Ludovica Carbotta. Città e solitudini nel progetto “Monowe”


Torri di avvistamento abbandonate e rovesciate, strutture progettate e mai realizzate oppure abbattute, edifici preesistenti che tornano in vita, come fantasmi, ad abitare spazi dai quali sono stati cacciati.
La città ideale di Ludovica Carbotta si nutre di architetture reali ma dismesse e invisibili. È la città formata dalla sua storia sommersa e dalle visioni che ne hanno accompagnato l’espansione, anche se è una dimensione che si nega ai valori della collettività e scivola nel paradosso di un’urbs collassata in uno spazio a misura di un unico uomo.

Interessata da sempre all’ambiente urbano come luogo di sperimentazione e di indagine, l’artista torinese porta avanti dal 2016 il progetto evolutivo Monowe. Articolato in capitoli diversi, con installazioni site specific a Bologna, Roma e Venezia, il progetto costituisce una riflessione sull’involuzione, sul fallimento del modello urbanistico contemporaneo.
Monowe è una contraddizione in termini, è un mezzo per analizzare la condizione di autoisolamento e di individualismo che, secondo me, viviamo anche nelle città di oggi… L’idea inziale era di un commento a questo isolamento, al bisogno di continua protezione, era un’idea un po’ assurda di creare un luogo talmente esclusivo che alla fine diventa una sorta di prigione.
Ludovica Carbotta

Fra le artiste che rappresentano la ricerca artistica italiana alla cinquantottesima Biennale di Venezia, Ludovica Carbotta, è stata invitata da Ralph Rugoff per due interventi, all’Arsenale e a Forte Marghera, nello spazio della Polveriera austriaca, trasformata “nell’estensione della mente di un unico abitante”. Non soltanto una visione apocalittica ma una rilettura in chiave personale di luoghi che ci appartengono, un tentativo di rinnovare lo sguardo offuscato dalla consetudine e dall’indifferenza. Come commenta l’artista nell’intervista rilascita a RAI Cultura:
Per me è anche un tentativo di fare una nuova esperienza di sistemi collettivi che diamo per scontati e invece così ritornano a una riflessione più individuale.

Fonte: Rai Cultura