di Marianna Rizzini
Da impiegata in una casa d’aste a ufficio stampa a caso letterario con “Volevo essere una gatta morta” La finta vedova, la criminologa, la valletta dalla Balivo, la viaggiatrice. Personaggi reali e surreali
Questa è una storia di porte girevoli, le sliding doors che si sono spalancate a un certo punto lungo la strada di Chiara Moscardelli – scrittrice, ufficio stampa letterario e talento comico dai molti follower sui social e in tv (appena ci mette piede), il tutto non necessariamente in quest’ordine. Partendo dalla fine, Chiara è quella che per brevità – dopo il successo del primo libro autobiografico “Volevo essere una gatta morta” (ed. Einaudi Stile libero), nel 2011, a cui sono seguiti altri volumi di fiction e non, compreso il sequel “Volevo essere una vedova” – è stata definita “la Bridget Jones italiana”. Ma il paragone non rende del tutto l’idea. Moscardelli, detta Mosca, è per esempio colei che nel 2020, durante una puntata di “Vieni da me”, su Rai 1, nel salotto di Caterina Balivo (che l’aveva fortissimamente voluta come spalla per i giorni di Sanremo dopo un’intervista in cui, racconta chi c’era, “ridevano anche le sedie nello studio”), è stata capace di scendere una scalinata come finta-valletta, dopo quattro ore di trucco e parrucco da “Cenerentola cresciuta senza principe”, imitando le modelle reali con effetti surreali, compresa la coreografia con boys adoranti tipo Madonna nel vecchio video di “Material girl”. Ma è anche colei che, quando lancia dal nulla, durante le interviste, battute fulminanti sulla sua vita di quasi cinquantenne “zitella”, fa apparire fuori ruolo tutti gli altri, i quasi cinquantenni non zitelli. Da quel giorno della scalinata finto-sanremese, comunque, sono seguite altre apparizioni tv, tra cui la collaborazione con Adriana Volpe a “Ogni mattina”, su Tv8. Per i suoi libri, invece, in un gioco di teatro nel teatro letterario, arrivano periodicamente dichiarazioni di stima da noti scrittori (tra gli altri, Andrea Vitali, Marco Missiroli, Claudio Magris, anche se il primo degli estimatori noti di Moscardelli è stato il compianto Giorgio Faletti, king maker agli esordi). Flash forward: la scrittrice domenica 26 marzo apparirà su Italia1 a “Le iene”, in veste di esperta sentimentale, e pare che la sua saga gialla, quella che ha come protagonista la criminologa insicura Teresa Papavero, eroina del piccolo paese di Strangolagalli, realmente esistente nei pressi di Frosinone, dove Moscardelli, a ogni presentazione, viene accolta come fosse il sindaco, abbia attirato l’attenzione di qualche produttore di serie tv, proprio mentre il terzo volume, in uscita a settembre per Giunti, procede verso la conclusione.
Partendo dall’inizio della storia, Moscardelli, già a vent’anni, racconta chi la conosce, dava prova di avere i cosiddetti tempi comici – quelli che in tv e in radio la rendono preziosa per gli autori in cerca di ospiti. E dunque, carica di involontaria ironia, a ventisei anni, in quel di Roma, dopo una laurea in Lettere, si affacciava al mondo del lavoro con la speranza della neofita, trovando un tutto sommato ben remunerato lavoro alla casa d’aste Christie’s. Fatto sta che la vita era comunque cara, il primo appartamento da sola si rivelava ingestibile, il fidanzato restava introvabile e il fantasma del “posto fisso” la perseguitava, sotto forma di interrogativo “questo che ho trovato, lo manterrò?”. E insomma, la vita scintillante delle newyorkesi di “Sex and the city” le pareva quantomai lontana, a partire dal costo del dietologo, necessario per una dieta che potesse dirsi tale, e dei nascenti aperi-sushi, importati dalla Milano dove poi Moscardelli sarebbe andata a vivere. “Possibile che alle soglie dei trent’anni io sia ridotta sull’orlo di una futura vita da zitella obesa?”, si domandava da impiegata nella casa d’aste, mangiando per risparmiare solo pizza, riso e pasta, e trascorrendo serate non proprio glamour, sempre per mancanza di fondi (invece posseduti dagli amici più mondani), a guardare e riguardare “Elisa di Rivombrosa” su vhs, in una casa senza riscaldamento. Ci voleva appunto una dose massiccia di ironia, quella che Moscardelli sperimentava durante le serate con le amiche disperate per qualche amore tossico e tormentato, quando, appena apriva bocca lei, quelle finivano per ridere, pur essendosi radunate lì per piangere. Lei, Moscardelli, cercava di trovare intanto un modo per arrotondare lo stipendio, motivo per cui aveva mandato il curriculum a una ventina di case editrici, con l’intento di proporsi come correttrice di bozze. Ed è qui che si trova di fronte alla prima sliding door: la convocano per un colloquio presso Fanucci, dove però la trovano più adatta al ruolo di ufficio stampa (“si licenzi, qui c’è un posto per lei”, suonava più o meno la frase del responsabile). Detto e fatto: la decisione porta Moscardelli verso la seconda e più importante sliding door, specie per una che non aveva nel cassetto il sogno consapevole di fare la scrittrice. La svolta matura quasi per caso negli anni cui, trenta-quarantenne, la ragazza ormai donna è immersa in festival, feste, cene, conferenze stampa e viaggi rocamboleschi con o senza gli autori da accompagnare. Viaggi dove succedeva sempre qualche catastrofe, tipo la volta in cui, durante una sorta di tardivo interrail per l’europa, all’altezza del Belgio, Moscardelli, futura autrice di gialli, ha trovato con sommo orrore un vero cadavere nella toilette del treno, o quella in cui, in Messico, causa raduno zapatista, poco c’è mancato che incontrasse il subcomandante Marcos. E insomma, tanta era la vis comica profusa nei racconti a voce a proposito delle sue disavventure lavorative, amorose e turistiche, che il direttore editoriale della casa editrice dov’era assunta, a un certo punto, arriva a suggerirle di scrivere un diario per non perdere i ricordi. Nasce così il testo anche auto-terapeutico che farà da bozza al best-seller “Volevo essere una gatta morta”, ristampato sei anni fa in edizione tascabile. Di casa editrice in casa editrice, la bozza, nel 2011, viaggia fino alla Einaudi, dove, visti i commenti entusiasti dei lettori interni, si decide di pubblicarla, previa ideazione di una cornice narrativa. Il successo, grazie al passaparola, impone a Moscardelli la decisione di continuare: altri libri e il sequel “Volevo essere una vedova”, nato dalla constatazione che un conto è, dopo i quaranta, dire che si è single, un conto è dire che il povero coniuge è defunto in circostanze drammatiche (“ma come, così giovane? è il commento di fronte a una simile dichiarazione”, spiegava Moscardelli durante le presentazioni). Continuare a scrivere, però, non voleva dire rinunciare al lavoro di ufficio stampa (motivazione: il mutuo della piccola casa di Milano pagata oro). Terza sliding door: i cinquant’anni effettivi. Come li vivo? si è domandata la scrittrice, dopo aver fatto una festa di “matrimonio con se stessa” proprio al compimento del decennio, nel 2022, con tanto di abito da sposa, torta nuziale e molti amici invitati, decidendo infine di farsi ben diciassette tatuaggi, documentati da foto, e di mollare l’agognato posto fisso, sua coperta di Linus dai primi anni Duemila, per un tipo di contratto a partita Iva, formula agile che le permette di occuparsi anche dei libri e dei viaggi, forse più scombiccherati di quelli giovanili, vedi il nuvolosissimo trekking all’isola di Réunion. Per non dire dell’errore umano, tipo quello commesso qualche anno fa, documentatissimo sui social per la gioia dei cultori del genere “viaggiatrice maldestra”: la scrittrice pensava di aver comprato un volo per Singapore il 25 dicembre, data furba per risparmiare, e però, una volta giunta al check-in, si è accorta di aver comprato un volo per il già passato 25 novembre, circostanza che l’aveva costretta a rimediare con un carissimo biglietto immediato per il volo natalizio, pena la perdita di tutti gli altri collegamenti nel lontano sudest asiatico, dove lo sparring partner, il migliore amico Luca, di stanza a Singapore, aveva già predisposto tutte le tappe (sono pronti per “Pechino Express”, i due? Chissà, fatto sta che hanno all’attivo vari viaggi ricchi di imprevisti esilaranti). Paragonata alla pur rocambolesca vita delle sue eroine – oltre a Teresa Papavero, c’è Agata Trambusti di “Volevo solo andare a letto presto” (ed.giunti), ossessiva, ipocondriaca e fan sfegatata di telenovelas brasiliane – l’esistenza di Chiara Moscardelli è soltanto formalmente più tranquilla. Non è diventata gatta morta, ma durante la pandemia ha avuto un gatto, di nome Rhett, chiamato come il bello di “Via col vento”, e diventato ovviamente protagonista di un libro in cui il quadrupede, dotato di parola, dispensa le massime ciniche da “maschio alfa”, quello non palesatosi nella vita reale dell’autrice. Peccato che il gatto parlante, dice Moscardelli, ha di sicuro più senso dell’umorismo di un qualsiasi maschio alfa o beta.