Lavoro: Inps, parità lontana, solo 21% donne quadro e dirigente


La parità nel mercato del lavoro è ancora lontana dall’essere pienamente realizzata: nel corso degli ultimi dieci anni, la percentuale di donne impiegate nel settore privato non agricolo è aumentata in modo marginale e il tasso di femminilizzazione, calcolato come la percentuale di donne lavoratrici rispetto al totale degli occupati, è passato dal 40,6% nel 2010 al 41,7% nel 2022. E’ quanto emerso nel convegno organizzato dal Civ dell’Inps “Analisi dei divari di genere del mercato del lavoro e nel sistema previdenziale”.
Dai dati presentati emerge che le donne continuano a trovare impiego in un range limitato di occupazioni (segregazione occupazionale di tipo orizzontale), essendo concentrate in alcuni comparti del settore dei servizi (nel 2022 il tasso di femminilizzazione è di circa il 79% nella sanità, 77% nell’istruzione, 53% negli alloggi/ristorazione) e sono invece sotto-rappresentate nel settore manifatturiero (30% circa). Ciò si accompagna ad una scarsa presenza femminile nelle posizioni apicali e maggiormente remunerative. Nel 2022 solo il 21% dei quadri e dei dirigenti è di sesso femminile, questa percentuale era 13% nel 2010.
L’analisi dei dati relativi ai rapporti di lavoro subordinato nel settore privato extra-agricolo mostra una netta disparità salariale a sfavore delle donne lungo tutto l’arco temporale considerato. Il vantaggio retributivo maschile nei redditi annuali è di circa il 40% (senza grandi variazioni negli ultimi 10 anni), mentre scende a circa il 30% per le retribuzioni giornaliere. Le donne oltre ad essere sovra-rappresentate in settori che pagano salari più bassi ed essere poco presenti nelle posizioni di vertice, tendono a lavorare per un numero minore di giorni (nel 2022, nel settore privato i giorni retribuiti sono in media 221 per le donne e 234 per gli uomini) e sono spesso assunte con contatti part-time (l’incidenza del part-time sfiora il 50% tra le donne e in molte regioni del Sud supera il 60%). Quando si comparano donne e uomini con stesse caratteristiche individuali e occupazionali e che lavorano all’interno della stessa impresa il gap nelle retribuzioni annuali è pari a circa il 12% e a circa il 10% nelle retribuzioni giornaliere. Questo gap non è spiegato da differenti condizioni individuali e lavorative a noi osservabili.
Questi divari, anche se meno marcati, si presentano anche nel settore pubblico dove 2/3 dei lavoratori sono donne. In maniera del tutto simile a quanto avviene nel privato, si denota una forte segregazione settoriale. Nella Scuola (il comparto nel quale lavora 1/3 circa di tutti dipendenti pubblici), le donne rappresentano quasi l’80% di tutto il personale; anche la Sanità è un comparto ad alto tasso di femminilizzazione (65% nel 2014 e quasi il 70% nel 2021); mentre, al contrario, nel comparto delle Forze Armate, Corpi di Polizia e Vigili del Fuoco il rapporto si capovolge completamente e gli uomini rappresentano circa il 90% del personale in servizio. Negli altri comparti si registra un sostanziale equilibrio. L’analisi delle retribuzioni annue e giornaliere evidenzia la presenza di un vantaggio retributivo maschile anche nel comparto pubblico, sebbene più modesto di quello rilevato nel privato. Il gap grezzo (senza controllare per caratteristiche individuali e lavorative) è di circa il 16%, mentre il gap a parità di caratteristiche individuali e occupazionali è di circa il 6%.
I dati sull’uso dei congedi parentali nell’ultimo decennio rivelano che le richieste di congedo da parte delle madri coprono oltre l’80% del volume totale e che il gap di richieste per genere è particolarmente ampio fino ai 3 anni di età del bambino, che è proprio la fascia di età in cui si concentrano la maggior parte delle richieste (circa il 65%). Relativamente, invece, al congedo di paternità, introdotto in via sperimentale per gli anni 2013-2015, si mostra come il take-up sia gradualmente aumentato negli anni, passando dal 19% del 2013 al 64% del 2022.
“Anche da un punto di vista culturale si sta affermando nelle nuove generazioni una consapevolezza maggiore della disparità di genere, malgrado questo gap sia ancora evidente soprattutto per ciò che concerne le differenze retributive e la maggiore discontinuità lavorativa tra uomini e donne”, ha detto il presidente del Civ dell’Inps, Roberto Ghiselli. “Le cause di queste diversità – ha proseguito – sono principalmente da ricondurre a un organizzazione del lavoro e della produzione che non tiene conto della conciliazione della vita delle persone e accade spesso che, all’interno delle comunità, i servizi per l’infanzia e per l’autosufficienza siano completamente mancanti. La ricerca presentata oggi dal CIV dell’INPS, approfondita e completa, dovrà continuare in futuro, sempre in collaborazione con le direzioni competenti dell’Istituto. Con l’iniziativa di oggi, l’INPS non solo vuole consegnare a tutti i suoi interlocutori il patrimonio di dati a propria disposizione riguardanti il divario di genere, ma soprattutto vuole alimentare le reti relazionali che consentono di mettersi in sinergia per sostenere politiche efficaci di contrasto ai divari di genere, sia a livello centrale che locale.”
“Quello della disparità di genere – ha sottolineato la commissaria straordinaria dell’Inps, Micaela Gelera – è un problema ancora molto evidente nel nostro Paese oggi e che rende necessario rafforzare e rendere strutturali le misure messe in campo dal decisore politico per conciliare i carichi familiari con la vita lavorativa delle donne. Penso ad esempio ai congedi, al bonus asili nido, all’assegno unico universale e alla recente misura, introdotta dal governo, per favorire la retribuzione in busta paga delle madri lavoratrici (il cosiddetto Bonus Mamma), consentendo loro di affrontare con maggiore serenità il carico familiare legato alla presenza dei figli. Analogamente, tutte le misure finalizzate alla cura degli anziani non autosufficienti permetteranno di alleggerire ulteriormente il carico familiare delle donne.”(AGI)
ING