Londra non vede una de-escalation della crisi in Ucraina, "segnali contraddittori"


AGI – Nella crisi ucraina al Regno Unito è spettato il ruolo del poliziotto cattivo, che portasse avanti la linea dura anche spingendosi oltre i toni già netti di Washington, a cui toccherebbe però guidare le trattative se una de-escalation si concretizzasse. Un gioco delle parti nel quale hanno un ruolo anche le crescenti difficoltà interne del premier Boris Johnson che, piegato dal ‘Partygate’, cerca di dimostrare ai suoi concittadini che il suo obiettivo di una ‘Global Britain’ non è affatto nebuloso e che, lasciata l’Unione Europea, Londra potrà riconquistare un ruolo di primo piano negli scenari mondiali.

Così nei mesi scorsi, ben prima che venisse evocato in modo esplicito lo spettro di un conflitto in Europa, si sono viste imbarcazioni militari britanniche avventurarsi nel Mar Nero fino a sfiorare l’incidente con la Marina russa. E Londra si è mostrata intransingente nei confronti del Cremlino al punto tale da rendere fallimentare in partenza la missione a Mosca del ministro degli Esteri, Liz Truss, il cui duro confronto con l’omologo russo Serghei Lavrov ha avuto il solo effetto di aumentare le distanze tra i due Paesi.

Meno drammatico è stato il successivo incontro tra i ministri della Difesa Ben Wallace e Serghei Shoigu, sebbene quest’ultimo non abbia potuto che constatare, a vertice concluso, che la cooperazione tra Regno Unito e Russia è al momento “prossima allo zero”. Il distacco della Gran Bretagna da quei Paesi dell’Europa continentale, in primis Francia e Germania, che vogliono abbassare le tensioni con Mosca appare ancora piu’ evidente in queste ore, con i mezzi di informazione russi che annunciano il ritiro parziale delle truppe al confine ucraino.

Pur premettendo che si tratta di notizie tutte da confermare, Parigi e Berlino hanno dato un’apertura di credito al presidente russo, Vladimir Putin, esprimendo una cauta soddisfazione. Opposto l’atteggiamento di Johnson, che ha parlato di dati “non incoraggianti” e “segnali contraddittori”. Secondo Downing Street non è in corso alcuna smobilitazione. Al contrario, ha affermato Johnson, “si stanno costruendo ospedali da campo russi in Bielorussia, nei pressi della frontiera con l’Ucraina, il che puo’ essere solo interpretato come la preparazione di un invasione”.

La prospettiva della crisi vista da Londra è ulteriormente chiarita da un editoriale di William Hague, capo del Foreign Office ai tempi del primo governo Cameron, apparso sul ‘Times’, il quotidiano che esprime la linea dell’establishment britannico. L’articolo è scritto in prima persona come se a parlare fosse Putin e descrive la strategia del Cremlino come tesa a un “negoziato che deve significare la totale neutralizzazione dell’Ucraina perchè possa essere riassorbita più gradualmente”.

Secondo Hague, Putin non è intimorito dalla minaccia di sanzioni perchè Mosca ha già spostato fuori tiro la maggior parte dei beni vulnerabili e non ha bisogno di un’invasione in quanto avrebbe il potere di piegare Kiev con metodi ibridi, tagliando l’energia e le comunicazioni, lanciando attacchi informatici e mobilitando agenti provocatori nel Donbass.

“L’Onu non farà nulla”, è la lettura del pensiero di Putin secondo Hague, “l’Ucraina tornerà alla ‘partnership con la Russià. Questa conquista sarà l’inizio dell’ordine post-occidentale. Gli ucraini si aggiungeranno ai siriani e agli afghani nella lista dei popoli che l’Occidente ha abbandonato e tradito. La loro credibilità sarà giunta alla fine. E, se ti trovi in Georgia, Moldova, nei Balcani o nel Medio Oriente, ci penserai due volte prima di sfidare zio Vladimir”. 

Source: agi