L’assist di Renzi a Schlein e quella irrefrenabile voglia di campo largo.

Elly Schlein e il presidente del M5s Giuseppe Conte (D) durante l'evento della Cgil ''Il Lavoro interroga'', Roma, 01 luglio 2022. ANSA/ETTORE FERRARI


di Matteo Berta
Responsabile Territoriale Confedercontribuenti Piemonte

Tra la telecronaca di Bonelli che endorsa il suo delfino, i tiri a – quasi – porta vuota del presidente del
Senato – che, per qualche ragione, ha dimostrato più solerzia e senso di abnegazione come CT della
nazionale dei politici – e gli scatti in solitaria di Giuseppe Conte – per i quali ci sembra di capire sia
abituato ormai – non è sfuggito agli occhi e alle lenti del quarto potere l’abbraccio di Matteo Renzi,
ex piddino, con Elly Schlein, attuale segretaria del partito che fu del fiorentino. Un abbraccio poi
immortalato e diffuso sui social dello stesso tycoon nostrano per celebrare il grande senso di
solidarietà che la politica tutta ha dimostrato nei confronti della nobile causa portata avanti nella
madida serata a L’Aquila.
Uno stormo di chimere di campaniana memoria che si agitavano nel campo da calcio, con spasmi
scanditi dai settenari di Mameli cantati dal Al Bano, sollevando la coppa verso i bisognosi del
Bambino Gesù, un fulgido esempio, che si fa simbolo, del bene che la politica, la buona politica, può
portare avanti senza pretese personali e paludi di potere settario, ma che si è dissipato in chiacchiere
da buvette montecitoriana.
Chiacchiere che, sempre comunque e nonostante tutto, piacciono anche a noi.
Passata l’effervescenza collettiva della partita del cuore, Renzi apre le porte alla segretaria del suo
vecchio partito, forte di una rinnovata affermazione come leader dei Dem all’indomani delle elezioni
di Giugno, per rilanciare l’idea del campo largo. Il leader di Italia Viva sostiene ora che la (ri)
unificazione del centrosinistra, o campo progressista, è “l’unica possibilità” per sconfiggere la destra
e per evitare di consegnare il governo del Paese a Meloni per sostanzialmente un altro decennio, o
due.
A Calenda l’uscita di Renzi non è piaciuta molto, pare. L’altro diarca del fu Terzo Polo ha accusato il
suo ex alleato di squallide tattiche di cooptazione trasformistica – Giolitti docet – pur di mantenere
intatto il proprio assetto di influenze, arrivando addirittura ad invocare i nazisti dell’Illinois per
svalutare il suo vecchio compagno (li sentite anche voi i fratelli blues ridere?). Ex consequenti, la
strategia adottata fino a quel momento, alternare sinistra e destra in tutti i livelli e collegi elettorali
perché “basta il programma e gli elettori votano su quello” non ha funzionato. O forse semplicemente
Calenda si è un po’ troppo concentrato su ghirlande di citazioni di Churchill, un po’ troppo
decontestualizzate.
Nel salmo di Schlein l’apertura viene raccolta con positività, o con tiepida curiosità, a seconda dei
punti di vista. Certo è che in alcune aree del Partito Democratico un’alleanza strutturale con Renzi,
l’uomo che l’ha fatto volare al 40% e che ha lasciato un deciso imprinting personale e politico
all’interno di strutture e sovrastrutture, ha fatto palpitare. Giustamente, direi. La segretaria accetta
con riserva un dialogo con l’azionista di maggioranza dei centristi sperando in una convergenza di
nomi, programmi, interessi, ampia e condivisa. Anche perché l’assist di Renzi la lancia, dandole una
levatura che si era comunque già conquistata da sola, alla leadership del centrosinistra.
Una levatura implicita che non è piaciuta al leader pentastellato, Giuseppe Conte. Non è chiaro se è
l’idea di federare in sé è il problema, o che l’abbia proposta Renzi. Quello che è sicuro, da mesi ormai,
è che Conte cerchi costantemente spazi di manovra a sinistra – o a destra, dipende – di Schlein per
conquistarle fette di elettorato. La voglia di riaffermarsi come leader dei progressisti, parafrasando
un altro assist di qualche anno fa, è tanta. Anche nel suo caso, giustamente direi.
Ogni nome del triumvirato del (fu? Futuro?) campo largo cerca di fare la sua partita e giocarsi le
proprie mosse nel modo più strategico, ed elettoralmente più redditizio, possibile. La quaestio ruota
attorno al fatto che sembrano giocare partite diverse: chi a poker, chi a scacchi, e chi invece l’altra
sera, probabilmente, aveva solo voglia di entrare in scivolata sulla caviglia di qualcuno.
Frattanto, le prove del campo largo, inaugurate con la proposta di legge del salario minimo,
continuano. Anche solo per testare le resilienze dei futuri partner, sono tentativi non solo leciti, ma
necessari. Ora si prova con la raccolta firme, tutta estiva e tutta militante, per chiedere l’abrogazione
della legge sull’autonomia differenziata. In aula, e più avanti in piazza, contro la riforma del
premierato. Piccoli bollori dello sfaldato campo delle opposizioni che cercano di ritrovare sé stesse,
coadiuvate da un’opinione pubblica che, soprattutto sulle ultime due tematiche citate e portate avanti
dal governo, si sta facendo sentire con insistenza e convinzione. Forse, il tempo è maturo per provare
a spingere sull’acceleratore e capire se c’è questa convergenza di programmi; con una conferenza?
Riunioni informali? Anche solo messaggi senza spunte blu? Si vedrà.
Le forze intellettuali non mancano, le risorse umane nemmeno. Piuttosto che capire chi gioca a poker
e chi a scacchi, forse è il caso di smettere di inseguire la destra, senza sembrare degli affamati, e
capire almeno che gioco fare, in casa propria.
Elly, stai serena. Questa volta andrà bene. Nel caso c’è sempre Calenda.