L’opera omnia di Giuseppe Roberto Mignosi ha una stella polare: la fede cattolica. Questo emerge anche dal suo ultimo ‘romanzo breve’, il cui titolo ‘Giusto. La soluzione del perdono’ riassume perfettamente l’indirizzo del libro e la meta ultima dell’autore. E’ un filo conduttore che si ritrova anche nelle sue pubblicazioni precedenti: ‘Boia nella rete’ e ‘Una felicità fatta di briciole’.
Tutta la storia si svolge in un solo giorno e lo stesso autore scrive nella prefazione che “non vi è un vero motivo. Si tratta, forse, di un vezzo teatrale”. Mignosi utilizza come voce narrante la cittadina T., nella Tuscia, che tra le righe potrebbe essere Tuscania, anche se l’autore non lo svela mai
esplicitamente e preferisce ricorrere a “una città senza nome”.
Il protagonista è Giusto, le cui ultime parole sono: “Quando finalmente nasce il Perfetto, il frammentario muore”. E’ la summa di una vita, spesa a perdonare gli altri. Il fratello che gli ha sottratto con l’inganno una cospicua fetta di eredità, il socio che lo ha truffato, l’amico che lo tradisce con la moglie. L’unico personaggio sincero, con cui Giusto si confida in lunghe passeggiate al di fuori delle mura è don Felice, ex compagno di scuola e ora parroco di T.
Mignosi, nella prefazione, ammette di avere pescato a piene mani “dall’amato Schopenhauer”. Giusto, prima di morire, riassume così a don Felice il suo stile di vita apatico, rassegnato e rinunciatario: “Tutti mi considerano un imbecille, una sorta di minorato di cui è facile prendersi gioco perché nemmeno comprende di essere stato truffato, derubato, tradito. Ma non è così. Io ho sempre capito tutto. Ma il problema era che io ho sempre visto quello che gli altri non vedevano e cioè l’inutilità del male che queste persone mi facevano e il motivo che li spingeva a farmelo: la loro sofferenza, la loro incapacità di accettare il fatto che la vita è dolore e che non è possibile liberarsene né con il denaro, né con il potere, né col piacere sessuale… Essere
vivi significa infatti soffrire ed è un destino comune così drammatico che dovrebbe invogliare tutti a stringerci in un abbraccio solidale, a perdonarci reciprocamente. Invece pensiamo che sia possibile evitare o almeno diminuire il nostro dolore imbrogliando, derubando o tradendo”.
Giusto prosegue: “Chi voglia essere buono deve riuscire ad allontanarsi dalla vita, che è intrisa di sofferenza, e guardare le passioni degli uomini e le loro azioni malvagie dal di fuori, da lontano, con indifferenza. Questo è ciò che ho cercato di fare per tutta la mia vita, ma, come ho già detto, ho dovuto pagare un prezzo: quello di apparire un apatico, uno stupido, un tardo di comprendonio, un demente, un povero fesso tradito e derubato. C’è un solo modo per affrontare la sofferenza e la malvagità che ci circondano ed è comprendere la realtà, comprendere la connessione tra impulso vitale e dolore, tra disperazione e malvagità, perché di queste cose è fatto l’universo. Ma, non appena comprendi, vieni pervaso non solo da un senso profondo di pace, ma anche da una immensa compassione per tutti gli esseri viventi. Ed è la compassione che conduce al perdono”.
L’opera omnia di Giuseppe Roberto Mignosi ha una stella polare: la fede cattolica. Questo emerge anche dal suo ultimo ‘romanzo breve’, il cui titolo ‘Giusto. La soluzione del perdono’ riassume perfettamente l’indirizzo del libro e la meta ultima dell’autore. E’ un filo conduttore che si ritrova anche nelle sue pubblicazioni precedenti: ‘Boia nella rete’ e ‘Una felicità fatta di briciole’.
Tutta la storia si svolge in un solo giorno e lo stesso autore scrive nella prefazione che “non vi è un vero motivo. Si tratta, forse, di un vezzo teatrale”. Mignosi utilizza come voce narrante la cittadina T., nella Tuscia, che tra le righe potrebbe essere Tuscania, anche se l’autore non lo svela mai
esplicitamente e preferisce ricorrere a “una città senza nome”.
Il protagonista è Giusto, le cui ultime parole sono: “Quando finalmente nasce il Perfetto, il frammentario muore”. E’ la summa di una vita, spesa a perdonare gli altri. Il fratello che gli ha sottratto con l’inganno una cospicua fetta di eredità, il socio che lo ha truffato, l’amico che lo tradisce con la moglie. L’unico personaggio sincero, con cui Giusto si confida in lunghe passeggiate al di fuori delle mura è don Felice, ex compagno di scuola e ora parroco di T.(AGI)