L’EUROPA TRA HARRIS E TRUMP


Di Angelo Panebianco

Il ritorno della storia. I governanti europei tengono le bocche cucite ma hanno tutti il fiato sospeso. Alle Presidenziali di novembre vincerà Kamala Harris o vincerà Donald Trump? L’incertezza è massima, si ipotizza uno scontro all’ultimo voto. Il destino dell’europa (oltre che, ovviamente, del resto del mondo) potrebbe essere appeso a una manciata di consensi elettorali nei pochi Stati americani in bilico.
Primo scenario: vince Kamala Harris. L’europa tira un sospiro di sollievo. Viene premiata la continuità. Non ci si aspettano grandi differenze fra la postura internazionale dell’amministrazione Biden e quella di una ipotetica Amministrazione Harris. L’ucraina continuerà a godere della assistenza americana, la Nato non perderà la sua funzione di collante militare del mondo occidentale. Però ogni medaglia ha il suo rovescio. Il sollievo per la sconfitta di Trump potrebbe fare dimenticare agli europei il fatto che l’america non è più quella di un tempo, che la contrazione della sua esposizione internazionale era cominciata con la presidenza di Barack Obama (sponsor di Harris), che inoltre — Harris o Trump non fa differenza — la priorità strategica degli Stati Uniti è oggi il contenimento della Cina. La competizione in Asia avrebbe comunque la precedenza anche con una Amministrazione democratica, rispetto a quanto accade in altri scacchieri.
Un celebre commentatore americano, Walter Lippmann, sosteneva che il segreto della politica estera consiste nel mantenere un equilibrio fra gli impegni internazionali e le risorse disponibili. In una fase di declino relativo della potenza americana, le risorse di cui dispongono gli Stati Uniti si sono contratte e gli impegni devono essere ridimensionati.
Anche con una Amministrazione Harris non verrebbe meno per l’europa l’esigenza di fare molto di più di quanto fa oggi per provvedere alla propria sicurezza. Però l’euforia per la sconfitta di Trump, il senso di scampato pericolo, potrebbero togliere lucidità agli europei, spingerli a rinviare decisioni politicamente costose.
Secondo scenario: vince Trump. Uno tsunami. In Ucraina la guerra, plausibilmente, terminerebbe alle condizioni di Putin. La Nato entrerebbe in crisi. Trump non ha mai fatto mistero di considerare gli europei, non una risorsa, ma una palla al piede, un club di parassiti. In Europa la vittoria di Trump galvanizzerebbe le correnti anti-occidentali (filo- putiniane). I nemici dell’occidente, Russia, Cina, Iran, jihadisti provenienti da ogni parte del mondo islamico, prenderebbero atto con soddisfazione che l’europa è debole, in difficoltà, con la gola scoperta. Un facile bersaglio.
Per le suddette ragioni, con la vittoria di Trump, in Europa si diffonderebbe il panico. Il panico, a volte, spinge a fare le scelte giuste. In questo caso la scelta giusta sarebbe quella di rafforzare la coesione dell’europa. Soprattutto, bisognerebbe passare dalle parole ai fatti in materia di difesa europea: costruire la famosa «gamba europea» della Nato nella speranza che, magari acciaccata, la Nato riesca a sopravvivere persino a Trump. Ma il panico, a volte, non spinge a fare le scelte giuste. All’insegna del «si salvi chi può», gli europei potrebbero muoversi in ordine sparso, ciascuno cercando per proprio conto la salvezza. Una cosa è comunque certa. Dato il disinteresse e il disprezzo di Trump per gli accordi multilaterali, i governi europei si troverebbero a dovere negoziare, ciascuno per proprio conto, le condizioni dei loro nuovi rapporti con gli Stati Uniti. Si può scommettere sul fatto che Trump «snobberebbe» le autorità di Bruxelles e accetterebbe solo di trattare con i governi nazionali. Per esempio, l’italia dovrebbe negoziare individualmente con l’amministrazione americana in merito ai numerosi contenziosi economici. Soprattutto, stante che i pericoli maggiori per il nostro Paese vengono dalla sponda Sud del Mediterraneo, l’italia dovrebbe cercare di strappare a Trump il massimo possibile di copertura e protezione militare in questo scacchiere.
È ovvio che ai governi europei, anche se (giustamente) evitano di dirlo apertamente, conviene una vittoria di Harris, ma essi sanno anche che dovranno fare buon viso a cattivo gioco se la vittoria andrà al suo avversario.
Potrebbe vincere Harris o potrebbe vincere Trump. Ma c’è anche un terzo possibile scenario. Kamala Harris vince per un soffio e Trump non accetta la sconfitta. Segue un periodo di disordini e di violenze. Con la sua tradizionale impudenza Trump potrebbe denunciare elezioni truccate magari citando il caso del Venezuela (dove però il trucco c’è stato davvero). Un’america in preda ai disordini sarebbe, prima che venissero ripristinati calma e ordine, internazionalmente debolissima. E molti, in giro per il mondo, ne approfitterebbero.
Persino nell’eventualità più favorevole, ossia se vincesse Harris, gli europei dovrebbero darsi da fare per provvedere di più a se stessi. Se la politica fosse un gioco dominato solo da calcoli razionali, i giocatori europei saprebbero che cosa va fatto e lo farebbero. Ma in politica i calcoli razionali devono sempre fare i conti con passioni, pregiudizi, pigrizie mentali, visioni distorte dei fatti, difesa a oltranza di interessi di breve termine anche se ciò compromette l’interesse di più lungo termine. C’è sempre uno scarto fra ciò che si dovrebbe fare e ciò che si può fare.

Fonte: Corriere