Letizia De Martino, a soli 27 anni divenne la prima donna giudice d’Italia. Correva l’anno 1964.
Sposata con il maggiore Saro Ferone e madre di due bimbi piccolissimi, trovò il tempo di studiare e prepararsi all’esame di concorso per la Magistratura, arrivata seconda e superata di poco dal primo ammesso. Letizia De Martino è tra le otto donne che superarono nel ’64 il primo concorso in magistratura non riservato a soli uomini.
Il 9 febbraio 1963 fu una data storica fondamentale per l’ingresso delle donne in magistratura: ci sono voluti quindici anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione per avere l’affermazione del principio di uguaglianza fra i sessi nell’accesso in magistratura, prima di quel giorno le donne erano completamente escluse da tutti gli uffici pubblici che implicavano l’esercizio di diritti e di potestà politiche. La proposta venne approvata con la legge 9 febbraio 1963 n. 66 che sancì l’Ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle libere professioni.
Il primo concorso aperto anche alle donne venne bandito il 3 maggio 1963 e fu vinto da otto donne e le prime donne magistrato entrarono in servizio il 5 aprile 1965. Tra queste c’era anche la napoletana Letizia De Martino, che arrivò seconda al concorso dopo un uomo.
Ma l’entrata delle donne in magistratura non fu subito facile e ben accolta: le nuove magistrate dovettero affrontare un clima di ostilità e pregiudizi, la donna poteva votare (ed era già un gran traguardo per l’epoca), poteva educare ma non giudicare, soprattutto uomini.
“Il pretore di Napoli – raccontò Letizia De Martino in un’intervista a Radio Radicale (5 novembre 2005) – voleva assegnarmi all’ufficio civile e di fronte alla mia richiesta di essere assegnata al settore penale cercò di dissuadermi perché aveva un carico di lavoro molto pesante“. “Ho dovuto fare delle scelte perché ero sposata e avevo dei figli e chiesi di essere assegnata in Pretura, con orari più normali“, affermò.
Nel settembre del 2000 ha riposto per sempre la toga nell’armadietto, dopo 36 anni di servizio trascorsi in pretura, poi in tribunale ed infine in corte d’appello.