In Russia “manca un moderno Sacharov, un dissidente pensatore che sia bussola morale per la società e portatore nella comunità internazionale di un messaggio diverso da quello di morte e distruzione di cui si fa alfiere oggi il Cremlino”. A fare il punto con l’AGI sulle condizioni della società civile russa, nel contesto della guerra all’Ucraina e della censura militare è Serghei Lukashevsky, ex direttore del Centro Sacharov, la storica organizzazione dedicata al celebre fisico e premio Nobel per la Pace Andrei Sacharov e di cui le autorità russe hanno ordinato di recente la chiusura.
Storico di formazione, Lukashevsky è riparato un anno fa a Berlino e gli avvocati gli hanno consigliato di non rimettere piede in Russia. “Ormai non è più possibile la convivenza del regime con organizzazioni e istituzioni pubbliche indipendenti, che sono state praticamente tutte dissolte”, racconta lo storico, notando come “il dissenso oggi sia concentrato nel privato, con azioni individuali di chi aiuta i rifugiati ucraini o difende i prigionieri politici in tribunale”. “Appena si varca lo spazio pubblico si rischia il carcere”.
Etichettato come “agente straniero”, il Centro Sacharov è stato ‘sfrattato’ dalle autorità di Mosca dalla sua storica sede al numero 57 di Zemljanoj Val nella capitale. L’edificio sul fiume Jauza, che ospitava un museo e l’archivio del grande dissidente, padre della bomba a idrogeno sovietica, ha rappresentato per quasi 30 anni una rara isola di libertà di pensiero ed espressione.
“Oggi il rischio maggiore è essere incriminati per la legge sul ‘discredito dell’esercito’ o per quella sulla ‘diffusione di fake news sulle forze armate’ e non riguarda solo la guerra in Ucraina, ma anche quelle passate, dalla Cecenia alla Georgia, di cui oggi non si può più parlare”, spiega Lukashevsky.
Il Centro organizzava mostre, dibattiti, spettacoli teatrali. Nel 2015, ha ospitato la camera ardente dell’ex vice premier, poi oppositore del Cremlino, Boris Nemtsov, ucciso in pieno centro a Mosca. A metà gennaio, si attende la decisione dei giudici sull’appello presentato contro l’ordine di chiusura. “Non abbiamo nessuna speranza”, ammette Lukashevsky, “ma per noi è di fondamentale importanza documentare il più possibile l’iter assolutamente illegale della nostra liquidazione. Tutta questa cronaca di violazioni della legge, della Costituzione e dei diritti umani deve essere registrata”.
La vicenda del Centro Sacharov è solo un tassello del vasto puzzle della repressione delle organizzazioni e dei movimenti critici del potere in Russia, che ha avuto la sua escalation dopo l’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. La stessa sorte è toccata tra gli altri anche alla Ong per i diritti umani e Nobel per la Pace Memorial e al Gruppo Helsinki. “Con queste decisioni”, spiega, “si sancisce la fine di un’epoca, lo Stato rompe in modo deciso con lo spirito degli ideali che hanno ispirato le persone negli Anni ’80 con la perestrojka e all’inizio dei Novanta col tentativo di riforme democratiche”.
Lukashevsky non ama i parallelismi dell’attuale regime con quello di Stalin e in questo forse vede una speranza. “Non siamo davanti a numeri di una repressione di massa, anche se i verdetti si sono fatti feroci, ed è vero che sotto Putin abbiamo assistito a un peggioramento della situazione politica, ma allo stesso tempo c’è stato lo sviluppo della società civile: non solo di Ong, ma anche di movimenti dal basso che si creavano intorno a cause comuni – ecologia, scuole, qualità della vita, difesa di orfani e disabili – abbiamo visto un processo di umanizzazione e unione della società. Ed è questa minoranza attiva, modernizzata, europeista e che sostiene i valori universali che l’attuale regime vuole schiacciare”.
“Nel 1968, quando l’Urss invase la Cecoslovacchia, in Piazza Rossa scesero a protestare sette persone, nessuno quando l’Unione sovietica invase l’Afghanistan, mentre oggi sono 20mila i russi arrestati per aver protestato in diverse forme contro la guerra in Ucraina”, ricorda Lukashevsky.
Lukashevsky non condivide il ritratto di una Russia schierata in modo compatto a favore della guerra. Cita i sondaggi secondo cui dal 10 al 20% della popolazione, “vale a dire milioni di persone”, è pronto a dire apertamente che è contro la cosiddetta “operazione militare speciale”. Una fetta che aumenta “se aggiungiamo quelli che si dicono favorevoli al conflitto solo per paura o lealtà”.
Oggi direttore della neonata radio podcast Sacharov, messa in piedi con giornalisti tedeschi, Lukashevsky ci tiene a sottolineare “l’importanza per la Russia di riflettere su come uscire dall’impasse intellettuale e morale in cui l’ha portata la guerra”. Per questo, a suo dire, è necessario rileggere Sacharov e farne propri gli insegnamenti su diritti umani e politica non solo in Russia, ma anche all’estero. Proprio il Centro Sacharov è stato promotore del progetto di graphic novel ‘Andrej Sacharov – L’uomo che non aveva paura’ uscito in Russia per Samokat e quest’anno in Italia per i tipi di Caissa Italia: una biografia che ripercorre la vita del grande scienziato sovietico tra reportage e memorie sullo sfondo degli sconvolgimenti storici, dalla Rivoluzione d’Ottobre alla perestrojka.
Percorso interiormente dagli interrogativi etici sulla sperimentazione, Sacharov diventa forte sostenitore del disarmo. La sua esistenza è caratterizzata da una costante: scegliere sempre l’azione, mai il quieto vivere. “Non avere paura è l’appello più importante da far risuonare oggi in Russia”, sottolinea Lukashevsky, “non significa andare in piazza e rischiare il carcere, ma non rimanere con le mani in mano, mantenere un’opposizione anche solo culturale”. Il regime “non ha l’apparato sufficiente per mettere in galera tutti, ma vuole che abbiamo paura di pensare da persone libere e che accettiamo la propaganda come un meccanismo di difesa”. Sacharov, ricorda, diceva che “quando tutto va male bisogna costruire e conservare gli ideali”; già negli Anni ’70, sosteneva che i “Paesi liberi non devono dipendere dalle risorse delle autocrazie e aveva messo in guardia da populismo e avventurismo politico come strumenti per prendere il controllo del potere”. “I suoi moniti sono rimasti inascoltati in Occidente”, si rammarica Lukashevksy, “ma li vediamo tutti avverati in diversi Paesi”.
“La società civile russa sopravviverà anche a Putin, abbiamo oltre 200 anni di tradizione di dissidenza ma oggi servirebbe un nuovo Sacharov, che sia non solo esempio di coraggio, come Aleksei Navalny o Vladimir Kara-Murza, ma anche un grande pensatore come il dissidente sovietico, in grado di plasmare idee per il futuro”. (AGI)