Le parole alte di Mattarella nell’anno zero della politica italiana


di Augusto Lucchese

Alle ore 20,30 circa del giorno di grazia 29 gennaio 2022, l’Italia s’è salvata in corner, è uscita da sotto un treno, è scampata al naufragio. Deve ringraziare il suo antico “stellone” e perché no l’intervento della Divina Provvidenza, cui nei momenti di pericolo s’appellano i credenti.

Il discorso d’insediamento pronunciato dal Presidente Mattarella davanti alle Camere in seduta comune ed ai rappresentanti regionali ha concluso nel modo più edificante, tra scroscianti e ripetuti applausi, una settimana tra le più avvilenti che la storia parlamentare ricordi.

“Accanto alla dimensione sociale della dignità, c’è un suo significato etico e culturale che riguarda il valore delle persone e chiama in causa l’intera società”. Le parole alte di Sergio Mattarella, che hanno tracciato un’agenda particolareggiata a legislatori e governanti, che hanno evocato dignità e diritti come traguardi fondamentali da perseguire per costruire un Paese più giusto e moderno, sono da applaudire ma, soprattutto, da convertire in indirizzi politici e programmi coerenti dei partiti e in fatti concreti del governo.

Non si può, viceversa, indirizzare alcun plauso alla sempre più inaffidabile congerie degli uomini di punta di partiti e partitini, al vertice dei quali operano taluni vaganti e potenzialmente pericolosi big. Una vera galleria espositiva di personaggi bugiardi, pasticcioni, maldestri, arruffoni.

I vari capi branco, posti al centro della rispettiva più o meno numerosa gregge, hanno dimostrato di non sapere rinunciare a tracciare confini e a porre paletti segnaletici di “proprietà privata” nei feudi e nelle dependance baronali della partitocrazia, ove magari si sono insediati in forza di un discutibile mandato popolare. Come non definire tale stato di cose un vero e proprio pascolo abusivo?

La “settimana di passione” che dal 24 gennaio in poi  ha visto scendere in campo, nello storico agone di Montecitorio, le schiere di un risorto neoguelfismo e ghibellinismo, targato 2022, ha ulteriormente posto in evidenza una circostanza ormai da tempo acclarata: in Italia non esiste più, di massima, una classe politica meritevole di guidare la Nazione.

Nel corso delle “sedute congiunte”, indette per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, s’è dovuto assistere al triste spettacolo di un ripetuto rimbalzo, alla Ponzio Pilato, di giudizi e di veti incrociati su personaggi magari ignari di essere al centro di controverse diatribe. Sono state emesse, inoltre, sentenze di “indesiderabilità” in funzione di abominevoli motivazioni di parte. S’è evidenziata anche la leggerezza con cui s’è mandato sul Golgota della “conta” taluni candidati di rilievo, più o meno consenzienti, magari illudendoli con il “possiamo farcela”. Per poco non s’è dato corso alla simbolica “crocifissione” di qualche personaggio accusato di fare il doppio gioco, di “tramare” chissà quale inganno con la controparte in lizza. Trasformismo, egocentrismo, superficialismo, hanno dominato la deprimente scenografia di una aula insolitamente “vuota” e “tetra” di suo, in ossequio al “distanziamento” e alle stringenti, pur se non sempre rispettate, misure anticovid.

Escludendo uno sparuto gruppetto di nostalgici “caballeros” della vecchia guardia che godono ancora di una preziosa libertà di pensiero e d’azione, la massa dei novelli “grandi elettori”, ubbidienti – fino a un certo punto – ai preconfezionati “ordini” di chi, per un verso o per l’altro, detiene il bastone di comando, hanno dato ampia dimostrazione di avere rinunciato da tempo  alla qualifica di “rappresentanti del popolo”. Al netto dei soliti “franchi tiratori”, si sono mossi a masse compatte, da intruppati, anche in quei casi in cui le “direttive”  ricevute si sono rivelate, da un’ora all’altra, contraddittorie o addirittura incoerenti.

Hanno dimostrato che, mettendo da parte la dignità dell’alto incarico cui sono chiamati, è importante per loro mantenere il più a lungo possibile la qualifica di “onorevole” e, quindi, il diritto ai lauti emolumenti e agli appannaggi vari dei quali godono e di cui, misteriosamente, non si riesce ad avere notizie quantitative certe e alla luce del sole. Sanno che la villeggiatura romana sta per finire.

Fatta questa breve generalizzata premessa rimane ben poco da dire circa le probabili conseguenze cui, nel breve e nel lungo periodo, potrebbe andare incontro la Nazione a seguito di quanto accaduto. Una Nazione già sofferente, addirittura testata per una terapia intensiva per effetto del concatenarsi di vari fattori, quali il tragico sviluppo di debilitanti pandemie, l’accresciuto numero  di aziende in dissesto o in decozione, la crisi occupazionale, gli inevitabili disservizi, le furberie varie, le speculazioni manovrate a regola d’arte.

Gli intoccabili manovratori del carrozzone partitico sembrano più ossessionati dalla giornaliera rincorsa ai sondaggi elettorali (la caccia al voto) che dalla impellente necessità di risolvere i problemi di fondo che assillano il Paese. Hanno dimenticato, presumibilmente, che gli eletti nell’attuale Parlamento, stante il crescente distacco di una consistente massa di cittadini dalla attiva partecipazione alla vita politica, in effetti rappresentano solo il 50% circa della popolazione avente diritto al voto. È evidente che la gente è disgustata per le promesse non mantenute, per gli sfacciati intrighi di potere, per la dilagante corruzione che investe i settori pubblici e privati, per l’allegra finanza dello Stato e degli Enti locali. Ma la cosa maggiormente incisiva rispetto all’astensionismo è che i politici, di massima, non godono più della fiducia degli elettori.

Non bastano i buoni proponimenti e relativi sermoni provenienti da Palazzo Ghigi o dal Colle quando, per i motivi anzi detti, si corre il rischio di non riuscire ad attuare le promesse “riforme strutturali” convenute con l’Europa a fronte dei saputi e sperati aiuti.

Per il momento sembra parecchio problematica la realizzazione di una serie di riforme e aggiustamenti in campo fiscale, nel delicato settore della giustizia, nel ginepraio energetico gestito da parassitarie “autority” e da ingorde multinazionali, nel congestionato e stremato comparto sanitario, nel trascurato vitale sistema viario e infrastrutturale, nel triste scenario della tutela e messa in sicurezza del massacrato territorio, nell’ammodernamento e adeguamento dell’importantissimo apparato produttivo industriale il quale,  oltretutto, soffre per le pregresse sbagliate scelte politiche che, piuttosto che incentivare, agevolare fiscalmente e irrobustire strutturalmente la “grande industria” hanno maldestramente favorito a dismisura, specie nei settori di competenza degli Enti Locali, l’utilitaristico e clientelare comparto delle piccole aziende ludiche, consumistiche e di pseudo servizi che hanno dato vita ad iniziative di basso profilo produttivo e hanno creato un esercito di lavoratori “precari” senza futuro e senza potenzialità di stabile sviluppo. Solo il settore manifatturiero e in parte quello agricolo, pur a prezzo di grandi difficoltà, hanno retto alla concorrenza estera e mantengono alto il “made in Italy”. Il crescente costo della componente energetica di esercizio e il sensibile rincaro delle materie prime determina tuttavia, anche in questo settore, pesanti remore.

Oggi, dopo un paio di lustri di malgoverno, è chiaramente ben difficile analizzare a fondo i seri malanni prodotti dall’avventurismo politico-clientelare e, quindi, diviene altrettanto difficile porre in campo serie terapie d’urto idonee a risollevare lo stato di efficienza del tessuto operativo e funzionale della economia. Non è certo l’enunciazione statistica del PIL a fornire un realistico quadro della situazione.

Senza dire della altrettanto impellente necessità di bloccare la corsa dello straripante debito pubblico  (balzato in meno di due anni ad oltre 2730 miliardi di €. – 160% circa del famoso PIL – con l’incremento di circa 310miliardi) invertendone al più presto la tendenza. Occorrerebbe eliminare ogni onere superfluo, di facciata, in uno alle improduttive elargizioni elettoralistiche dell’assistenzialismo fine a se stesso, dei “ristori” alla vasta categoria di speculatori e di arricchiti dei tempi delle vacche grasse, fra cui una buona parte di imprenditori che oggi, magari furbescamente, piangono miseria nascondendo o camuffando i lucrosi profitti del passato, specie se provenienti dall’esecrabile sistema dell’evasione o della elusione fiscale, per non dire altro. Ma da questo orecchio la politica è ben sorda, altrimenti i voti dove li andrebbe a pescare?

I “grandi elettori” che per una intera settimana hanno arrovellato il loro stanco cervello alla ricerca di un personaggio di “comodo o di parte” da istallare, a loro uso e consumo e in funzione di ben precisi piani di natura egemonica ed elettorale nel fastoso Palazzo del Quirinale, hanno abbondantemente dimostrato di avere smarrito quel senso di responsabilità cui sovente fa riferimento il Presidente della Repubblica rimasto in carica, On. Sergio Mattarella, nell’enunciare l’alto concetto della dedizione che si dovrebbe avere rispetto agli interessi superiori della Nazione.

Il risultato finale della citata “settimana di passione” è stato solo quello di avere ulteriormente degradato il complessivo sistema della partitocrazia e di avere incrinato la potenzialità operativa del Governo, accrescendo il rischio di non riuscire ad approdare al salutare “rilancio” strutturale  della Nazione e alla convalida della fiducia internazionale di cui si ha assoluto bisogno.

Uno scontato elemento di negativo giudizio è venuto anche fuori dalla discutibile, pinocchiesca e strumentale sceneggiata posta in opera, si può dire in tempo reale, nel corso dell’abusato schema della trasmissione “porta a porta” della RAI, curata, per modo di dire, dall’altezzoso e démodé Bruno Vespa.

In una autentica rincorsa di giustificazioni bambinesche, di argomentazioni stiracchiate, di valutazioni settoriali, si sono esibiti alcuni primi attori dei vari partiti che hanno partecipato alla cruenta corrida di Montecitorio, ma un po’ tutti hanno tergiversato, cercando di oscurare la verità e asserendo contorte versioni dei fatti. Un po’ tutti si sono dichiarati “vincitori”, nessuno ha recitato il “mea culpa”, solo qualche larvata e ambigua ammissione.

Nella misura in cui i “papaveri alti alti” del teatrino dei partiti sono testardamente convinti di poterla ancora dare a bere agli italiani, non hanno compreso che, escludendo gli sciocchi, gli opportunisti, i fanatici fans dei discussi “capataz”, c’è ancora una vasta platea di gente che non accetta più la loro pochezza comportamentale, il loro modo di interpretare la politica, la loro velleità di esercitare in esclusiva il potere.

Non si sono resi conto, probabilmente, di essere divenuti scoloriti e non combacianti tasselli di un ben mediocre e  disarmonico mosaico.