L’usura e gli interessi moratori


di Debora Quartarone fonte ALTALEX

 Premessa

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite Civili del 18 settembre del 2020 n. 19597 è stata chiamata a risolvere il contrasto giurisprudenziale in ordine all’applicabilità o meno della disciplina antiusura di cui agli artt. 644 c.pe 1815 c.c. agli interessi moratori ed alle conseguenze dell’avvenuto superamento del tasso soglia.

La questione sollevata è risultata di particolare importanza, sia in ordine alle diverse e contrastanti pronunce che si sono susseguite negli anni, sia in relazione ai risvolti applicativi che derivano dalla scelta dell’una o dell’altra tesi.

2. L’usura e gli interessi moratori

Prima di addentrarci nella pronuncia delle Sezioni Unire in esame è opportuno effettuare una breve disamina storico-normativa dell’usura e soffermarci sui rapporti con gli interessi moratori.

2.1 L“excursus” storico-giuridico dell’usura

Il termine usura deriva dal latino “utor” che significa “uso”, da intendersi come usare, possedere, ed in questo caso tale espressione è relativa all’uso del denaro o di una cosa fungibile.

L’usura quale superamento del tasso soglia invalicabile è stata da sempre avversata fin dal romano arcaico, dove venne appunto introdotta già nel IV secolo a. C. nelle “Leggi Tavolari”.

Anche nel diritto tardo-antico nonché in quello dell’alto medioevo vigeva un divieto di pattuire interessi usurari che poi diventò un divieto di pattuire interessi “puro” ovvero a prescindere dal superamento di un tasso soglia.

Analogamente nel diritto canonico, a seguito dell’incremento dei traffici commerciali e della dottrina giuridica del XII secolo, tale limite divenne ormai superato, iniziarono così ad essere introdotte diverse deroghe in merito anche nel diritto civile a seguito del Code Napoléon del 1804.

Dopo l’unificazione in Italia, l’usura viene contemplata come delitto solo nel codice penale del 1930, all’art. 644 c.p. che puniva “chi approfittando dello stato di bisogno di una persona si facesse dare o promettere, sotto qualsiasi forma per sé o per altri in corrispettivo di una somma di denaro o altra cosa mobile, interessi o vantaggi di natura usuraia”.

Quindi prima dell’entrata in vigore del Codice penale Rocco del 1930, nell’allora vigente Codice Zanardelli del 1889, l’usura non veniva punita né sul piano penalistico né sul paino civilistico.

Le conseguenti reazioni agli inevitabili comportamenti di strozzinaggio, iniziarono a manifestarsi dapprima a livello giurisprudenziale, comportando inizialmente l’illiceità del mutuo con interessi eccessivi.

In mancanza dunque di un’autonoma disciplina civilistica dell’usura fino al codice del 1942, la scelta fu quella di fronteggiare tali problematiche attraverso la nullità radicale del negozio per illiceità per giusta causa, in quanto posto in essere a seguito della violazione di una norma penale e della conseguente inesistenza di un qualunque debito avente ad oggetti gli interessi.

2.2 La disciplina normativa dell’usura nel nostro codice civile del 1942 e le modifiche di cui alla l. n. 108/96

Il fenomeno dell’usura è sanzionato sia sul piano civile che su quello penale, e trova la sua ratio principalmente nella sproporzione tra la prestazione del debitore e quella del creditore, in quanto la misura dell’interesse convenuto supera il tasso soglia stabilito dalla legge. Oltre tale soglia quindi l’ordinamento giuridico considera ingiustificato il soddisfacimento del creditore in quanto eccessivamente lesivo nei confronti di quello del debitore. In considerazione di ciò il primo, nel pretendere la prestazione deve tenere in considerazione anche la posizione del secondo.

Possiamo a tal proposito considerare che tale assunto è rinvenibile nella c.d. clausola di reciprocità, che sul piano civilistico è rinvenibile nella c.d. clausola di solidarietà sociale e trova il suo addentellato normativo nella buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c.

Se quindi la ratio dell’usura è la sproporzione, intesa come clausola di reciprocità cioè del principio di solidarietà e come violazione della clausola di buona fede, significa che l’usura trae origine da una posizione di asimmetria e dalla conseguente violazione della buona fede del creditore, parte economicamente più forte rispetto a quella più debole del debitore.

Il creditore sfrutta quindi la propria posizione imponendo un interesse sproporzionato.

La norma di riferimento per l’usura in ambito civilistico è contemplata dall’art 1815, comma 2, c.c. che rende nulli gli interessi usurari nel caso in cui siano convenuti nel contratto.

Il nostro codice civile ha introdotto la disciplina civilistica dell’usura a seguito del R.D. 16/03/1942 n. 262.

Inizialmente l’art. 1815, comma 2, c.c. statuiva che, nel caso in cui gli interessi fossero superiori a quelli stabiliti dalla legge, quest’ultimi dovessero essere corrisposti in misura corrispondente al tasso legale.

Ad oggi il medesimo articolo, così come modificato dalla L. n. 108 del 1996,  recita che nel caso in cui gli interessi siano usurari la clausola è nulla e pertanto non sono dovuti interessi; intendendo pertanto come usurari quegli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui gli stessi sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, a prescindere dal momento del loro pagamento (ex art. 1 D.L. 29 dicembre 2000 n. 394, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2001 n.24).

Il limite all’usurarietà è stabilito dall’art. 2 della L. n.108 del 1996 che demanda al Ministero del Tesoro il compito di rilevare trimestralmente il c.d. TEGM ovvero il tasso effettivo globale medio degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati.

L’usura è altresì punita a livello civilistico anche dall’art 1448 c.c., dove viene prevista la rescissione del contratto nel caso in cui la sproporzione causi una lesione eccedente la metà del valore della prestazione rispetto all’altra, dipendente dallo stato di bisogno di una parte, della quale l’altra abbia approfittato.

Oltre a tali disposizioni, in merito all’usura vanno poi menzionate anche le norme di cui agli artt. 1384 c.c. e 1526 comma 2 c.c., aventi ad oggetto rispettivamente la riduzione della clausola penale manifestamente eccessiva e della indennità convenuta nel caso di risoluzione della vendita con riserva di proprietà.

A tali fattispecie si aggiunge l’art. 1500, comma 2, c.c. che contempla la nullità della clausola nel caso della vendita con patto di riscatto laddove sia stata stabilita la restituzione di un prezzo superiore a quello pattuito al momento della vendita.

Per concludere vanno altresì menzionati gli artt. 1283 e 1284 c.c. in tema di anatocismo e di forma scritta della pattuizione degli interessi nella misura ultra-legale che si aggiungono quali strumenti di repressione del fenomeno usurario.

Giova considerare che la nullità degli interessi usurari che colpisce non l’intero negozio a solo la relativa clausola, secondo la giurisprudenza di legittimità comporta gli estremi del reato di usura ex art. 644 c.p. (così come modificato dalla L. n.108 del 1996) solo laddove concorrano tre circostanze:

  1. il vantaggio usurario conseguito o che sia conseguibile;
  2. lo stato di bisogno del debitore;
  3. l’approfittamento di tale stato da parte del debitore.

2.3 Gli interessi moratori

Specificata la normativa relativa agli interessi usurari, ai fini della tematica oggetto di disamina, è possibile adesso soffermarsi sugli interessi moratori.

Gli interessi moratori aventi ad oggetto le obbligazioni pecuniarie, sono previsti dall’art.1224 c.c. dove viene statuito che, per le obbligazioni riguardanti una somma di denaro sono dovuti interessi gli interessi legali dal giorno in cui scatta il ritardo dell’adempimento (c.d. mora) ed i conseguenti effetti automatici stabiliti dalla legge e azionabili da parte di chi sia interessato ad agire.

Gli interessi moratori quindi, a differenza di quelli usurari sono dovuti ex lege nel caso di ritardo del corrispettivo dovuto a seguito delle obbligazioni pecuniarie ed hanno una funzione avente natura risarcitoria e non compensativa o riequilibrativa.

La ratio degli interessi moratori non è quindi quella di ristabilire equamente i rapporti fra colui che ha subito un depauperamento del proprio patrimonio e colui che invece si è arricchito a seguito dell’entrata di denaro, ma hanno lo scopo di risarcire la perdita ed il mancato guadagno patito dal creditore a seguito del ritardo dell’inadempimento del debitore. Inoltre svolgono anche la funzione sanzionatoria e deterrente come la clausola penale ex art. 1382 c.c., ciò è altresì rinvenibile nella particolare gravosità degli interessi stessi a carico del debitore.

3. Le sezioni unite civili n. 19567/2020

L’art. 644 c.p. rubricato “usura” è stato sempre oggetto di attenzione da parte della Corte di Cassazione anche prima della riforma della riforma operata dalla L.7 marzo 1996, n.108 (all’art. 1, comma 1).

La Corte di Cassazione Civile per lungo periodo fino alle sentenze del 2018 e del 2019 difformi rispetto al precedente orientamento consolidato, ha sempre affermato che gli interessi moratori sono sempre assoggetti alla normativa penale sull’usura.

Tale assunto è stato messo in dubbio dapprima dalla Banca d’Italia che ha stabilito un tasso di mora soglia pari al 2.1 %, poi dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 29 del 2002.

3.1 Le diverse tesi a confronto

Pertanto, i precedenti orientamenti della Corte di Legittimità, della giurisprudenza di merito nonché della più acclarata dottrina hanno indotto le Sezioni Unite a pronunciarsi in merito all’ applicazione della disciplina antiusura.

Occorre pertanto riportare brevemente le due tesi contrapposte in relazione alla questione in oggetto:

  • una prima tesi restrittiva, sostenuta principalmente dalla giurisprudenza di merito (da ultimo Trib. Roma 17754/2020) statuisce che non è possibile applicare la disciplina antiusura agli interessi moratori, a causa della diversa natura giuridica degli interessi corrispettivi e degli interessi moratori. La disciplina antiusura infatti sarebbe applicabile solo agli interessi convenuti al momento della stipula del contratto in quanto corrispettivo alla concessione del denaro; al contrario gli interessi moratori, applicabili nel caso dell’inadempimento, sono rinvenibili nell’art. 1382 c.c.ed eventualmente ridotti d’ufficio dal giudice ex art 1384 c.c. ma resterebbero al di fuori delle ipotesi di ci all’art. 1815, comma 2, c.c.;
  • la seconda tesi estensiva, in antitesi alla precedente, preponderante nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 26286/2019, Cass. 22890/2019, Cass 27442/2018, Cass. 5598/2017; Cass. 5324/2003) sulla base di un principio di uniformità del trattamento degli interessi, pur considerando il medesimo scopo remunerativo di un capitale non goduto dal creditore sia degli interessi moratori che di quelli corrispettivi, nel primo caso volontariamente e nel secondo caso involontariamente.

Le Sezioni Unite Civili in oggetto hanno optato per la tesi estensiva, che risulta più favorevole alla parte attrice che può eccepire il superamento del tasso soglia della disciplina antiusura per gli interessi moratori, scelta che altrimenti sarebbe rimasta preclusa in partenza.

3.2 La tutela del debitore di fronte agli interessi moratori usurari

E’ stata dunque operata una scelta nel senso di una più completa tutela del debitore, evitando di lasciare che il finanziatore possa abusare della sua posizione “privilegiata”: con l’applicazione del limite imposto dalla disciplina antiusura quando vengono pattuiti i costi totali del credito, quest’ultimo non può rimanere immune dai dovuti controlli, se scaduta la rata o spirato il termine stabilito per la restituzione della somma, il denaro non viene restituito e siano applicati gli interessi in mora, in quanto subordinati alla disciplina antiusura ed al dettato costituzionale di cui all’art. 41 Cost.

Mediante l’attuazione della disciplina antiusura agli interessi moratori, pertanto da una parte rimane integra l’autonomia contrattuale e dall’altra si pone un limite alla gestione del soggetto bancario negli impieghi (ex art. 5 Dlgs. 58 del 1998) nonché ad eventuali rischi concernenti la pattuizione di interessi “fuori mercato”.

3.3 Enunciazione dei principi di diritto

La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso.”

“La mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perchè “fuori mercato”, donde la formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto””.

“Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g. così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista”.

Si applica l’art. 1815 c.c., comma 2, onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma vige l’art. 1224 c.c., comma 1, con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti”.

“Anche in corso di rapporto sussiste l’interesse ad agire del finanziato per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti, tenuto conto del tasso-soglia del momento dell’accordo; una volta verificatosi l’inadempimento ed il presupposto per l’applicazione degli interessi di mora, la valutazione di usurarietà attiene all’interesse in concreto applicato dopo l’inadempimento”.

“Nei contratti conclusi con un consumatore, concorre la tutela prevista dall’art. 33, comma 2, lett. f) e art. 36, comma 1 codice del consumo, di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005, già artt. 1469-bis e 1469-quinquies c.c.”.

L’onere probatorio nelle controversie sulla debenza e sulla misura degli interessi moratori, ai sensi dell’art. 2697 c.c., si atteggia nel senso che, da un lato, il debitore, il quale intenda provare l’entità usuraria degli stessi, ha l’onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m.
nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento; dall’altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto.”(Sezioni Unite Civili 18 ottobre n. 19567/2020).