Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha promulgato la legge recante «disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione» che dal 13 luglio entrerà in vigore.
Perché questa Autonomia, prendendo in prestito le parole di Gaber,
“… Non so che cosa sia
Può darsi che mi sbagli
Che sia una bella idea
Ma temo che diventi
Una brutta poesia…”
Tra gli slogan “Spacca Italia” da un lato ed “Efficienza e Responsabilità affidata alla Regioni” dall’altro, il disegno di legge, bandiera del centrodestra, è caduto nella rete del politichese senza essere analizzato adeguatamente nel testo di riforma con le sue procedure di attuazione e soprattutto per le sue conseguenze.
Per onestà intellettuale, ricostruendo il percorso storico della Legge, il primo passo verso l’Autonomia differenziata regionale è stato effettuato con l’approvata Riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001. Il novellato art.116 della Carta Costituzionale è stato ai tempi modificato dal centro-sinistra per ragioni di tipo politico-elettorale con l’intento di frenare la crescita del consenso della Lega Nord del tempo.
Di Governo in Governo, a prescindere dalle forze politiche, per vent’anni è stato sempre sottoscritto e condiviso un impegno programmatico nel dare attuazione al tema dell’Autonomia differenziata. Una riforma però rimasta lettera scritta nella Costituzione. Oggi, con la promulgazione della Legge sull’Autonomia, tra comunicati stampa ed interviste a suon di rivendicazioni di risorse e diritti, la politica si divide alla mercè del comune dibattito. L’introduzione della Legge appare per lo più come una conquista di un desiderata padano più che di un comune sentire regionalistico. Di certo, una bandiera elettorale del Governo di centrodestra e comunque, al momento, nulla più perché….
Ritornando al testo di legge: le materie per competenza oggetto di potenziale deferimento regionale sono in numero totale di 23. Le Regioni, su nove materie, possono accedere ad un percorso diretto, non semplice e neppure nel breve termine, richiedendone la competenza e gestione amministrativa autonoma attraverso delle intese con il Governo nazionale. Tra le materie, oggetto di devoluzione regionale, vi sono ad esempio i rapporti internazionali e con l’Unione Europea, il commercio con l’estero, la protezione civile, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario nonché la gestione delle casse di risparmio e rurali e conseguenti funzioni trasferibili fino ad un massimo di 184. Le restanti 14 materie sono soggette ad un preventivo vincolo, la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP). Pertanto, a queste materie “leppizzate” tra cui “tutela della salute” ed “Istruzione” va riconosciuta una preventiva valutazione dei fabbisogni standard o storici delle Regioni prima di poter accedere al percorso procedurale delle intese Stato-Regioni.
Nel frattempo alcune Regioni, come Veneto e Lombardia, sono già avanzate in fuga solitaria dichiarando di voler avviare già le interlocuzioni con il Governo per le 9 materie prive dei LEP.
L’immagine che si presenta è quello di un avanzamento scomposto delle singole Regioni sulle materie e funzioni all’insegna della rivendicata Autonomia. L’etica della responsabilità dell’autonomia differenziata, libera dalle catene della solidarietà nazionale fine a sé stessa, deve essere comunque guidata e coordinata per garantire nuovi percorsi di sviluppo virtuosi e non divisioni controproducenti. Non poca è la preoccupazione e la confusione della gestione del percorso da avviare, e sarà molto complessa la contrattazione tra le varie Regioni e il Governo centrale. Impensabile ma vero, oltre il comitato scientifico predisposto, occorre una adeguata e rafforzata cabina di regia nazionale che abbia il compito di frapporsi, in scienza e coscienza, ai comitati paritetici regionali. Altrimenti, si rischia il collasso del sistema-Paese. Prima che ogni Intesa amministrativa impatti irrimediabilmente nei vari contesti socio-economici regionali, il percorso deve essere inquadrato dentro una chiara cornice normativa e, soprattutto, finanziaria di salvaguardia nazionale. Perché non ci può essere un’autonomia regionale senza criteri di equità e senza perequazione che permette all’Italia di crescere come Stato prima di tutto.
dott. Pietro Cracò