center, con sede a New York, ricorda che secondo i servizi segreti americani, “la posizione di Sinwar si era irrigidita nelle ultime settimane”, al punto da suggerire che “Hamas non era più interessato a ottenere un cessate il fuoco o un accordo sugli ostaggi”.
Oggi Hamas non è più l’organizzazione militare piramidale e ultragerarchica del 7 ottobre, con i suoi battaglioni e brigate. Decimato, disperso sotto gli attacchi israeliani che tagliano notevolmente la Striscia di Gaza tra nord e sud, il gruppo “opera in cellule molto localizzate, in modo molto più decentralizzato”, spiega David Khalfa, autore di “Israele-Palestina, anno zero “, ricercatore presso la Fondazione Jean-Jaures. “Oggi si tratta più di una milizia, con signori della guerra locali che mantengono legami con reti mafiose, comprese famiglie che apparentemente hanno ostaggi”, afferma l’esperto. Questa nuova situazione “sarà un vero problema per israeliani e americani. Più che a un accordo globale sugli ostaggi, probabilmente punteranno a rilasci frammentari, offrendo ai signori della guerra l’immunità e la possibilità di lasciare Gaza” per rifugiarsi in Turchia, Iran o Qatar.
Fino alla metà dell’anno, la struttura del movimento era bicefala: da un lato il ramo politico di Ismail Haniyeh con sede a Doha, dall’altro il ramo militare guidato da Sinwar a Gaza. Il primo è stato giustiziato a Teheran a luglio, il secondo ha subito la stessa sorte due giorni fa a Gaza. Per David Khalfa, l’equilibrio di potere interno ad Hamas pende ora maggiormente verso il ramo esterno, “dove si concentrano le fonti di finanziamento, supporto logistico e addestramento dei miliziani”. Ma se scegliesse un dirigente in esilio, il gruppo correrebbe il rischio di vederlo disconnesso dai combattenti sul campo. E se nomina un soldato come Mohammed Sinwar, fratello del defunto leader, si allontana da un risultato politico. In entrambi i casi, la sorte degli ostaggi precipita nell’ignoto. (AGI)