L’economia dei dati è un gran business. E’ora di uscire dal far west


direttore Assonime Stefano Firpo

Idati sono utilizzati e scambiati grazie alla trasformazione digitale e attraverso la rete. Setacciati da data broker e sistemi sofisticati vengono aggregati, intermediati e venduti, alimentando un mercato sempre più florido, che supererà nell’ue gli 829 miliardi di euro nel 2025. La quota maggiore del valore dell’economia dei dati è e sarà generata nel settore finanziario, dove le opportunità dell’open finance, abilitate da soluzioni di sicurezza cyber antifrode, da pagamenti digitali, dalla diffusione di identità e wallet digitali renderanno il mercato dei dati ancora più redditizio. Seguiranno l’industria manifatturiera e quella farmaceutica, con un’attenzione particolare all’automazione, all’iot industriale e alla medicina di precisione. In terza posizione, si confermerà la pubblica amministrazione per gli investimenti nella modernizzazione dei servizi digitali su sanità, procurement e trasporti. Le previsioni sono promettenti. Ma non bastano a rendere competitiva l’economia europea dei dati e a superare la diffidenza di istituzioni e imprese nello scambio dei dati quale nuova fonte di creazione di valore economico e benessere sociale. In che direzione andare per rafforzare la fiducia nel mercato? La strada è segnata dalla Strategia europea sui dati che intende creare le migliori condizioni di contesto giuridico e di supporto pubblico. La premessa è pacifica: i dati sono un nuovo fattore di produzione, la loro disponibilità diventa una leva di sistema per attrarre investimenti, sviluppare tecnologie e rinnovare la competitività delle imprese. Le traiettorie sono definite: per favorirne la libera circolazione e stimolare la cooperazione sui dati occorrono standard aperti e infrastrutture interoperabili. Per garantirne lo sfruttamento e la monetizzazione vanno ribaditi e tutelati i diritti di proprietà intellettuale sui dati e garantiti i diritti personali, rimossi gli ostacoli alla portabilità e definiti contratti standardizzati che siano eseguibili in forma automatizzata per un accesso ai dati a condizioni eque da parte dei tutti gli utenti. Per superare il far west, infine, devono essere identificati e accreditati i nuovi attori, gli intermediari del mercato, che potranno offrire servizi di raccolta, aggregazione e intermediazione di dati dagli utenti per poi redistribuirli, rivenderli o anche sfruttarli direttamente. Così facendo, si allarga il mercato in termini di soggetti, prodotti, servizi e offerta innovativa, attraverso la più facile circolazione dei dati non solo all’interno di specifici settori ma anche fra settori assai diversi incrementando le possibilità di contaminazione e diffusione della conoscenza; si monetizzano i dati anche per funzioni indirette e ulteriori come i servizi di assistenza post vendita; si identificano e valorizzano gli asset immateriali e il know-how commerciale, preservando gli incentivi ad investire nella generazione, raccolta e elaborazione di dati di elevata qualità; si sviluppano nuovi modelli organizzativi e strategie di penetrazione del mercato. Sin qui tutto bene. Si tratta ora di cogliere il “momento”, anche perché le regole europee interverranno sugli spazi di autonomia delle imprese attraverso un complesso sistema di compliance. Si tratterà di rivedere e adeguare la progettazione tecnica, i processi produttivi e i modelli organizzativi; di adeguare i contratti in chiave smart con nuove clausole tipo. Per aiutare le imprese a orientarsi con fiducia in questo nuovo contesto, la definizione del modello di enforcement nazionale delle regole europee è essenziale. L’attuazione della delega relativa al Data Governance Act offre l’occasione per compiere una scelta che possa poi guidare in modo chiaro i passi successivi. Sarebbe preferibile accentrare il più possibile il sistema di enfor
cement, evitando frammentazioni che comprometterebbero la coerenza del sistema e la possibilità di mantenere un approccio strategico alla regolamentazione dell’economia dei dati. Occorre dunque individuare un unico punto di contatto – come sembra peraltro suggerire il legislatore europeo – che possa agire da coordinatore del sistema di impulso e vigilanza nazionale. In ogni caso, tenendo conto dei diversi profili di interazione tra le norme dei regolamenti e altre discipline (es. privacy, concorrenza, tutela del consumatore, cybersecurity, comunicazioni elettroniche), sarà necessaria una stretta e leale cooperazione tra tutte le istituzioni coinvolte che potranno di volta in volta esercitare le rispettive funzioni. Potranno essere a tal fine realizzate forme di coordinamento procedurale e attivati meccanismi di consultazione, sulla base di protocolli di intesa. Un elemento chiave da tenere presente nell’individuazione del soggetto coordinatore best-placed è la capacità di garantire un indirizzo strategico nell’apertura del mercato dei dati quale architrave di una politica pro trasformazione digitale. La cassetta degli attrezzi è pronta. E’ ora di aprirla e governarla per farne buon uso.

Fonte: Il Foglio