L'Argentina rischia il nono default


AGI – Triste il primato dell’Argentina, indebitata a livelli inaccettabili. Sarebbero nove i default del paese sudamericano, e comunque la sua storia conta moltissimi episodi in cui si e’ trovato con l’acqua alla gola. Il primo risale al 1824, e l’Argentina non era chiamata nemmeno così bensì le ‘Province Unite del Rio de la Platà. L’allora ministro Bernardino Rivadavia chiese un milione di sterline ai fratelli Baring d’Inghilterra per ristrutturare un porto, e ci venne più di un secolo per cancellare quel debito. Che poi nel 1904 non venne nemmeno estinto del tutto, ma solo della metà. Negli anni Cinquanta, durante il governo peronista, il debito passò da 57 milioni ad un miliardo di dollari e poi crebbe ancora durante il regime dei militari al punto che nel 1983, al termine delle dittature, ammontava a oltre 44.000 milioni di dollari. E fu questa una delle cause che portarono il paese ad un collasso economico nel 1989, costringendo l’allora presidente Raul Alfonsin a dimettersi.

Il suo successore Carlos Menem non fece da meno, e il paese si trovò sempre in forte indebitamento negli anni ’90. Per contenere una “iperinflazione”, Menem decise di impostare la parità della valuta locale, il peso, sul dollaro Usa. E il risultato fu che il debito venne triplicato superando i 150.000 milioni di dollari. Il successore di Menem, Fernando de la Rùa, della Radical Civic Union (Ucr), durò solo due anni al potere prima che un nuovo crollo dell’economia lo costringesse a dimettersi, tra violente proteste.

Nel 2002 l’Argentina dichiarò quello che all’epoca era il più grande default della storia: quasi 145.000 milioni di dollari. Ci fecero le spese anche 450 mila risparmiatori italiani che avevano acquistato obbligazioni di vari emittenti argentini finiti in cross default (il “default incrociato” che scatta quando il default del debito sovrano trascina con se’ il default degli emittenti pubblici e di quelli privati). Il peso collassò perdendo tre quarti del suo valore contro la valuta americana e il debito arrivò a superare il 160% del Pil.

Nel 2005 il presidente Nestor Kirchner, salito al potere da due anni, riuscì a fare il ‘miracolò ristrutturando il debito: allora però era avvantaggiato dal fatto che a causa della forte svalutazione del peso, i prodotti argentini destinati all’estero erano molto competitivi, mentre si raggiungeva un livello record per il prezzo delle materie prime. Ma con Kirchner prima e la sua ‘successorà – e moglie – Cristina Fernàndez de Kirchner poi, il debito dell’Argentina continuava ad aumentare e nel 2015 era passato da 180.000 milioni di dollari a oltre 240.000 mln anche se era molto diminuito il rapporto debito/Pil, ridotto al 52%. Inoltre, la percentuale di debito in dollari era diminuita con un contestuale aumento del debito in valuta locale (nel 2001 solo il 3% del debito era in pesos, nel 2015 rappresentava quasi un terzo del totale). Il debito continuò la sua corsa con l’arrivo di Mauricio Macri, superando quota 320.000 milioni di dollari.

Oggi i negoziati tra il governo argentino e i creditori internazionali sono nuovamente a un punto morto. L’Argentina ha prorogato al 4 agosto il termine entro il quale deve raggiungere un accordo per ristrutturare circa 66 miliardi dollari di debito per cercare di ottenere condizioni migliori dai suoi creditori. Ma dopo l’ultimo ‘Nò di questi e’ molto più vicina a cadere in un nuovo default. 

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Fonte: economia agi