Le cinque famiglie mafiose che si spartiscono New York


La Commissione formata dalle Cinque Famiglie della mafia si divide il controllo di New York: un potere invisibile che l’omicidio dell’ultimo boss, Frank Calì, ucciso mercoledì sera a Staten Island, ha riportato alla luce, dimostrando che è ancora viva, a quasi un secolo di distanza.

L’idea di Cosa Nostra americana di dividersi in cinque famiglie nacque negli anni Trenta, quelli del Proibizionismo, quando Salvatore Maranzano, il “boss dei boss”, vincitore della prima guerra di mafia nel 1931, divise i clan in lotta in cinque famiglie, una diretta da lui, le altre da Lucky Luciano, Joe Profaci, Frank Scalice e Tommaso Gagliano. Gli altri si ribellarono e Maranzano venne ucciso, sostituito da Joseph Bonanno.

Le famiglie hanno mantenuto negli anni un’organizzazione precisa, verticale, che va dal capo ai consiglieri, ai capibastone alla manovalanza, ma molte hanno cambiato nome negli anni Sessanta, dopo il pentimento di Joe Valachi che decapitò l’organizzazione: adesso le famiglie si chiamano Bonanno, Colombo, Gambino, Genovese e Lucchese. Ognuna si è spartita una parte del territorio: i Lucchese hanno il controllo di Brooklyn, Bronx e Manhattan, e di alcune zone in New Jersey e Florida. I Genovese sono nel Bronx e a Manhattan. I Gambino a Long Island, Florida, Ohio e Las Vegas. I Colombo si estendono fino al Massachusetts e Los Angeles. I Bonanno, invece, sono concentrati soprattutto a New York.

Attualmente, secondo l’Fbi, le famiglie sono alleate, a parte due: i Colombo e i Gambino, in continua guerra tra loro, come dimostra la morte del boss Castellano, l’ultimo delitto eccellente prima di quello di mercoledì, avvenuto nel 1985, quando Paul “Big” Castellano, venne ucciso su ordine di un membro dei Gambino, John Gotti, mentre si trovava in una bisteccheria nel cuore di Manhattan. Frank Calì, a sua volta, aveva poi preso il posto di Gambino, mettendo le mani sul traffico di eroina e di farmaci a base di oppiacei.

Le cinque famiglie – che hanno in mano settori tradizionali quali traffico di droga, estorsioni, racket e scommesse ma sono entrate anche nel mercato dei capitali attraverso il riciclaggio – fanno parte dell’immaginario collettivo con il romanzo di Mario Puzo, il Padrino, e poi grazie al film di Coppola in cui Bonanno venne interpretato da Marlon Brando con il nome fittizio di don Vito Corleone.

Mentre negli anni la narrazione televisiva si è arricchita con le serie di culto su Hbo, quella dei Soprano, e videogiochi o giochi da tavolo, nella vita reale non si è mai esaurita. Secondo l’Fbi, sarebbero almeno tremila i membri legati alle cinque famiglie, con l’organizzazione che avrebbe ripreso vigore soprattutto dopo l’11 Settembre quando l’Fbi si concentrò sul terrorismo, riducendo la squadra antimafia da 400 agenti a una trentina.

Nel 2011, l’ultima grande operazione con l’arresto di oltre un centinaio di appartenenti alle famiglie, ma secondo alcuni studiosi del fenomeno, la mafia a New York “vive più felice che mai”, come sostiene Anna Sergi, docente di criminologia all’Università dell’Essex. E continua a dettare legge, come l’omicidio dell’ultimo boss dimostra.

Un legame mai interrotto con la Sicilia

La mafia americana e quella siciliana “non hanno mai interrotto i rapporti tra loro”. È Salvatore Lupo – docente di Storia contemporanea all’università di Palermo e autore di ‘Quando la mafia trovo’ l’America. Storia di un intreccio intercontinentale’ (Donzelli), studio fondamentale sulle famiglie mafiose americane – a cercare di trovare con l’AGI un senso all’omicidio di Frank “Boy” Cali’, 53 anni, padrino della famiglia Gambino, abbattuto ieri a Staten Island da sei colpi di pistola.

Frank Calì aveva sempre avuto in mente un obiettivo: tornare a Palermo e conquistare la cima di Cosa Nostra servendosi dell’appoggio di coloro che erano scampati alla tremenda guerra di mafia degli anni Ottanta, che vide prevalere i corleonesi guidati d Toto’ Riina, e refrattari alle relazioni con i boss di oltreoceano.

“La storia della mafia – spiega Lupo – corre anche su quest’asse delle relazioni transoceaniche, chi ritiene di doverle avere e chi, invece, crede che ciò sia molto pericoloso”, e tra questi ultimi vi erano proprio i corleonesi, che sembravano aver fatto terra bruciata di questa sorta di versante diplomatico di Cosa Nostra e amavano sottolineare la regola, raccontata da Buscetta, che “proibiva ai mafiosi siciliani l’affiliazione in America”.

Le relazioni transoceaniche, però, spiega Lupo, “pesano e contano” nella stessa Palermo e nel resto della Sicilia poiché “le grandi chance per l’accesso alle risorse si giocano su queste, a partire dai mercati dei capitali, finanziari”. Non è un caso che “secondo atti processuali recenti, i resti delle cinque famiglie mafiose americane erano incarnati da figure con curriculum siciliani”, come siciliano era in sostanza quello di Calì, che, figlio di genitori palermitani, aveva sposato una Inzerillo, ovvero di quegli Inzerillo (alleati di Stefano Bontade contro Riina) che erano ‘scappati’ negli Stati Uniti per sfuggire alla mattanza corleonese. E che nella stessa città siciliana sono pian piano ritornati, in silenzio, negli ultimi anni.

Vedi: Le cinque famiglie mafiose che si spartiscono New York
Fonte: estero agi