di Giovanni Cominelli
Sabato 15 marzo la Piazza ha parlato: tanto dal palco quanto dalla platea. Ma anche la maggioranza silenziosa si è fatta sentire, attraverso il sondaggio di Nando Pagnoncelli, pubblicato lo stesso giorno sul Corriere della Sera.
Lo specchio della piazza e quello del sondaggio riflettono grosso modo la stessa immagine: gli Italiani vogliono stare alla larga dallo scontro in atto sul confine ucraino e non hanno voglia di spendere soldi in più per la difesa dell’Europa.
Il silenzio multipartisan della classe dirigente
Sabato si è visto plasticamente quel neutralismo in atto, alle cui radici storico-culturali abbiamo qui dedicato attenzione una settimana fa.
A questo punto, poiché il resto dell’Europa, cioè tutti gli altri, si è messo in cammino e non ci aspetta e poiché noi siamo “in Europa e dell’Europa”, la classe politica del Paese deve decidere cosa fare.
Le classi dirigenti di altri Paesi europei stanno già progettando un’Europa diversa in un mondo diverso, post-trumpiano e, possibilmente, a-putiniano.
Ora, il primo dato che emerge, a proposito di classe politica dirigente italiana, è che non si dà nessuna differenza sostanziale tra la Destra e la Sinistra. A proposito di neutralismo, i partiti sono ecumenicamente bi-tri-quadri-partisan.
Essi sono democraticamente in sintonia con il Paese reale. Solo che un Paese così governato sta andando fuori asse rispetto al resto dell’Europa.
Questo è il lato drammatico della condizione del nostro Paese, che sta scivolando ecumenicamente e democraticamente verso l’irrilevanza. La classe dirigente si autoriduce a portavoce dell’opinione pubblica nazionale media neutralista. Ascolta il Paese ma non dirige un bel nulla! Abbiamo eletto una classe dirigente che fugge dalla realtà e ha paura di dire la verità agli elettori. Ai quali si raccontano favole belle in cambio di bei voti. Quando il finale non sarà esattamente “da favola” i suddetti elettori e il Paese pagheranno. A chi? A Putin e a Trump.
L’arrivo di Putin
L’operazione speciale di Putin contro l’Ucraina non è un episodio bellico marginale, è una guerra europea, perché i Paesi coinvolti sono storicamente europei, ancorché separati dall’Europa nel 1917 dalla cortina bolscevica e nel 1946 da quella di ferro. La Russia zarista, bolscevica e post-gorbacioviana hanno partecipato da sempre alla storia europea.
L’ipotesi accarezzata all’indomani del 1991, con il dissolvimento dell’URSS, di coinvolgere la Russia in un sistema collettivo di sicurezza europeo e persino atlantico è fallito, in primo luogo per il disfacimento autogeno della società comunista.
La nuova classe dirigente non era costituita da niente altro che dai sempiterni esponenti del PCUS, dell’Armata Rossa, del KGB, dell’Accademia, dei Sindacati, del Komsomol… che si sono riciclati rapidamente come classe oligarchica estrattiva, rapinatrice delle ricchezze naturali del Paese tanto in Russia quanto in Ucraina quanto in Bulgaria, Romania, Uzbekistan, Azerbaigian ecc…
Hanno fatto credere al popolo che il regime di rapina selvaggia fosse il famoso “capitalismo”. Lo scontento del popolo, esposto in pochissimi anni a cambiamenti socio-economici traumatici e al peggioramento verticale delle condizioni di vita, è stato raccolto furbescamente da una parte della vecchia élite, trasformatasi in oligarchia straricca, a partire personalmente da Putin.
By-passando all’indietro l’intera classe dirigente sovietica e russa, ha recuperato lo Stalin del 1939 e Pietro il Grande del 1696, in nome di un disegno di grandezza imperiale che Putin ha lucidamente riproposto il 21 febbraio 2023, un anno dopo l’invasione: “Vorrei sottolineare ancora una volta che l’Ucraina per noi non è solo un Paese vicino: è una parte inalienabile della nostra storia, della nostra cultura e del nostro spazio spirituale.
Da tempo immemorabile, le persone che vivono nel sud-ovest di quella che storicamente è stata la terra russa si chiamano russi e cristiani ortodossi”. È il famoso Russkij Mir, il “mondo russo”.
L’iniziativa bellica di Putin è colpa dell’Occidente?
Certamente il capitalismo liberal-democratico euro-americano non ha compreso l’aspro processo storico-sociale in corso nella ex-URSS dopo il 1989.
La vendita salvifica, porta a porta, delle formule del capitalismo liberale ad una società totalitaria, perciò corrotta fino al midollo, ignara delle regole, delle istituzioni, della morale del mercato, incapace di selezionare in pochissimi anni una classe dirigente alternativa, si è rivelata ingenua e fallimentare.
L’apertura dei McDonald a Mosca e San Pietroburgo era ben lungi dal poter importare lo spirito del capitalismo liberale. Come ha scritto una volta il polacco Adam Michnik: “La cosa peggiore del comunismo è quanto viene dopo di esso”. Che è puntualmente venuto.
L’aggressività russa è colpa dell’”abbaiare della Nato”? La Nato si è allargata, perché i popoli confinanti con la Russia, a partire da quelli ex-comunisti, hanno avuto e hanno paura del ritorno dell’Impero russo e hanno scelto in tutta libertà di entrare nella Nato. Non sono stati costretti da nessuno come lo furono, viceversa, ad entrare nel Patto di Varsavia nel 1955.
Si può dar loro torto? Chiunque faccia un giro in Polonia o nelle Repubbliche baltiche scoprirà personalmente che la paura dei Russi tra gli abitanti è prevalente. Campata per aria? Vaglielo a spiegare, se sei capace! Li hanno conosciuti per decenni ed è loro bastato. Che la Destra e la Sinistra in Italia non spieghino queste cose al proprio elettorato induce forti dubbi circa la buona fede e circa la cultura storica di base di questa nostra classe dirigente.
La partenza di Trump dall’Europa
Il secondo conto da pagare è agli Americani. Gli Usa hanno la Cina cui pensare. Non avvertono più la Russia come minaccia alla loro sicurezza. Il comunismo è morto, sostituito da una “democrazia illiberale”, verso la quale va la personale simpatia di Trump. Inutile gridare al tradimento.
Gli Europei si sentono minacciati? Che paghino di persona. È un invito del tutto ragionevole. La risposta della piazza e del sondaggio è il rifiuto di pagare: gli Europei non si sentono insicuri, perciò non hanno necessità di difendersi. No, dunque, a spese militari ulteriori.
Che si potrebbero anche prevedere, ma solo se esistesse un’Europa federale. Che al momento non c’è. Il che è un ottimo alibi per questo “Paese dei balocchi”. La classe politica non ha il coraggio di dire agli elettori che, sì, aumentare le spese militari implica la diminuzione in altri settori, un inasprimento della tassazione. Insomma, gli Italiani non possono contemporaneamente bere e fischiare. Se però “ReArm Europe” è un pezzo della sfida esistenziale europea e dell’Occidente europeo, resta difficile vincerla, se la nostra classe dirigente si dà alla fuga.
Pubblicato su www.santalessandro,org il 18 marzo 2025