di Salvo Valentino *
Il settore dei lavoratori dello spettacolo è stato, nel corso di questi mesi, drammaticamente colpito dalle misure restrittive impartite dai vari DPCM emanati dal Governo per il contrasto ed il contenimento dell’emergenza da Covid-19.
Un comparto produttivo e creativo che annovera nel nostro paese più di trecentomila professionisti tra artisti impegnati nel campo del teatro, del cinema, della danza, della musica e della televisione ma anche personale tecnico ed amministrativo ed i distributori.
Dando priorità essenziale alla salvaguardia della salute di ogni essere umano, le nostre attività sono state annullate; le sale di prosa, di danza e cinematografiche, irrimediabilmente chiuse. Non è stato più possibile fare quello che, per molti di noi, non è solo un mestiere, ma la nostra stessa ragione di vita.
La pandemia ha quindi evidenziato le fragilità e le debolezze di professionalità che, pur avendo diversi aspetti e forme, si mettono di continuo in discussione ed investono economicamente ed umanamente senza mai certezza alcuna, in quella che può considerarsi, spesso, una vera e propria missione.
Capacità di adattamento e resilienza sono alla base della nostra formazione e nel corso dei secoli, noi artisti, siamo stati abituati ad affrontare guerre, carestie, persecuzioni ed altre terribili epidemie. Cadendo, ci siamo sempre rialzati a testa alta e schiena dritta. Ricostruendo dalle macerie, siamo rinati più e più volte dalle nostre stesse ceneri. Questo perché il nostro ruolo sociale e politico è stato ed è fortemente legato al senso più stretto dell’umanità.
Il teatro, in particolare, nasce con l’uomo. Si definisce nella sacralità del rito, si identifica nell’incontro della comunità dalle forme più primitive fino a quelle più evolute; e questo avviene ancora oggi, in ogni angolo del nostro pianeta.
La mancanza della proposta e dell’offerta culturale (e del teatro in particolar modo) sminuisce il senso della nostra stessa natura umana. È quindi di estrema gravità definire, da parte delle istituzioni pubbliche, il nostro, un servizio di non prima utilità e liquidarlo come non necessario, per giustificare una chiusura del settore che deve essere dettata sì dalla contingenza della diffusione del virus ma non da una priorità, che si profila invece delineata da misure meramente economiche e di profitto.
Ed è proprio in questo momento storico che lo Stato deve farsi carico del valore e dell’importanza delle nostre maestranze, tutelandoci e proteggendoci, con interventi e sussidi che possano tenere ancora in vita le nostre attività. Bisogna che si instauri prontamente, nei mesi a seguire, lo stesso legame esistente tra teatro e Polis nella civiltà greca. Lo Stato assegnava al teatro il fondamentale compito di provvedere all’educazione di tutti i cittadini di ogni ordine e livello sociale, in un progetto permanente, che accompagnasse l’individuo in tutte le fasi della sua esistenza. Il finanziamento pubblico ai poeti tragici, agli attori, ai danzatori, ai musicisti ed ai costumisti dimostra chiaramente che la Polis riconosceva la loro funzione educativa, nonché la capacità di trasmettere valori etici, religiosi, politici. Questo è, adesso, l’intervento auspicabile per evitare il crollo di un comparto che porterebbe, inevitabilmente, al collasso di tutti gli altri settori lavorativi del nostro paese.
Siamo stati i primi a fermarci e saremo anche gli ultimi a ricominciare. Il nostro lavoro necessita di progettazione e programmazione. Una stagione viene pensata, organizzata ed avviata con almeno sei mesi di anticipo. La riapertura dei teatri non significa una ripresa immediata degli incassi. Senza tralasciare il compito ancora più complesso di riportare il pubblico in sala, dopo la paura del contagio.
Il rimedio attuato in questo periodo dello streaming di spettacoli on line è giusto e serve a mantenere e divulgare la memoria di uno spettacolo ma non è il fine precipuo di una produzione artistica creata ad hoc, perché viene snaturata. On line bisogna usare linguaggi e prodotti diversi da quello della prosa. Così come ritengo che lo smart working sia applicabile solo a particolari tipologie di professione ma non certo all’arte teatrale che ha bisogno di una comunicazione empatica e del contatto.
Noi artisti abbiamo già dato tanto, forse anche troppo in questi anni, pagando sulla nostra pelle pregiudizi ed indifferenza. Oggi c’è bisogno che lo Stato faccia sentire in maniera concreta e decisa la propria presenza al fianco della nostra categoria con interventi economici di sostegno e provvedimenti legislativi mirati alla reintegrazione nel tessuto sociale dei nostri ruoli.
Quello di cui tutti noi abbiamo bisogno in modo prioritario, debellata la pandemia, è di ritornare ad essere veramente umani grazie all’arte, alla cultura ed al teatro.
* Attore, regista, autore