Il 17 marzo ricorre l’anniversario dell’Unità d’Italia, dal giorno della proclamazione del Regno d’Italia sono trascorsi esattamente 160 anni.
Dieci anni fa, nel fiorire di celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario, Liberilibri ha dato alle stampe il saggio dello storico Marco Severini intitolato Piccolo, profondo Risorgimento. Un libro che parla sì anche di Giuseppe Mazzini e della sua etica del dovere, ma che soprattutto raccoglie diverse storie considerate “minori”, che poi minori non sono, perché capaci di stimolare la conoscenza del passato tanto quanto i grandi avvenimenti tramandati dalla Storia con la esse maiuscola. L’obiettivo dell’autore, professore di Storia dell’Italia contemporanea all’Università di Macerata, era essenzialmente quello di raccontare vicende risorgimentali poco conosciute o addirittura inedite, quelle cioè che non trovano solitamente spazio nei libri di storia, ma che hanno comunque lasciato una traccia profonda nelle comunità che le hanno prodotte e vissute. Vicende cadute nell’oblio legate a figure, politiche e non, di assoluto rilievo, da Antonio Bellati ad Andrea Ferrari, da Lorenzo Valerio al maestro Lorenzo Bettini, comprese donne straordinarie come Cristina Trivulzio di Belgiojoso e Faustina Bracci, che nelle pagine di Severini trovano un doveroso risarcimento. Questo libro inoltre non è dedicato soltanto alle vite di personaggi più o meno noti del Risorgimento che hanno contribuito a “fare l’Italia”, ma anche alla memoria di luoghi particolari, come Civitella del Tronto in Abruzzo, l’ultimo avamposto borbonico ad arrendersi agli italiani, mentre un paio di capitoli finali sono riservati alle questioni più prettamente storiografiche, in cui l’autore ripercorre l’intero tracciato degli studi risorgimentisti in Italia.
Di seguito, un estratto del capitolo intitolato “Libera e fiera”:
Nell’affascinante vita di Cristina Trivulzio di Belgiojoso (Milano 1808-1871), l’italiana più famosa del Risorgimento, due elementi sembrano imporsi sugli altri, la libertà e la fierezza.
La libertà, in primo luogo, delle proprie scelte. A partire da quella compiuta il 24 ottobre 1824, allorché nella chiesa milanese di San Fedele sposò Emilio Barbiano principe di Belgiojoso d’Este, scapolo d’oro meneghino, patriota, uomo dai versatili talenti (scherma, equitazione, danza e in particolare canto, tanto da meritare le lodi di Rossini), ma soprattutto impenitente donnaiolo. Cristina apparteneva alla grande nobiltà lombarda delle origini e vantava tra i suoi antenati il condottiero Gian Giacomo (figlio di Francesca Visconti e compagno di studi di Galeazzo Maria Sforza), le grand Trivulce, conquistatore di Milano, nel 1499, per conto di Luigi XII che a seguito dell’impresa lo aveva creato maresciallo di Francia. Ragioni patrimoniali ed ereditarie consigliavano, in quel 1824, il matrimonio con il cugino Giorgio, figlio del tutore dei suoi beni dopo la morte del padre – il marchese Gerolamo, scomparso quando Cristina aveva appena quattro anni – ma la giovane, erede di una considerevole ricchezza, non ne volle sapere. Dopo quattro anni il ménage ebbe fine, anche se i due si separarono senza divorziare e rimasero in amichevoli rapporti, uniti dalla comune fede patriottica; in cambio della sua libertà Cristina si accollò gli ingenti debiti di Emilio, che fu visto l’ultima volta in sua compagnia a Milano il 30 gennaio 1828 al ballo in maschera offerto dal nobile ungherese Batthyany, il famoso e mondano ballo del Romanticismo ancora ricordato dopo due secoli.
Libero e difficilmente inquadrabile fu anche il percorso politico di Cristina. Ricevuta un’istruzione accurata e imbevuta di idee illuministe, conobbe in famiglia gli ideali liberali, settari e patriottici; dopo la separazione coniugale viaggiò per la penisola, si affiliò alla Carboneria e venne perseguitata dalla polizia austriaca: riparata in Svizzera, sfoderò un incredibile attivismo politico – la cui notizia giunse fino alla scrivania del principe di Metternich – e sovvenzionò la sfortunata spedizione in Savoia (febbraio 1831), per la quale ricamò pure una bandiera. Ingiuntole il rientro a Milano da parte delle autorità imperiali, preferì fuggire a Parigi.
[…]Sul finire degli anni Quaranta, Cristina, rientrata in Italia, si avvicinò al cuore della causa nazionale: in Piemonte incontrò Balbo, Cavour e Carlo Alberto, si convinse, dopo le disfatte del decennio precedente, che l’Italia potesse liberarsi e unificarsi solo sotto la guida dei Savoia, magari mediando e unendo le forze di liberali e repubblicani; fondò e diresse giornali patriottici; arruolò di tasca propria un battaglione di 170 volontari partenopei alla notizia delle Cinque Giornate di Milano. Dalla fiducia mal riposta su Carlo Alberto passò, nel 1849, alla Roma repubblicana accettando l’incarico di Mazzini, con cui era in contatto da diverso tempo, di organizzare e dirigere il servizio delle ambulanze, una sorta di ospedali mobili che fungevano da raccordo tra i nosocomi cittadini e il fronte dei combattimenti. Firmò pure un appello alle donne capitoline affinché partecipassero in gran numero all’assistenza ai feriti, ma poi la Repubblica venne tradita da Luigi Napoleone Bonaparte, presidente della Repubblica francese che aveva conosciuto vent’anni prima proprio nell’Urbe, e Roma venne riconsegnata, sotto la duplice occupazione militare (francese e austriaca), a Pio IX.
Nel 1859 Cristina tornò a sostenere la causa patriottica, organizzando una colletta per i garibaldini, scrivendo a Cavour per esortarlo a riprendere il proprio posto dopo l’armistizio di Villafranca, gioendo infine per l’Unità raggiunta così come, un decennio dopo, si rallegrò per la liberazione di Roma, pur vivendo ormai appartata e lontana dalla politica.
La fierezza fu il tratto distintivo con cui Cristina contrastò le avversità della vita.
Afflitta da una grave malattia nervosa, contrasse dal marito la sifilide, male per quel tempo inesorabile. Perseguitata dagli austriaci e senza più un soldo, trovò la forza e il coraggio – dopo un periodo trascorso in Provenza nel corso del quale conobbe e divenne amica di Augustin Thierry, lo storico francese che aveva perduto l’uso della vista – di aprire a Parigi un salotto vivace e aperto alle menti più elevate della cultura e della politica europea.
I primi tempi nella capitale francese non furono facili e Cristina si mantenne alloggiando in una modesta mansarda dei sobborghi, dando lezioni di disegno, dipingendo porcellane e ventagli e scrivendo articoli relativi alle questioni italiane sul «Constitutionnel», giornale politico e letterario fondato nel 1815. Poi, grazie alla protezione di personalità di primo piano (tra cui il settuagenario combattente delle rivoluzioni americana e francese, il generale Lafayette), riacquisì ricchezza e fama, senza però dimenticarsi degli esuli italiani: «nessuno fece più di lei a Parigi per la propaganda dell’idea italiana».
Ma mentre i più rimanevano fulminati dal fascino e dalla liberalità della belle italienne, che esprimeva apertamente le proprie opinioni, qualche voce si levò contro di lei in termini tutt’altro che lusinghieri: Balzac si mostrò ingrato rispetto ai favori che ne aveva ricevuto definendola una cortigiana saccente; il poeta Alfred De Musset, che se ne era innamorato ed era stato respinto, scrisse al suo indirizzo versi pieni di fiele nei quali la magrezza e il pallore della nobildonna venivano associati alla morte.
Dopo un decennio di vita salottiera, cosmopolita e intellettuale, nel corso del quale aveva aderito al sansimonismo e al fourierismo, Cristina tornò, nel 1840, a Milano, trasferendosi nel palazzo di Locate, feudo familiare dal XIV secolo. Nella tenuta abitata da poco più di duemila anime venne a contatto con l’arretratezza e l’ignoranza dei contadini, fu assalita da un senso di avvilimento e soffocamento e sperimentò di nuovo la cattiveria della gente: nel 1841 Alessandro Manzoni, che la considerava donna di cattive abitudini, le impedì di visitare la madre morente, Giulia Beccaria, di cui era grande amica.
Cristina reagì mettendo a frutto le idee culturali e politiche coltivate nel periodo francese e fece di Locate una specie di falansterio fourierista.
Marco Severini, Piccolo, profondo Risorgimento, Liberilibri 2011, collana Altrove, pagg. 196, euro 15.00, ISBN 978-88-95481-75-3.