AGI – “Autorevole” è l’aggettivo utilizzato dalla minoranza dem, e da Base Riformista avanti a tutte, per definire Enrico Letta. L’altro termine che ricorre nei commenti, identici nei contenuti, è “congresso”. L’area guidata da Lorenzo Guerini e Luca Lotti è rimasta spiazzata tanto dalle repentine dimissioni di Nicola Zingaretti, quanto dal ritorno sulla scena dell’ex presidente del consiglio.
Un ritorno al momento solo evocato visto che, nonostante la montagna di messaggi di incoraggiamento ricevuti, l’interessato si è preso 48 ore per riflettere. Se dovesse accettare le sollecitazioni arrivate dal partito che ha contribuito a far nascere, Letta si dovrà presentare davanti all’assemblea dem convocata per domenica 14 marzo per farsi eleggere.
Rapporti di forza chiari
Sui rapporti di forza all’interno dell’assemblea ci sono pochi dubbi visto che l’assise rispecchia i valori in campo all’ultimo congresso con Nicola Zingaretti che ha guadagnato circa il 66 per cento dei consensi, ai quali si aggiungono quelli della componente Martina, nel frattempo confluita nella maggioranza. Di contro, Base Riformista, la più corposa fra le minoranze interne (c’è anche l’area che guarda a Matteo Orfini) conta circa il 18 per cento dei consensi in assemblea.
Se Letta dovesse decidere per la candidatura, non ci dovrebbero essere intoppi alla sua elezione. Ma se non dovesse esserci una “proposta forte ed autorevole”, come quella di enrico Letta, “che arrivi alla scadenza naturale del mandato, nel 2023” allora “si convocherebbe il congresso”, come spiegato da Nicola Oddati a Rainews24.
Al momento, tuttavia, quello di Enrico Letta è il solo nome che viene fatto e anche le voci su una possibile candidatura femminile sembrano essersi arenate: in preparazione c’è, è vero, un documento che sta preparando la conferenza delle donne del Pd, ma in questo documento non c’è alcuna indicazione circa le candidature alla segreteria.
I timori della maggioranza dem
A far riflettere, però, è la situazione interna al partito: la maggioranza degli organi statutari non corrisponde, infatti, alla maggioranza nei gruppi parlamentari che, ad oggi, sono quelli formati sulla base delle liste elettorali scritte da Matteo Renzi prima della sconfitta alle politiche del 2018. Da lì sono partiti gli attacchi alla segreteria che hanno portato alle dimissioni di Nicola Zingaretti. Da lì, è il timore della maggioranza, potrebbero partire nuovi attacchi a una eventuale segreteria Letta ma, più in generale, a qualsiasi segreteria espressione di questa maggioranza.
Per questa ragione Pietro Bussolati, membro della segreteria Zingaretti, avverte: “Mi auguro davvero che la ricreazione sia finita, spero si abbia la generosità di sostenere Enrico Letta come segretario di tutti e che non si tentino tristi operazioni mediatiche per logorare il segretario prima ancora che si sia messo a disposizione”.
L’obiettivo dichiarato delle minoranze è quello di spezzare l’asse che si è venuto a creare con il Movimento 5 Stelle. Una alleanza considerata un tabù fino al 2019, ma l’esperienza di governo assieme all’ex alleato Renzi e al nuovo alleato Conte ha ribaltato la situazione e il Pd è ora il fulcro dell’alleanza con M5s e Leu.
Una linea che gli organi statutari del partito, dalla direzione ai gruppi parlamentari, hanno approvato a più riprese e all’unanimità senza, tuttavia, riuscire a placare gli animi delle minoranze presenti fra i gruppi di Palazzo Montecitorio e Palazzo Madama. Nella maggioranza del partito c’è la convinzione che in ballo ci siano le liste per le politiche 2023.
Il nodo delle liste elettorali
In altre parole, “chi guiderà il partito, deciderà chi sarà eletto in Parlamento alle prossime elezioni e nei gruppi del Pd c’è chi è molto preoccupato da questo”. Ecco perchè, è il ragionamento che viene fatto, “le minoranze non vogliono un segretario forte e autorevole: un eccesso di autonomia lo potrebbe portare a non confermare molti nomi che sono oggi in Parlamento”.
Da qui la richiesta delle minoranze dem, ribadita anche oggi, di aprire il congresso “non appena possibile” e, comunque, non più tardi del 2022. Lo ribadisce il portavoce di Base Riformista, Andrea Romano: “Enrico Letta è una figura di indiscutibile autorevolezza e prestigio”, che “garantirebbe equilibrio e saggezza”, dice Romano aggiungendo di considerare “inevitabile” una discussione congressuale “in tempi rapidi, e comunque non appena la pandemia lo consentirà”.
I tempi per il congresso
Per un altro esponente di Base Riformista come Andrea Marcucci il congresso può iniziare “dopo le amministrative, a fine di quest’anno” ed è “da concludersi entro la primavera del 2022”. Parole alle quali risponde un parlamentare vicino a Nicola Zingaretti: “Marcucci, come altri che hanno speso più tempo a fare polemiche che a dare un mano al partito, non è in una posizione che gli consente di porre condizioni al nome di Enrico Letta. Non hanno capito che la ricreazione è finita”.
Ma da qui all’eventuale congresso che cosa potrebbe cambiare? Il sospetto della maggioranza dem è che, da Camera e Senato si possa continuare il fuoco amico sulla segreteria così da delegittimare definitivamente la maggioranza del partito e arrivare al congresso con un nome in grado di ribaltare i rapporti di forza interni.
Source: agi