AGI – Un “uomo in rivolta”. Antonio Di Grado, al quale Leonardo Sciascia affidò la guida della Fondazione a lui intitolata, si rifà ad Albert Camus per definire il grande scrittore siciliano, del quale domani ricorre il centenario della nascita. “Per Camus – spiega Di Grado all’AGI – la rivolta è altra cosa dalla rivoluzione, ovvero un impeto vitale, esistenziale, etico, da un senso elementare di giustizia. Le rivoluzioni, invece, sostituiscono un potere a un altro”. L’autore de ‘Morte dell’Inquisitore’ e di ‘Candido, un sogno fatto in Sicilia’ era “un demistificatore, uno smascheratore, maestro del dissenso e del dubbio, e con Pier Paolo Pasolini uno degli ultimi veri grandi intellettuali che l’Italia ha avuto”.
Oggi, intorno alla sua importanza il consenso è unanime. “Si prende finalmente atto – prosegue Di Grado – dell’importanza di questo intellettuale. Non so se avrebbe fatto piacere a lui, questa unanimità. Vi sono romanzi, tra cui ‘Il contesto’, in cui e’ atterrito dall’unanimità, da questo viluppo di alleanze, corresponsabilità, omertà che fanno tutti responsabili del male”. Il suo stesso confronto con il Settecento, che amava, “era problematico, aperto: Candido si congeda dalla statua di Voltaire dicendo che non abbiamo bisogno di padri. Lui, che partiva da questa concezione illuministica, era capace di confrontarsi con culture altre dalla sua e di nutrire perfino il dubbio religioso, mettendo insieme Montaigne e Pascal, illuministi e grandi scrittori cristiani come Manzoni”.
In questo suo insistere nel dubbio quanto ha influito il suicidio, avvenuto quando lui era giovane, del fratello? “E’ difficile dirlo, è una domanda a cui non si può dare risposta perchè lui ha sempre taciuti di questo avvenimento, che certamente segnò la sua vita ma di cui non sappiamo nulla”.
E’ difficile immaginare sulla scena pubblica odierna la presenza di un intellettuale come Leonardo Sciascia, avvolto nel ragionare in volute di fumo di una sigaretta sempre accesa, in un ‘contesto’ caratterizzato dal frastuono dei social, delle urla. “Il mondo si e’ trasformato radicalmente in questi 30 anni. Ormai – sottolinea Di Grado – prevalgono intrattenimento e rissa, non sento più in televisione un parere pacato. Sento soltanto urla e insulti, e perfino un filosofo di grande spessore come Massimo Cacciari si mette a sbraitare. Non sono tempi per Sciascia: ragionava molto pacatamente, i suoi famosi silenzi erano pause di riflessione, volontà di non farsi prendere immediatamente dalla polemica, dalla prima cosa che viene in mete. Ma non si tratta solo di Sciascia: in quegli anni si ascoltavano ragionamenti civili, perfino nelle tribune politiche”.
Leonardo Sciascia ha raccontato la Sicilia, restando in Sicilia, e utilizzando la Sicilia come punto di vista da cui interpretare la vita e il mondo. “Dalla zolfara allo Steri di Palermo e altri luoghi – afferma Di Grado, autore con Barbara Di Stefano di ‘In Sicilia con Leonardo Sciascia, prossima uscita per Perrone editore – lui, come tutti i grandi scrittori, ha riscritto la Sicilia. La Sicilia è una invenzione degli scrittori siciliani, condannati a fare i conti con l’essere siciliano, con l’amore e l’odio per questa terra e per quello che qui accade. Non fotografano la realtà, ma la trasfigurano e la sottomettono a idee e speranze. Quando scriveva i Malavoglia, i siciliani emigravano, ma Verga li voleva attaccati come ostriche alla loro terra”.
Ad Antonio Di Grado, per diversi anni professore ordinario di Letteratura all’Università di Catania, Sciascia affidò personalmente la Fondazione. “Quando gli esponenti del comune di Racalmuto gli proposero di fare una Fondazione, – spiega – propose di intitolarla a Fra Diego La Matina, racalmutese, protagonista de ‘Morte dell’inquisitore’. Ma non andò così. Scelse tutto l’organigramma, e me come direttore letterario: è stato il più grande onore che io abbia mai avuto, più di un premio o di una cattedra universitaria. Io lo frequentai soprattutto nell’ultimo decennio della sua vita, e lui apprezzava le cose che scrivevo, ma credo che nella scelta influì l’opinione di un comune amico Natale Tedesco, che insegnava Letteratura italiana a Palermo”. La Fondazione “non si è mai fermata, oggi stiamo rifacendo il sito. Abbiamo dei momenti di rallentamento, ma si deve al fatto che tutte le Fondazioni dipendono dai finanziamenti pubblici. La Fondazione, per statuto, avrebbe dovuto avere una cifra annuale dal Comune, ma solo l’ultima giunta ha cominciato a dare qualcosa. Quest’anno siamo bloccati da questa maledetta emergenza, ma pian piano tiriamo fuori le proposte per il 2021″. A quali libri di Sciascia, infine, è affezionato? “‘Il Consiglio d’Egitto’ – risponde – e Il cavaliere e la morte'”.
Vedi: Leonardo Sciascia: "Un uomo in rivolta, maestro del dissenso e del dubbio"
Fonte: cultura agi