Lo scrittore e finanziere pubblica un libro su un rider, moderno Candido «La colpa della sinistra: ha protetto i ricchi, doveva pensare ai più poveri»
Libero
14 marzo 2021
FRANCESCO SPECCHIA
■ «Tutto va bene…» . Racconta a se stesso Candido, rider dalle speranze sfiancate, mentre attraversa una Milano distopica dominata da un algoritmo cattivo. Pedala ad ogni sofferto chilometro, è incazzato, se ne sta piegato sul manubrio come l’airone Fausto Coppi sul Pordoi, ma senza poter mai illudersi di schiudere le ali.
La sua storia sarà un film ma per ora è un romanzo: Candido, appunto ( La Nave di Teseo, pp226 euro 18), scritto da Guido Maria Brera e il collettivo I Diavoli («Siamo in 7, una sola donna, di noi esiste una sola foto in un bar di Testaccio»).
Brera, il suo libro in difesa dei servi della gleba in bicicletta è contemporaneo a due scioperi, dei rider e dei lavoratori Amazon mentre 4 aziende ricorrono contro la sentenza che regolarizza 60mila posti di lavoro…
«Be’, è fatto apposta. La sentenza di Francesco Greco sulla regolarizzazione dei lavoratori della Gig Economy è un segno di civiltà. Mi fa orrore vedere ora che certe multinazionali (Glovo, Just Eat, Uber, Deliveroo, ndr) non solo non si scusino ma fa addirittura fanno ricorso contro la sentenza. Il libro finisce con uno sciopero, siamo stati profetici».
Candido richiama Voltaire (che qui è una piattaforma simile alla Rousseau dei 5 Stelle) ma evoca un futuro alla Orwell. Come nasce?
«Dalla disillusione. Per anni mi hanno fatto credere che andasse tutto bene. Ci dicevano che “dovevamo essere affamati, essere folli” (Steve Jobs, ndr); che se lo volevamo, potevamo sceglierci il destino. È stata la grande menzogna della sharing economy. E io, come molti, ci credevo. Il Covid, adesso, ha disvelato l’inganno: le grandi piattaforme hanno preso tutto. E ha impresso un’accelerazione ad una locomotiva lanciata già a folle velocità verso la diseguaglianza e la deregolamentazione del mercato e dei diritti».
Brera lei è fondatore e capo investimenti del Gruppo Kairos, ha scritto libri di successo. Tecnicamente lei è un capitalista. Eppure sento echi di Keynes e della Comunità di Olivetti. E nel libro critica anche un “reddito disciplinare di cittadinanza” basato su un sistema di crediti sociali e punizioni. Voglio dire: il sistema deve averla delusa parecchio…
«Sì. E pensi che i crediti sociali in Cina già esistono, e influenzano vite. Il reddito universale serve, ovvio. Ma innanzitutto deve avere politiche attive diverse, poi deve essere il sovraprofitto della tecnologia: una sorta di risarcimento sociale, davvero messo al servizio degli esclusi, oltre la retorica della Silicon Valley per le masse. Su Olivetti la ringrazio. Ma lui i dipendenti li curava, e li aveva…».
In che senso, scusi?
«Questi qui non hanno nemmeno più i dipendenti cancellando in un attimo cent’anni di conquiste sociali; hanno fregato i loro lavoratori con la storiella del “tu non sei un dipendente, sei un imprenditore di te stesso” se cadi e ti fai male, se non hai un minimo sindacale, se rimani incinta. Posso dirlo? Una grandissima presa per il culo. Ci hanno completamente narcotizzato».
Ma la colpa non è un po’ delle sinistre? Lei nel 2014, quando scrisse I diavoli, dichiarò che la sinistra o ha protetto i ricchi o li ha voluti eliminare, invece bisognava proteggere i poveri, tutelare gli esclusi, gli invisibili. Lo crede ancora?
«Sì, la sinistra occidentale si è incartata, ha lottato per il terzo bagno ma non s’è accorta che la tecnologia procedeva all’“estrazione e non alla creazione di valore” – per dirla col sociologo Luciano Gallino -;e che in realtà barattava attraverso il liberismo selvaggio e la globalizzazione, i diritti sociali con prodotti a basso costo. Marx nei Grundrisse lo spiegava bene: lo Stato deve mettere la tecnologia a beneficio di tutti, le macchine addirittura avrebbero dovuto liberare l’uomo dal lavoro. Si è verificato l’esatto opposto».
Kairos ha fatto della svolta “green” un vanto. Ma riuscite a guadagnarci col green?
«Io la vedo in prospettiva. Il capitale, non controllato dalla politica, è andato dove gli conveniva. Ha ottimizzato le imprese e le loro delocalizzazioni. Ma il costo intrinseco di tutto questo è stato il consumo del pianeta, pagato dalla comunità. Oggi l’investimento green può rimediare al male fatto. Certo, era meglio se non si faceva».
E quindi la soluzione per la crescita qual è? Attrarre qui le imprese estere, blandirle?
«Io non sono per dare gli incentivi agli stranieri; darei loro sole, mare, arte, una buona sanità e una buona fibra. L’Italia, con i suoi borghi, spiagge, dorsali può essere l’hub di lavoro ideale, l’ufficio perfetto, specie con lo smart working. La pandemia ha aumentato questo fenomeno. C’è un movimento inerziale da non perdere». Lei da Formigli a La7 aveva espresso una soluzione per il debito pubblico: indebitarci ancora di più…
«Ora noi abbiamo tassi di interessi così bassi che per ridurre il debito conviene che lo Stato si indebiti emettendo titoli di Stato, per crescere così più del tasso di interessi che paghiamo, allungando anche la duration del debito a 30/40 anni. Renderemmo il nostro debito più domestico e controllabile. Secondo me, con questi tassi, molti italiani sarebbero interessati. È una teoria dell’economista Larry Summers di Oxford. Parliamo di 300/400 miliardi, e il Recovery lo utilizzeremmo per pompare il pil…».
Insomma, siamo sempre lì, dobbiamo rimediare ai casini di un mondo che abbiamo preso in prestito ai nostri figli. Lei che si aspetta dai suoi?
«Io ho quattro figli. Vorrei che almeno uno tornasse alla terra, parte del futuro è nell’agricoltura. Il mio sogno è guidare un trattore. Magari nell’orto di Candido…».