I podcast hanno vissuto una doppia infanzia. La prima dopo nascita: nel 2005, pochi mesi dopo essere comparsa per la prima volta in un articolo del Guardian, “podcast” viene nominata parola dell’anno dal New Oxford American Dictionary. La seconda è di questi tempi: il podcast cresce, ma la maturità pare ancora lontana.
Chi (e quanto) ascolta podcast in Italia
Secondo un sondaggio Ipsos, il 30% degli italiani ascolta podcast almeno una volta al mese, il 4% in più rispetto al 2019. In numeri assoluti, vuol dire 8,5 milioni di persone. Occhio però alla composizione di questa platea: più di un utente su due ha meno di 35 anni; il 22% è laureato e il 10% riveste posizioni professionali elevate; il 61% ha acquistato contenuti online, mentre l’intero comparto del digital audio si ferma al 45%. Altri due dati: il 77% ascolta il podcast mentre fa altro (era l’83% nel 2019) e il 61% segue l’intero episodio. Un utente su due, dopo aver ascoltato un messaggio pubblicitario, compie un’azione (dalla ricerca di informazioni sul marchio all’acquisto). In sintesi: i podcast hanno un pubblico giovane, con profili socio-culturali qualificati, una propensione alla spesa elevata, sempre più attento e partecipe. Tutti elementi estremamente appetibili per gli inserzionisti.
Tanto ascolto, pochi incassi
Nonostante ci siano tutti gli elementi per monetizzare, un’analisi di LoupVentures sottolinea quanto poco incassino i podcast rispetto alle loro potenzialità. Secondo l’Interactive Advertising Bureau, nel 2020 hanno fatturato 810 milioni negli Stati Uniti. Un bel balzo rispetto ai 480 milioni del 2018. Si tratta però del 5% rispetto agli introiti della radio e circa l’1,5% della pubblicità in televisione. Eppure, già oggi, il tempo speso ad ascoltare podcast è il 10% di quello della radio e il 5% di quello passato davanti alla tv. In altre parole: la quota di incassi è minore rispetto all’interesse degli utenti. È tempo di accelerare. Secondo un report di Grand View Research, il mercato globale dei podcast valeva 9,28 miliardi di dollari nel 2019. Tra il 2020 e il 2027 potrebbe crescere a un ritmo medio annuo del 27,5%.
Sfida uno: pubblicità più mirata
Senza aumentare gli utenti non si va da nessuna parte. Ma, a giudicare dai dati, questo non sembra essere un problema: i tassi di crescita sono elevati e il punto di saturazione ancora lontano. Le sfide, secondo LoopVentures, sono altre: massimizzare gli incassi pubblicitari, agevolare suggerimenti e ricerche. Per raggiungere il primo obiettivo sarebbe necessario migliorare la targettizzazione. Cioè creare inserzioni più personalizzate, esattamente come fanno Google e Facebook. Va in questa direzione l’ultima acquisizione di Spotify: lo scorso novembre, la società svedese ha messo le mani su Megaphone, una piattaforma che si occupa proprio di migliore l’efficacia degli annunci nei podcast. Spotify ha spiegato che l’operazione fornirà agli editori “strumenti innovativi per guadagnare di più dal loro lavoro”. Un po’ quello che succede con gli youtuber.
Sfida due: suggerimenti centrati
La seconda sfida riguarda una maggiore efficacia della navigazione. Netflix, Youtube, Spotify, Amazon: tutti suggeriscono contenuti e prodotti che si suppongono affini a quelli già visti, ascoltati, comprati. Nei podcast è una funzione ancora da perfezionare. Eppure indicare i contenuti giusti sarebbe fondamentale, ancor più che per un brano musicale. La ragione è banale: se una canzone non incontra il nostro gusto, può essere saltata dopo pochi secondi. I podcast, invece, durano molto di più. E capire se sono di nostro gradimento richiedono più tempo. Ecco perché avere raccomandazioni efficaci diventa decisivo. Un po’ come fa Spotify creato playlist personalizzate o come fanno migliaia di stazioni radio definendo un proprio stile musicale. Si spiega così la mossa di Apple, che lo scorso settembre ha acquisito Scout FM, una startup che punta a gestire i podcast per “canali radio”, omogenei e personalizzati.
Sfida tre: ricerca più efficace
La terza sfida è spiegata da un dato della ricerca Ipsos: il 37% degli ascoltatori ha trovato un podcast cercando su Internet un argomento di proprio interesse. Una quota (decisamente) superiore a quella degli utenti che inciampano in un podcast perché lo hanno visto sui social (il 22%). È quindi ancora preminente un’azione di ricerca autonoma e attiva. Intercettarla e, in parte, guidarla sarà importante in un ambiente sempre più affollato. Sarà quindi necessario migliorare i sistemi di ricerca, rendendoli più complessi e dettagliati: ad esempio non solo per temi e generi ma anche per autori e ospiti.
L’impegno delle grandi piattaforme
Nel 2008 Amazon ha acquisito Audible. Nel 2017 Google ha assorbito l’app di podcast 60db. Già un paio d’anni fa, Spotify ha dichiarato che il proprio futuro sarebbe stato “audio”, cioè non solo musica. Nel 2021, prevede LoopVentures, Apple potrebbe aggiungere alla sua scuderia un servizio dedicato ai podcast, simile a quelli già attivi per video, videogiochi, musica e informazione.
Certo, gli investimenti delle grandi compagnie non sono garanzia di successo, ma sono (quantomeno) un buon indizio. Per due motivi. Primo: ci vedono lungo e basano i propri investimenti (anche) su dati che (spesso) i concorrenti non hanno. Ma soprattutto perché sono piattaforme in grado di spingere i contenuti sui quali puntano. Una previsione fatta (sotto forma di investimento) da Apple, Spotify, Google o Amazon è già di per sé più attendibile perché Apple, Spotify, Google o Amazon si impegneranno per realizzarla.