Louise de Bellère du Tronchay


detta Louise du Néant

Tronchay 1639 – Parigi 1694

Di Barbara Romagnoli

 

Louise nasce nel mese di settembre del 1639, nel castello di Tronchay. È la quarta di cinque figlie di una nobile casata dell’Anjou; il padre è scudiero e signore di Ragotry e di Tronchay, la madre discendente di un’altra nobile casata. I due fratelli più grandi sono entrambi cavalieri.

Il racconto della sua vita inizia all’insegna della fragilità. Nella sua monumentale opera sulla storia del sentimento religioso in Francia, Henry Bremond racconta l’infanzia di Louise, a partire dallo stesso racconto di lei: al momento della nascita viene subito battezzata perché i suoi genitori temono per la sua vita; a quattro mesi la madre non ha più latte e la bambina viene affidata a una nutrice il cui latte, però, è cattivo… Louise è una bambina apparentemente tranquilla, fino al giorno in cui una serva di casa non le fa bere all’età di otto anni del vino – è sempre il racconto riportato da Bremond. Louise ha una crisi così violenta che il padre, non sapendo dell’accaduto, attribuisce l’avvenimento alla sua natura “cattiva” e la punisce severamente. I genitori prendono a trattarla con rigidità, a punirla anche quando non è lei a sbagliare, perché si convincono che abbia un brutto carattere.

Louise si chiude in sé, è pudica e silenziosa e nel segreto delle sue stanze inizia un dialogo costante con Dio. A dodici anni è mandata, dietro sua richiesta, in collegio dalle religiose di san Francesco; quando ritorna a casa è soprannominata “la religiosa”, nonostante proprio i familiari le impediscano di prendere i voti, e, poiché nel castello spesso sono ospitati i mendicanti, si dedica alla cura dei poveri.

Inizia molto giovane a peregrinare per comunità religiose, lunghi periodi interrotti da alcune malattie e dal tentativo della madre di farle apprezzare anche le “cose del mondo”: trascorre un periodo ad Angers, nella Loira, e lì impara a danzare, cantare e studia: storia, geografia, aritmetica, la lingua italiana e la filosofia. Rientra a casa cambiata, con un nuovo spirito brillante, eloquente ed esplode in tutta la sua bellezza. È corteggiata da più parti. Molti cavalieri arrivano alle lacrime nel chiederla in moglie, le donne la vogliono come amica, offrono rendite in cambio della sua compagnia, e c’è chi la tenta, come una maga che avendo sposato un uomo con un sortilegio tenta di convincerla a fare lo stesso. Louise rifiuta. Lei è innamorata di Gesù Cristo e torna nell’ennesima comunità. Qui iniziano crisi di angoscia e furore mistico tali che le religiose che la ospitano temono che sia posseduta e, soprattutto, temono di non poterla tenere più presso di loro. Nel 1677 decidono di internarla alla Sâlpetrière, lo stabilimento femminile dell’Hôpital Général di Parigi, luogo sorto in quegli anni per volere di Luigi XIV nel quale vengono rinchiusi i mendicanti di Parigi.

È nei mesi di permanenza lì che Louise tiene una sorta di diario. Jean Maillard, l’ultimo confessore della donna, utilizzerà il diario e le lettere inviate ai padri spirituali per ricostruire la biografia di Louise, da cui ricaveranno notizie lo stesso Henry Bremond e Mino Bergamo. Nelle lettere al suo confessore e padre spirituale, colui che ha il compito di accompagnare la sua “guarigione”, ci sono parole piene di passione, riferite sia al sentimento amoroso che al dolore, ai tormenti e ai supplizi che Louise si autoinfligge: come lei stessa racconta, nel suo cilicio sono messe due asticelle irte di spine con due catene di ferro che le martoriano le spalle; fa costruire per sé una specie di bara dove si corica e si fa applicare a caldo sullo stomaco un crocefisso di bronzo, in modo che la figura di Gesù Cristo le resti impressa appena guarita la dolorosa ferita. Lei alterna questi momenti a quelli di deliquio per le carezze dell’amato e fa parlare, nel diario, il suo corpo per lei. Firma le sue lettere Louise du Néant per rinnovare l’annientamento di sé dinanzi al suo divino sposo, vive nella sua carne la scissione tra “ragione” e “sragione”, e il suo io si sdoppia ripetutamente in una sorta di teatro di cui è regista e attrice assieme.

In questa radicale esperienza dell’annullamento di sé, (anéantissement) che potremmo descrivere come perdita di sé e smarrimento nell’Altro, si ritrovano gli elementi della riflessione di alcuni libertini eruditi che arrivano a definire un nuovo spazio metafisico, una tensione estrema verso il Nulla o Niente, che ben rappresenta “la perdita di misura e centro, che avvierà all’eccedenza ed all’eccentricità dell’esperienza barocca”. La scissione che Louise vive è anche quella del suo tempo. La Sâlpetrière è il luogo fisico e simbolico in cui avviene il “grande internamento del Seicento”, che impone la separazione fisica da ogni tipo di devianza, da tutto ciò che non rientra nella evidenza certa della “normalità” e dell’asse fondante della ragione cartesiana.

Fuori dal comune è la capacità del “linguaggio del corpo” di supplire alla mancanza di un impianto intellettualistico o di un percorso razionale di ascesa a Dio. Inconsueta, ma niente affatto isolata, l’esperienza mistica ed estatica di molte donne in questi anni passa proprio attraverso il corpo e la volontà di dare a lui parola e di farne il canale di conoscenza e di ogni tipo di esperienza spirituale, erotica, estatica, e anche autolesionista, quasi a proiettare su di sé le colpe di tanto ardire sul piano della libertà immaginativa: quando la lingua non può o non riesce ad esprimere ciò che sente e percepisce lo spirito, le viene in aiuto la totalità di una esperienza fisica che, ricca di contraddizioni, diviene la chiave di accesso alla parola; ma anche linguaggio del corpo come segno e sintomo di una corporeità non totalmente esprimibile se non mediante una totale sublimazione dei sensi e di erotismo, come è presente nell’esperienza mistica. Una parola che non sempre è compresa. E Louise viene di volta in volta considerata folle, strega, santa, al confine fra un’esperienza riconoscibile come religiosa e una patologia medica moderna.

 

Fonte: Enciclopedia delle donne