Di Vittorio Sangiorgi (Direttore del Quotidiano dei Contribuenti)
L’Unione Europea si trova ad affrontare una fase cruciale della sua storia, un vero e proprio punto di non ritorno che, nei prossimi mesi, definirà il futuro di questa istituzione. La crisi sanitaria e le derivante crisi economica impongono risposte efficaci e decise. I partiti politici, di conseguenza, stanno elaborando le loro risposte e le loro proposte per affrontare un momento tanto complicato. Azione, la realtà nata dall’iniziativa dell’ex ministro Carlo Calenda, lo sta facendo attraverso gruppi di studio e di analisi. La redazione del Quotidiano dei Contribuenti ha intervistato la dottoressa Elisabetta Biondi, referente gruppo fiscalità e relazioni internazionali di Azione, per capire meglio quali sono le proposte e le idee che, questo partito, vorrebbe portare avanti.
MES
“Mi pare che, nel panorama politico, il MES sia stato un po’ accontonato. Il principio fondamentale è che, se qualcuno presta del denaro, non si può permettere di farlo senza nessuna condizione o senza poi verificare che questo denaro venga speso nella maniera corretta. Questo tipo di MES, visti i difficili negoziati che ci sono stati, potrebbe essere un’ottima risorsa per il nostro paese, anche se condizionato alle spese sanitarie che, in ogni caso, graverebbero sul bilancio statale. Su questo punto, Azione è stata sempre molto chiara: il problema non è soltanto quello di superare la crisi sanitaria, ma anche quello di rivedere quei limiti, relativi soprattutto all’Unione Europea, che erano già evidenti prima del Covid”.
LE IDEE DI AZIONE
“Populismo e nazionalismo derivano dal fatto che, in ambito UE, è stato fatto poco. Questo dipende da molti fattori, primo di tutti quello culturale. Spesso, molti governi nazionali, per giustificare manovre impopolari, attribuiscono la responsabilità alle richieste europee… In Italia è avvenuto per anni. Ci sono, tuttavia, delle lacune nella stessa concezione del bilancio dell’Unione Europea, che andrebbero affrontate con la giusta serietà. Una delle proposte del gruppo, di cui io sono referente, è quella di istituire un fondo di solidarietà europeo, che si affianchi alla proposta di cassa integrazione comune elaborata dalla Commissione, che funga da fondo per la disoccupazione ma che sia funzionale a compensare i disavanzi di bilancio, derivanti dagli avanzi di alcuni stati, vedasi la Germania. Queste forti differenze nei bilanci degli stati membri creano degli scompensi che poi, generalmente, devono essere ammortizzati dagli stati più deboli. Questo può essere un problema, soprattutto perchè rende difficile la creazione di politiche economiche comuni. Attraverso questo fondo che noi proponiamo, sostanzialmente, si dovrebbe cercare di compensare i disavanzi o gli avanzi di bilancio dei vari stati membri, in modo da avere un piano di bilancio abbastanza uniforme in tutta Europa”
“Un’altra idea è quella di attrezzare il bilancio con entrate fiscali autonome, che non siano quelle tradizionali come i dazi. In questo modo si potrebbe raggiungere l’autonomia di bilancio della UE, che riuscirebbe quindi a svincolarsi dalle dinamiche politiche degli stati membri più forti, e si potrebbe inoltre creare un incentivo culturale nei confronti dei cittadini europei, che spesso vedono l’UE come un’istituzione distante. Riteniamo che versare una quota delle proprie imposte per il bilancio europeo potrebbe destare gli animi sopiti… Coloro i quali non si scandalizzano per il fatto che il nostro paese non sfrutta gli ingenti fondi messi a dispozione dall’Europa e, sostanzialmente, li regala a stati come Polonia ed Ungheria, i quali stanno peraltro apertamente violando i trattati”.
“Stiamo lavorando a numerosissimi progetti, sia in ambito nazionale che europeo. Uno degli ambiti che, in un momento di maggiore serenità, andrebbe valutato è quello della competenza esclusiva della fiscalità degli stati membri. Dietro questa riserva di sovranità, delle quale comprendo le ragioni tecniche, si annidano delle diseguaglianze che lacerano l’Unione. Mi riferisco, soprattutto, alle misure di competitività fiscale come l’imposizione per i colossi digitali, l’imposizione fiscale per il reddito di impresa e per il reddito da capitali. Tutto ciò comporta, nel consesso europeo, una concorrenza fiscale tra stati facenti parti della stessa area, che lacera anche le economie. Questa concorrenza fiscale, infatti, genera tutta una serie di misure economiche spesso inique, che non hanno senso in conformità ai trattati. L’idea sarebbe quella, al di là del codice di condotta sulla fiscalità d’impresa, di modificare i trattati. Certo, è un obiettivo ambizioso, ma l’Unione Europea o getta il cuore oltre l’ostacolo o continuerà a rimanere imbrigliata nelle sabbie mobili. Siamo convinti che vada minata la sovranità assoluta degli stati membri in materia fiscale e, soprattutto, che vadano sanzionate le condotte di concorrenza fiscale, al pari delle condotte di concorrenza sleale a livello di mercato unico”.
RECOVERY FUND: UN NEGOZIATO PER L’EUROPA DEL FUTURO
“Recovery Fund? I negoziati all’interno dell’Unione Europea sono diventati sempre più complicati e vanno, quindi, condotti in un determinato modo. Io, per tanti anni, ho rappresentato come funzionaria il MEF in Europa. Il problema è che, spesso, l’Italia non è consapevole del suo peso in ambito negoziale. In materia di Recovery Fund bisogna, a mio avviso, scindere due ambiti. Il primo è quello contingente, cioè il fatto che questa sia una manovra importante per far fronte alle difficoltà derivanti dalla crisi Covid, il secondo è invece relativo al significato ulteriore di questo negoziato per l’Unione, ed è proprio l’aspetto che crea più difficoltà. Il fatto di aprire a questo strumento, anche se per far fronte ad un evento eccezionale, comporterà, inevitabilmente, di aprire una porta che poi non si potrà chiudere più”.
“A mio avviso le difficoltà nel negoziato, avendo frequentato quei tavoli, sono più sotto il profilo prospettico che come strumento attuale. Fatico, sinceramente, ad immaginare un negoziato condotto da questa compagine governativa. Ci vorrebbe un negoziatore di alto livello, che faccia valere il peso dell’Italia nel bilancio europeo. Questa fase di interlocuzione potrebbe rappresentare la porta aperta verso un’Unione diversa, anche a due velocità. Sostengo da tempo che, in Europa, non ci si deve vergognare ad utilizzare la cooperazione rafforzata, soprattutto tra i grandi paesi. Questo per far vedere come, in realtà, c’è una prospettiva della UE, che non sarà nell’immediato quella di uno stato federale, ma che può restituire l’idea di una coesione, anche in ambiti prima impensabili. Penso, ad esempio, alla difesa comune, sempre osteggiata dalla Gran Bretagna, che potrebbe adesso riprendere vigore, oppure all’omogeneità nelle politiche sanitarie. In sintesi, quindi, vedo un difficile negoziato per il Recovery Fund, proprio perché una porta verso il futuro dell’Unione e, purtroppo, alcuni stati sono ancora piuttosto diffidenti verso un’Europa più coesa.”