AGI – È previsto a Mosca un incontro tra delegati di Armenia e Turchia che potrebbe spianare la strada alla normalizzazione delle relazioni tra due Paesi che, sin dall’indipendenza di Erevan nel 1991, hanno vissuto violenti alti e bassi. Dall’incontro, in calendario il 14 gennaio, ci si aspetta che le due parti si confrontino sulla stesura di una road map che rafforzi la fiducia reciproca e ponga le basi per una storica normalizzazione, il tutto con la benedizione del Cremlino, che ha definito il riavvicinamento di Ankara e Erevan ‘positivo per il mondo intero’.
A creare ottimismo la nomina di Serdar Kilic da parte di Ankara. Diplomatico di di altissimo livello, Kilic è stato ambasciatore negli Stati Uniti. La delegazione armena sarà invece guidata da Ruben Rubinyan, vice presidente del Parlamento.
Ad avvelenare ogni tentativo di dialogo tra i due Paesi fino a oggi è la diversa posizione sui drammatici eventi del 1915 e il massacro degli armeni da parte delle truppe ottomane. Erevan chiede che i tragici fatti che segnarono il collasso dell’impero ottomano vengano riconosciuti come ‘genocidio’; termine da sempre ‘inaccettabile e contrario alla realtà della storia’ per Ankara, che sottolinea come in quei terribili giorni alla frontiera nord est della Turchia perirono anche tantissimi soldati turchi.
A complicare ulteriormente la missione dei delegati è stato il conflitto riesploso a fine 2020 nel Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbaigian, durante il quale Ankara ha fornito sostegno non solo politico e diplomatico a Baku, ma anche militare e operativo attraverso l’invio di droni da guerra. Queste le premesse che hanno tenuto per decenni chiusi i confini dei due Paesi e congelate le relazioni diplomatiche.
Ankara ha riconosciuto l’Armenia all’indomani dell’indipendenza ottenuta nel 1991 e ha subito provato ad avvicinarsi a Erevan invitando delegati armeni a prendere parte al Forum per la Cooperazione Economica dei Paesi del Mar Nero. Una mossa esplorativa da parte di Ankara, per testare quanto fosse rimasto vivo il dolore del passato, alla luce della fine dell’impero ottomano e della diversa epoca storica.
A far saltare un avvicinamento allora facilitato dalle disastrose condizioni economiche dell’Armenia all’indomani dell’indipendenza fu l’occupazione da parte di milizie legate a Erevan di alcune aree del Nagorno-Karabakh nel 1993, fino ad allora appartenenti all’Azerbaigian.
In seguito all’occupazione Ankara, da sempre al fianco di Baku, sospese le relazioni commerciali, il confine venne chiuso e tra i due Paesi per anni vi furono solo provocazioni, gelo e silenzio. Un segnale di dialogo arriva nel 2005, quando il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, premier all’epoca dei fatti, inviò una lettera al presidente armeno Robert Kocharyan, contenente la proposta di formare uan commissione di storici provenienti da entrambi i Paesi e aprire gli archivi ottomani per far luce una volta per tutte sui fatti del 2015. Kocharyan rifiutò e propose di instaurare un dialogo politico di alto livello. Risultato: i due Paesi rimasero fermi sulle rispettive posizioni.
Trascorsi tre anni, l’allora presidente turco, Abdullah Gul, chiamaò Serzh Sargsyan appena eletto presidente della Repubblica in Armenia. Si trattò della prima telefonata tra capi di Stato dei due Paesi, ma non solo. Sargsyan infatti invitò pochi mesi dopo Gul a Erevan per la partita tra le due nazionali di calcio, impegnate nelle qualificazioni per le fasi finali dei mondiali. Passarono altri sei mesi e l’invito venne ricambiato da Gul, che ospitò Sargsyan per il match di ritorno in Turchia. Gul diviene il primo presidente turco a visitare l’Armenia dall’indipendenza, Sargsyan il primo presidente armeno a mettere piede in Turchia.
Gli incontri spianarono la strada a 2 protocolli siglati nel 2009 a Zurigo tra i due Paesi, in cui si stabilì una road map che avrebbe dovuto portare a una normalizzazione mai poi avvenuta. Il primo passo previsto era ka riapertura dei confini entro due mesi dalla firma e la formazione di diversi tavoli di dialogo che avrebbero dovuto porre le basi per la collaborazione tra i due Paesi in diversi ambiti.
Tuttavia mentre i protocolli venivano discussi e ratificati dal parlamento di Ankara, in Armenia finivano al vaglio della Corte Costituzionale a seguito di numerosi ricorsi presentati da partiti nazionalisti e dalle associazioni di armeni della diaspora residenti all’estero. Il parere negativo della Corte Costituzionale su alcuni dei presupposti dei protocolli costrinsero Sargsyan a sospendere la ratifica dei protocolli. Il confine rimase chiuso e tutto terminò in un nulla di fatto.
Ultimo capitolo delle travagliate relazioni tra i due Paesi è stato il conflitto in Nagorno Karabakh, irrisolto per anni e riesploso a fine settembre 2020 e proseguito fino al 10 Novembre, quando Mosca si fece garante di un accordo che impose il ritiro delle forze filo armene in territori internazionalmente riconosciuti come appartenenti all’Azerbaigian.
Ankara ha sempre sostenuto Baku con ogni mezzo e all’indomani della fine del conflitto nel Caucaso Erdogan, soddisfatto di un esito che ha segnato una sostanziale vittoria per l’Azerbaigian, è tornato a tendere la mano a Erevan offrendo di riaprire i confini “per il bene di entrambi i Paesi”. Il premier armeno Nikol Pasinyan ha definito ‘positivi’ i segnali provenienti da Erdogan e annunciato che in questo stesso mese sarà abolito l’embargo nei confronti delle importazioni turche.
Quello con l’Armenia è un avvicinamento al quale Erdogan ha in realtà sempre lavorato sottotraccia. Inflessibile nel negare che i fatti del 1915 rappresentino un genocidio, così come deciso a fornire qualsiasi tipo di sostegno all’Azerbaigian, Erdogan ha contemporaneamente curato le relazioni con la comunità armena in Turchia.
Il presidente turco ha sempre sottolineato la assoluta uguaglianza e parità dei cittadini di origine armena, aperto gli archivi ottomani e scritto una lettera di condoglianze per i fatti del 1915 ogni anno al patriarca armeno, ammettendo le responsabilità dell’esercito ottomano. I rapporti tra le alte sfere della politica turca e la comunità armena in Turchia non sono mai stati migliori di oggi.
Il patriarca armeno Sahak Mashalyan, in un discorso tenuto alla vigilia dell’anniversario dello sterminio degli armeni lo scorso anno, si è detto “profondamente rattristato dall’utilizzo politico del dolore del popolo armeno e dei nostri padri da parte di alcuni Paesi”.
L’intervento di Mashalyan giunse nel pieno della polemica sull’uso del termine genocidio riesplosa con l’insediamento alla Casa Bianca del presidente americano Joe Biden che voleva riconoscere come ‘genocidio’ le stragi del 1915. Mashalyan nel suo discorso ha auspicato “un miglioramento delle relazioni tra Armenia e Turchia”, che porti alla “riapertura dei confini” e alla apertura di una nuova pagina di rapporti tra due popoli che “condividono mille anni di storia”.
Source: agi