Libri: Federico alla Guerra dei 7 anni, aggressore o vittima?


Nel 1756 Federico il Grande invase la Sassonia dando inizio al primo conflitto mondiale della storia,
la Guerra dei Sette Anni, dal quale sarebbe uscito trionfatore. Gli storici hanno assegnato al sovrano di Prussia il ruolo di “aggressore” ma in realtà Federico agì dopo aver scoperto che l’Europa intera si era coalizzata contro di lui e si apprestava a ridurlo a marchese del Brandeburgo. È la tesi, basata su documenti d’archivio finora ignorati o a suo dire volutamente trascurati, che espone Claudio Guidi nel secondo volume della sua tetralogia (editore Il Melangolo) dedicata a Federico II di Hohenzoller.
Del resto, annota l’autore, il ministro degli Esteri austriaco Wenzel Anton Von Kaunitz-Rietberg non nascondeva l’intento di mirare a una “riduzione della Prussia alla sua condizione primitiva di piccola potenza insignificante”.
“La Guerra dei Sette anni”, questo il titolo del volume di 544 pagine appena pubblicato del saggista e giornalista abruzzese residente in Germania, si sofferma anche sul grandioso ma conflittuale rapporto del sovrano ammirato da Napoleone e Karl Marx con Voltaire, quello tra “due geni non fatti per stare vicini”. E poi sulla misoginia del ‘solitario di Sanssouci’ nemico giurato di Mme de Pompadour, della zarina Elisabetta e di Maria Teresa d’Austria che sosteneva che “per rovinare un Paese, basta farlo governare da una donna”.
L’uomo che per il suo genio militare entusiasmerà Napoleone, sarà sempre in prima fila davanti ai suoi in tutte le battaglie della guerra dei Sette anni, si vedrà abbattere cinque cavalli sui quali è seduto, con la sua tabacchiera che ferma una pallottola e un’altra che gli arriva in petto ormai a fine corsa. Nel volume fa sempre capolino anche la vita privata di Federico, con tanti dettagli curiosi e godibili, dalla sua ghiottoneria, che gli fa assumere il miglior cuoco francese in circolazione, alla sua avidità di bottarga, che si fa spedire da Algarotti dall’Italia.
L’uomo che si definisce primo servitore dello Stato e che per questo lavora fin dalle quattro del mattino, non piace umanamente a Denis Diderot, che pure lo ammira, ma che lo definisce “balzano come un pappagallo e maligno come una scimmia”. Per Johann Wilfgang Goethe rappresenta la stella polare intorno alla quale gira il mondo intero, mentre nel descrivere l’ascesa di questo astro Voltaire dirà che il nord sussultò, tutto l’Olimpo accorse e Federico apparve.
La consacrazione definitiva a campione dell’umanità, per avere abolito la servitù della gleba, arriva a Federico il Grande da Karl Marx, per il quale fu “il primo a dare la terra ai contadini”.
Da questo secondo grande affresco del sovrano prussiano emerge la figura di un personaggio creato dalla natura per diventare un artista, poeta o musicista, come dimostrerà poi a sufficienza, ma che si trasforma di colpo nel più grande condottiero del secolo subito dopo essere salito al trono a 28 anni. Si tratta di un uomo che tre giorni dopo abolisce la pena di morte, la tortura, la censura, che riforma la giustizia, facendo concludere i processi nel giro di un anno, che favorisce l’istruzione generalizzata in tutta la Prussia, accogliendo da ateo come insegnanti i gesuiti cacciati dall’Europa intera, ma introduce una totale libertà di culto, poiché “ognuno ha il diritto di salire in Cielo secondo i suoi gusti”.
Il tutto in un secolo dominato ovunque dal più bieco oscurantismo, caratterizzato dalle persecuzioni religiose più atroci e con i roghi sempre pronti a essere accesi. Un re flautista con un talento e una sensibilità stupefacenti, che oggi secondo le testimonianze di tutti i contemporanei ne avrebbero fatto un grande solista, che fornisce peraltro a Bach il tema sul quale verranno composte le variazioni dell’Offerta Musicale. Ma è anche l’uomo di una brutalità inarrivabile, specie nei confronti della moglie, costretta a condurre una vita da vedova lontano da lui, che non avrà mai il diritto di mettere piede nella reggia di Sanssouci. Non se la caverà meglio il fratello minore ed erede al trono, August Wilhelm, che morirà di crepacuore dopo essere stato destituito da generale, per i presunti errori compiuti in una battaglia perduta e ricoperto per questo da terribili contumelie. Il suo fiuto letterario rimane invece infallibile, poiché sarà il primo a leggere e rileggere altre tre volte Candide di Voltaire, “l’unico romanzo che valga la pena di leggere e rileggere più volte”. (AGI)

SAR