Nelle scale temporali lunghe, il riscaldamento degli oceani profondi può essere paragonabile o maggiore del riscaldamento degli oceani superficiali, tanto che nell’ultima deglaciazione l’efficienza di accumulo potrebbe essere stata dieci volte superiore ai valori attuali. Questo, in estrema sintesi, è quanto emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista Science Advances, condotto dagli scienziati dell’Accademia cinese delle scienze, della Ohio State University e della Oregon State University. Il team, guidato da Zhengyu Liu e Peter U. Clark, ha combinato simulazioni deglaciali all’avanguardia e ricostruzioni basate su proxy, per capire come il cambiamento climatico possa influenzare le acque profonde. L’oceano, spiegano gli esperti, è uno dei più grandi e vasti serbatoi di calore nel sistema climatico, e assorbe oltre il 90 per cento dell’energia in eccesso dal riscaldamento antropogenico in corso. Nell’ultimo secolo, l’aumento delle temperature ha interessato principalmente i 500 metri più vicini alla superficie del mare, mentre le zone più profonde non sembrano aver subito particolari alterazioni. Le osservazioni paleoceanografiche, tuttavia, suggeriscono che nel corso della storia del pianeta anche le profondità dell’oceano sono state in grado di accumulare calore. In particolare, gli autori hanno scoperto che l’efficienza di stoccaggio di calore da parte dell’oceano è aumentata sostanzialmente in risposta alla forzatura deglaciale. “Le modellazioni – afferma Chenyu Zhu, dell’Accademia cinese delle scienze – dimostrano che il riscaldamento tridimensionale dell’oceano durante l’ultima deglaciazione è stato fortemente disomogeneo, significativamente maggiore nelle profondità intermedie. Ciò è in netto contrasto con quanto osserviamo attualmente”. Grazie a una serie di esperimenti di sensibilità, il gruppo di ricerca ha scoperto che questi meccanismi potrebbero essere correlati al riscaldamento delle superfici a latitudini medie e subpolari attraverso la ventilazione in risposta ai gas serra e alla forzatura della calotta glaciale e sostanzialmente potenziato dal cambiamento della circolazione oceanica associato alla forzatura dell’acqua di disgelo. “La struttura particolare di riscaldamento del mare – spiega Liu – facilita una grande efficienza di accumulo del calore. Questo potrebbe risolvere il paradosso che emerge dalla visione convenzionale secondo cui il riscaldamento si sarebbe verificato nei siti di formazione delle acque profonde, rimasti coperti dal ghiaccio marino”. “Questi risultati hanno implicazioni preziose – conclude Clark – ad esempio, se un forte riscaldamento della superficie e una intensa ventilazione si verificano come abbiamo impostato nelle simulazioni, l’oceano potrebbe essere in grado di accumulare molto più calore dall’atmosfera, rallentando potenzialmente il tasso di riscaldamento atmosferico. Il mare potrebbe rappresentare una riserva di energia nel sistema climatico in misura maggiore di quanto ipotizzato finora”. (AGI)