Di Paolo Bondielli fonte@ mediterraneoantico.it/
Mille anni di storia raccontata da 800 reperti suddivisi in 8 sezioni, fatta di traffici e scambi, di rotte commerciali e naufragi, solcando senza sosta il “Mare di Mezzo”, il Mare nostrum dei romani, con la sua fitta rete di vie d’acqua che ha interconnesso tra loro genti diverse con le loro merci, le loro idee, la loro cultura. Ma anche il racconto della Pisa etrusca e poi romana, con reperti archeologici provenienti dagli scavi effettuati in questa città dalla forte impronta rinascimentale.
Vista sul Lungarno Simonelli dalla corte di ingresso del Museo. Sullo sfondo, oltre il portone e oltre l’Arno, l’Ex Monastero delle Benedettine. Credits: Paolo Bondielli.
Non solo navi, dunque, ma un museo archeologico di cui si avvertiva l’assenza nella città della Torre Pendente, dove gli antichi scafi e il loro incredibile carico di vita diventano il punto di arrivo di un percorso ben curato e ben raccontato, in una location a dir poco strepitosa.
La scoperta
L’area della scoperta riguarda una stazione ferroviaria nota soprattutto agli studenti universitari che frequentano l’ateneo pisano e ai turisti più informali ed informati che si spostano volentieri in treno: Pisa – San Rossore. Da qui, con una passeggiata di pochi minuti, si raggiunge Piazza dei Miracoli.
Era il 1998 e nelle intenzioni delle Ferrovie dello Stato vi era la costruzione di uno stabile da adibire al controllo della linea Roma-Genova e dopo l’esito negativo dei carotaggi, obbligatori in caso di aree poste sotto il vincolo disposto per la protezione del nucleo storico della città, iniziarono i lavori di scavo per la realizzazione delle fondamenta.
A sinistra, cerchiato in rosso, il luogo dove si trova il Cantiere delle Navi di Pisa. A destra Piazza dei Miracoli. Foto tratta da Google Earth.
Già in questa fase vennero alla luce alcuni manufatti in legno evidentemente sfuggiti alla casualità dei carotaggi, che imposero l’adozione del protocollo previsto in questi casi, con l’azienda esecutrice dei lavori che si accolla le spese per le necessarie indagini e la Soprintendenza che le esegue promettendo di fare presto.
Nel corso dei lavori di indagine vennero individuati i primi relitti, alcuni con lo scafo ancora integro, assieme ad una grande quantità di oggetti afferenti alla quotidianità della vita marinara, oltre ai materiali di carico presenti nelle stive delle imbarcazioni.
L’evidenza dei fatti costrinse le Ferrovie dello Stato a scegliere un’altra destinazione per la costruzione del fabbricato previsto in loco e poco prima della fine del 1999 fu siglato un accordo tra le parti che consegnò interamente alla responsabilità della Soprintendenza l’area interessata dai relitti, che ricevette un cospicuo finanziamento da parte dello Stato per la prosecuzione delle complesse attività di scavo.
Nasce così il Cantiere delle Navi romane di Pisa, tra i più interessanti e innovativi cantieri di scavo con laboratori dedicati, magazzini per il ricovero di reperti talvolta di ragguardevoli dimensioni e il coinvolgimento di decine di enti, istituzioni e centri universitari di ricerca, sia italiani che esteri.
Gli archeologi scavano a ritroso nel tempo per ricostruire ciò che avvenne tra il VI secolo a.C. e il VII secolo d.C. in un braccio fluviale interessato ciclicamente da devastanti alluvioni. L’enorme quantità di sedimenti depositati ha congelato il tempo nelle varie stratificazioni, consentendo di recuperare in ordine inverso il materiale travolto dalla furia dell’acqua.
Planimetria ricostruttiva delle fasi riscontrate durante lo scavo. Dalla guida all’esposizione “Le Navi antiche di Pisa”, Pacini Editore.
La concentrazione di relitti presenti nell’area potrebbe trarre in inganno e suggerire la presenza di un vero e proprio porto, con le infrastrutture necessarie allo svolgimento delle attività marinare e commerciali, ma lo scavo non ha restituito nessuna di queste strutture. Sembra infatti che le indagini archeologiche seguite al ritrovamento fortuito del sito, abbiano intercettato un alveo fluviale dell’Aser – il Serchio – nel punto di intersezione con un canale centuriale della colonizzazione romana (I secolo a.C.).
Trovandoci nella parte più settentrionale del Sinus Pisanus, il golfo che risultava dalla linea di costa assai più arretrata di quella odierna, è probabile che i relitti di San Rossore appartenessero al traffico marittimo che discendeva da nord e raggiungeva la città attraverso una serie di canali, naturali o artificiali, collegati al bacino idrografico dell’Aser e dell’Arno, dove una serie di approdi “privati” garantivano uno scambio delle merci più diretto.
Le navi provenienti dal meridione avevano due porti più strutturati a cui attraccare, uno nell’area di Santo Stefano ai Lupi e l’altro nell’area di San Piero a Grado, dai quali le merci partivano verso la città risalendo l’Aser e alcuni bracci secondari dell’Arno, il cui corso principale – come ci informa Strabone – non era adatto alla navigazione.
Ricostruzione di una parte del cantiere di scavo relativo alla nave “A”, mostrata in corso di recupero. La nave “A” era una nave da carico (oneraria) di grandi dimensione; superava i 40 metri di lunghezza e si data al II d.C. Credits: Paolo Bondielli.
L’intensità di questi traffici la si desume dal numero di relitti che sono stati ritrovati nell’alveo indagato, una trentina, tra quelli ancora in buono stato di conservazione ed altri di cui si sono trovate solo alcune parti, che testimoniano attività marittima dall’epoca ellenistica alla tarda antichità. Le imbarcazioni sono affondate a seguito di eventi alluvionali disastrosi da attribuirsi probabilmente all’Arno, che nel suo antico corso formava un’ansa proprio in prossimità del sito ritrovato a San Rossore, i cui argini venivano spazzati via in occasione di piogge particolarmente abbondanti, provocando ogni volta un grande accumulo di detriti.
Il Museo
Il percorso museale si articola in otto sale attraversando le quali il visitatore si immerge nel contesto storico pisano, la cui visione consente una fruizione più consapevole del nucleo principale dell’esposizione: le Navi di San Rossore.
Come già detto l’architettura e l’archeologia si sono condizionate vicendevolmente in questo progetto e lo si vede con chiarezza nel corridoio centrale, dove i box dei cavalli – restaurati in modo conservativo – ospitano oggi i reperti delle prime sale.
Il racconto non appare affatto frammentato, ma piuttosto suddiviso in piacevoli “sotto sezioni” da sfogliare pagina dopo pagina, come se si trattasse di un libro, incuriosendo il visitatore ad ogni passo mentre si raccontano le fasi del territorio pisano, dalla preistoria alla fine del regno longobardo.
Le prime tracce di occupazione risalgono all’età del Rame e proseguono fino all’età villanoviana (X sec. a.C.), con cui si può far coincidere l’inizio della storia di Pisa.
Tra il VII e il V secolo a.C., in piena fase etrusca, il territorio pisano, costituito in prevalenza da boschi, è occupato da piccoli insediamenti sparsi nel territorio. All’interno del Cantiere delle Navi di Pisa è stata rinvenuta una serie di strutture in legno interpretate come un abitato di capanne, riproposto in museo come da foto. Credits: Paolo Bondielli.
Lo scavo archeologico ha riportato alla luce anche i pali in legno delle capanne di un villaggio databile al VI sec. a.C., che ha consentito la ricostruzione virtuale in Museo di quello che doveva essere il territorio pisano nella sua fase etrusca. E in museo sono confluiti anche i reperti provenienti dalle necropoli, in particolare da un tumulo principesco del diametro di 30 metri venuto alla luce nel 1996 e dalle sepolture afferenti a questa struttura interpretata, non con certezza, come un cenotafio.
Una ciotola in ceramica ad impasto, proveniente dalla tomba n. 238 della necropoli di via delle Marche. VIII sec. a.C. Credits: Paolo Bondielli.
Tra i box che ospitavano i cavalli troviamo raccontata la storia delle connessioni tra i porti pisani e il resto del Mediterraneo, con una presenza greca che si rintraccia in alcuni cippi funerari realizzati da maestranze greche su soggetti propriamente etruschi. E poi le testimonianze di traffici con il Mediterraneo Occidentale e quindi la Gallia e la Corsica, con l’Arcipelago Toscano che fa da ponte per raggiungere anche le popolazioni sarde.