La sconfitta di Donald Trump, l’avanzata di Ron DeSantis, la tenuta dei Democratici e una novità di sistema: “Aver restituito, almeno per il momento, alla democrazia liberale americana, uno dei suoi punti di forza”
Umberto De Giovannangeli
Le elezioni di midterm negli Usa. Vincitori e sconfitti. Guardando alla Casa Bianca e alle presidenziali del 2024. Il Riformista ne discute con Massimo Teodori, professore di Storia e Istituzioni degli Stati Uniti.
Professor Teodori, quali sono i dati politicamente più significativi delle elezioni di midterm negli Stati Uniti?
A me paiono sostanzialmente due. Il primo è quello relativo al fatto che i Democratici, diversamente da quello che indicavano molti pronostici, si sono dimostrati un Partito o almeno una serie di candidati molto più resistenti di quanto s’immaginasse prima. E questo perché una cosa è il consenso al Presidente che in questo momento, soprattutto a causa dell’inflazione e anche dell’immagine non certo attrattiva di Biden, è molto basso rispetto alla serie storica dei presidenti nelle elezioni di mezzo termine. Un’altra cosa invece è il consenso ai singoli candidati che in questo caso erano impegnati nel rinnovo di tutti i 435 membri della Camera dei Rappresentanti, di 35 senatori su 100, di 36 governatori su 50, di 27 segretari di stato e una serie di altre cariche statati e locali. E i risultati conseguiti stanno a dimostrare che il Partito democratico si dimostra vivo indipendentemente dal consenso per il Presidente. La seconda questione che è altrettanto significativa della prima riguarda il Partito repubblicano.
Con quale segno?
In questi anni sembrava che il Partito repubblicano fosse ormai completamente egemonizzato da parte di Trump, con le sue campagne molto aggressive, con la mobilitazione di gruppi anche violenti, come si è visto poi nell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, e come anche veniva dall’immagine della mobilitazione di personaggi della corrente trumpiana variamente “arruolati” per sostenere la tesi, che è stata quella centrale di tutta la campagna di Trump, che le elezioni che avevano portato al successo presidenziale di Biden erano state rubate attraverso la manipolazione delle urne. Tutto questo invece si è dimostrato assolutamente marginale nel voto. Perché i candidati sostenuti da Trump in gran parte sono stati sconfitti. Non tutti, ma nella gran parte sì. Mentre sono emersi candidati che possono essere classificati come repubblicani tradizionali, da una parte, e anche di candidati della corrente di destra trumpiana ma non soggetti ai voleri e all’egemonia di Trump. Come è il caso del governatore della Florida Ron DeSantis…
Contro cui si è scagliato il tycoon parlando di lui come di “un amministratore mediocre e privo di lealtà”.
A conferma di quanto stavo sostenendo. DeSantis ha ottenuto un grande successo e ora viene dato, con ancor più forza rispetto a prima, come un possibile candidato alle elezioni presidenziali del 2024, cioè un possibile vincitore delle primarie repubblicane che prenderanno il via all’inizio del 2024. Il fatto che il Partito repubblicano si sia sottratto all’egemonia assoluta di Trump come era dato fino alle elezioni di mezzo termine, è molto importante perché tutto ciò dovrebbe restituire al sistema politico americano quel modello di democrazia fondata sull’alternativa di due partiti leali alle procedure costituzionali. Un modello che un successo marcato dei canditati ultratrumpiani alle elezioni di mezzo termine con la conseguente investitura, di fatto, di Trump come candidato repubblicano pressoché assoluto alle presidenziali del 2024 avrebbe ulteriormente indebolito. Il punto su cui hanno insistito i Democratici, a mio avviso a ragione, che una candidatura e vittoria di Trump nel 2024 avrebbe rappresentato un elemento di rottura della democrazia politica americana, nel senso che lo stesso Trump ha più volte rivendicato, e cioè che di fronte alle da lui sostenute manipolazioni dei Democratici si poteva ricorrere anche alla forza e comunque ci sarebbero stati una serie di responsabili statali del Partito repubblicano negli stati in bilico che non avrebbero confermato il voto nella eventuale vittoria dei Democratici. Questa era una minaccia che aveva delle sue radici. Nel senso che già nel 2020 Trump aveva tentato di costringere un segretario di stato e un governatore di uno stato repubblicano, la Georgia, a non convalidare la vittoria democratica, trovando, a quel che è stato documentato, undicimila voti che sarebbero serviti per cambiare i risultati elettorali. La parte più di sistema di queste elezioni è quella di aver restituito, almeno per il momento, alla democrazia liberale americana, uno dei suoi punti tradizionali di forza, cioè quello di essere una democrazia fondata sull’alternanza tra due partiti, per quanto riguarda il Senato e la Camera dei Rappresentanti, e due candidati per quel che concerne le presidenziali, entrambi fedeli ai principi costituzionali e rispettosi dell’altro partito, cosa che Trump non lo è mai stato e non voleva esserlo. Naturalmente bisognerà vedere se in questo anno che trascorrerà fino alle primarie del 2024, Trump si ritirerà o sarà battuto. È probabile che non si ritirerà ma è possibile che sia battuto, ad esempio da questo giovane “trumpiano” che è Ron DeSantis. Resta il fatto che la valanga rossa non c’è stata e che il voto a favore dell’opposizione, in questo caso i Repubblicani, sia stato inferiore alla media di questo secolo. E se c’è un vincitore che può essere indicato in questa tornata elettorale, beh questo vincitore è l’alternanza tra partiti che si riconoscono reciprocamente, si combattono ma si rispettano. Di questi tempi non è davvero poca cosa. Un sistema politico democratico compiuto si fonda su questo. Ed è un discorso che non riguarda solo l’America.
Sul versante democratico c’è una figura che potrebbe contendere la premiership a Biden. Una sorta di Ron DeSantis Dem?
Sul fronte democratico da queste elezioni non è emersa alcuna figura forte e importante. C’è tutta una serie di personaggi che potrebbero essere ricandidati, ma a questo al momento si oppone la volontà di Biden di ripresentarsi per un secondo mandato. Nel 2024 Biden avrebbe 82 anni, quindi con una immagine anche molto deteriorata, e questo potrebbe risultare un altro elemento di debolezza del Partito democratico se nel frattempo non ci sarà da parte di Biden un passo indietro e se non dovesse emergere tra i tanti possibili candidati una figura forte. Che non potrà essere sicuramente quella di un esponente della sinistra democratica, che sarebbe destinato alla sconfitta come è sempre stato nel passato, ma dovrebbe essere un candidato del centro democratico come è stato Biden, il che gli ha permesso di arrivare alla vittoria pur non essendo un candidato con una immagine forte come altri presidenti nel passato. In definitiva, in questo momento sembra esserci una rinascita di un panorama repubblicano non schiacciato su Trump e in secondo luogo un panorama democratico ancora molto incerto e alquanto precario. Uno dei punti fondamentali che potrebbe decidere le elezioni del 2024, anche se è ancora molto presto per azzardare una qualsiasi previsione, è quello dell’inflazione. In questo momento l’inflazione è molto alta e se Biden non riuscirà a tirarla giù notevolmente, questo sarà probabilmente un elemento a sfavore dei Democratici. Ma sono tutte cose che andranno viste nel futuro.
In ultima analisi, professor Tedori, si può sostenere che dalle elezioni di midterm Trump e Biden escono diversamente indeboliti?
No. perché se Trump ne esce politicamente indebolito, e non poco, il discorso non riguarda Biden che non solo non si è indebolito ma si è rafforzato. Si è rafforzato perché molti prevedevano che ci fosse un bagno di sangue per i Democratici. E così non è stato, tutt’altro. I quattro senatori e governatori che Biden ha sostenuto, innanzitutto quello della Pennsylvania, , dove il Presidente ha fatto la maggior parte della sua campagna elettorale, sono andati particolarmente bene. Lui si è rafforzato all’interno del partito e anche dell’opinione pubblica. Non è più un presidente che sta per cascare o che è cascato, ma è un Presidente che ha ristabilito un equilibrio anche con i Repubblicani. Adesso si vedrà cosa fare in politica estera Mi pare di capire da tutte le notizie che si hanno che stia premendo molto per arrivare ad una tregua nella guerra in Ucraina e a questo sta spingendo anche gli ucraini. E adesso lo può fare con maggiore forza di quanto lo potesse fare prima delle elezioni di mezzo termine. La mia opinione, che è poi anche quella del New York Times e di altri autorevoli quotidiani americani, è che lui esce vincitore da questa prova rispetto a tutte le aspettative e alle previsioni. E il maggior consenso che i candidati hanno riscontrato rispetto allo stesso indice di gradimento di Biden ha finito per rafforzare il Presidente stesso.
Fonte: Il RIFORMISTa