L’intransigenza di Papa Francesco


di Danilo Di Matteo

Papa Francesco ha da sempre una posizione intransigente sull’interruzione volontaria di gravidanza. Una posizione da rispettare, beninteso, ribadita di recente in occasione del viaggio pastorale in Belgio. Proprio in nome del rispetto del ruolo della chiesa nello spazio pubblico, e non solo in riferimento al foro interno delle coscienze individuali, non dovremmo tuttavia temere di confrontarci e di dibattere. Del resto, a proposito di sfera pubblica, il vescovo di Roma scorge in Baldovino del Belgio, il re che abdica per un giorno per non siglare la legge sull’aborto, una figura esemplare.

Da un lato, dunque, nel contesto italiano si potrebbero sottolineare le ragioni di una legge equilibrata come la “194”; dall’altro, nel più generale confronto delle idee, andrebbe rilevata la discrepanza fra tale intransigenza e il concetto, pure caro a Francesco, in riferimento, soprattutto, al dialogo ecumenico, interreligioso e con i non credenti, secondo il quale nessuno possiede la verità nella sua interezza. La verità come ricerca, non come possesso.

Qui mi viene da citare il teologo Eberhard Jüngel (1934-2021), a proposito del confronto fra le fedi: “la nostra è una pretesa di verità, ma una pretesa di verità fra molte”. Sostenere, come fa la chiesa di Roma (accanto ad altre comunità religiose), che interrompere volontariamente la gravidanza corrisponde a un omicidio è una posizione, in contrasto con altre. Ancor più vistoso è ciò che ne deriverebbe: l’operatore sanitario che aiuta la donna ad abortire sarebbe “un sicario”. Un carnefice. Quando, da concezioni diverse, che provano a coniugare il rispetto della vita in tutte le sue forme con la centralità della donna, della sua esistenza, delle sue capacità di scelta e del dramma che sta attraversando, non di rado in solitudine, scaturisce un’idea opposta dell’operatore o dell’operatrice sanitaria che, senza ipocrisie e subendone talora le conseguenze in termini di stigma e di carriera, è accanto alla donna.

Non invoco guerre di religione, ci mancherebbe. La questione che pongo è un’altra: è corretto e davvero rispettoso di papa Francesco fingere di non sentire, magari in nome della “dottrina dei due regni”, secondo la quale egli non si riferirebbe alle nostre beghe, alle nostre leggi o alla nostra dimensione provvisoria e caduca, ponendosi piuttosto su un altro piano? A parer mio no. Né credo giusto subire passivamente una sorta di “crociata” sul delicatissimo argomento.