di Anna La Mattina
Il Quotidiano dei Contribuenti ha ricordato l’entrata nella Grande Guerra dell’Italia nel 1915 con i versi della celebre “Canzone del Piave” di E. A. Mario, ma è opportuno gettare lo sguardo alla realtà storica, dietro il velo della retorica.
La notizia, diffusa dai giornali dell’epoca, dimostra come la tragedia si consumò all’interno di un Paese profondamente spaccato tra “Neutralisti ed interventisti”, circa l’entrata in guerra dell’Italia, dopo dieci mesi dall’inizio della Grande Guerra, il 28 luglio 1914, in seguito ai fatti di Sarajevo.
Il Partito Socialista a sua volta era diviso in tre correnti di pensiero: i “neutrali” che attraverso l’organo ufficiale l’Avanti, titolava in questo modo: “Verso un nuovo macello di popoli”, in linea con l’ala “neutrale” del Paese, che vedeva a fianco dei socialisti anche i cattolici e i liberali di Giolitti.
A favore dell’intervento bellico era invece l’ala riformista del Partito Socialista, capeggiata da Pietro Nenni e Leonida Bissolati, i quali vedevano nell’entrata in guerra, un occasione imperdibile per completare l’unità d’Italia, una sorta di “quarta guerra d’indipendenza”, riconquistando quella parte del Nord-Est, ancora sotto il dominio Austro-ungarico: la Venezia Giulia ed il Trentino, richiesta inizialmente agli alleati della Triplice Alleanza, ovvero Germania ed Austria, i quali, ovviamente, non vollero accettare una simile condizione. Pertanto l’Italia abbandona la Tripice Allenza ed entra a far parte della Triplice Intesa, lo schieramento che vedeva alleati Francia, Inghilterra e Russia (quest’ultima partecipe fino allo scoppio della Rivoluzione del 1917).
Nell’aprile 1915, fu firmato il Patto di Londra, tra l’Italia e la Triplice Intesa, che riconosceva all’Italia, in caso di vittoria, il Friuli Venezia Giulia, il Trentino Alto Adige, la Dalmazia e parte dei territori dell’Impero tedesco.
A caldeggiare e a profondere sentimento patriottico ci pensava Benito Mussolini, dell’ala del Sindacalismo rivoluzionario, interna al Partito Socialista, il quale titolava con il suo giornale Il Popolo d’Italia “Il dado è tratto, bisogna vincere”.
Ora è evidente che, in una Italia così divisa, in cui la maggioranza dell’opinione pubblica non voleva entrare in guerra, perché conscia del fatto che le scarse risorse non avrebbero permesso al Paese di venirne fuori nel migliore dei modi, anche una probabile vittoria, avrebbe fatto contare grandi perdite umane, sia al fronte che tra i civili, per via della fame e della carestia. Ciò induceva il largo fronte dei “neutralisti” ad ostacolare la partecipazione bellica. Dall’altro, il fronte degli “interventisti”, sebbene minoranza, ebbe la forza di trascinare il nostro Paese “al macello”, contribuendo al bilancio dei sedici milioni di vittime e dei venti mila feriti e mutilati di guerra: tanto costò la Prima guerra Mondiale.
La guerra fu vinta, grazie alla naturale debolezza del “gigante dai piedi d’argilla”, l’Impero Austro-Ungarico, al quale non giovò l’appoggio tedesco. Tuttavia, per l’Italia “vincitrice”, al danno delle perdite umane, si aggiunse la beffa del mancato riconoscimento del Patto di Londra, poiché ai russi (ritiratisi perché impegnati nella Rivoluzione d’Ottobre), firmatari dell’accordo, subentrarono gli Stati Uniti d’America, i quali (furbescamente, a mio modesto parere), non avendo firmato l’accordo, non lo riconobbero. Così l’Italia dovette accontentarsi di una vittoria a metà, ovvero la cosiddetta vittoria mutilata, come la definì Gabriele D’annunzio, dovendo rinunciare completamente alla Dalmazia settentrionale, perdendo comunque la città di Fiume. Inoltre, in base al Trattato di Parigi, all’Italia vengono negati i compensi coloniali in Africa e sono riassegnati i territori dell’Adriatico meridionale ai danni del nostro Paese. In più, in maniera del tutto arbitraria, venne assegnato il Montenegro al nuovo Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni.
Secondo Gaetano Salvemini, la “vittoria mutilata” fu un autentico mito politico, capace di catalizzare l’immaginario collettivo del tempo, in particolare dei reduci di guerra, ponendo le condizioni culturali e ideologiche per l’avvento del Fascismo. Il resto è Storia…