L’anno del covid che ha congelato la politica


Si chiude un anno difficile da dimenticare: il 2020 è stato uno spartiacque, c’è stato un prima e ci sarà un dopo. Questo vale, naturalmente, anche per la politica. In attesa di sapere cosa ci porterà il 2021, sappiamo già che il Covid ha “congelato” gli orientamenti politici degli italiani. Dopo un 2019 quanto mai burrascoso (“eventful”, direbbero gli inglesi) il 2020 è stato per la politica italiana all’insegna della continuità. Forzata dall’emergenza sanitaria, certo, ma pur sempre continuità.

Cos’è cambiato in questi ultimi 12 mesi? Vediamolo subito con il confronto tra la nostra ultima Supermedia, calcolata lo scorso 24 dicembre, e quella di un anno prima (19 dicembre 2019).

 

 

Il dato più eclatante è senz’altro quello della Lega, che pur restando in prima posizione ha perso oltre 7 punti percentuali, scendendo dal 31,2% al 23,6%. Quasi certamente, i consensi in uscita dalla Lega sono andati in gran parte verso Fratelli d’Italia, partito che nello stesso periodo è cresciuto del 5,6% ed è divenuto la terza forza scavalcando il Movimento 5 Stelle.

Tutti gli altri partiti fanno registrare variazioni – in positivo o in negativo – piuttosto contenute, inferiori ai 2 punti percentuali. Nonostante l’eccezionalità dell’anno appena trascorso, infatti, non vi sono mai stati eventi che hanno indotto uno shift significativo nei consensi dell’uno o dell’altro partito. Anche i trend più evidenti (come il calo della Lega e la crescita di FDI) sono stati molto graduali, come emerge chiaramente dal grafico animato che ripercorre tutte le Supermedie settimanali del 2020.

 

 

 

Ma vediamo più in dettaglio qual è lo stato di salute delle principali forze politiche. Cominciando proprio dalla Lega, che i sondaggi vedono tutt’ora (e per il terzo anno consecutivo) come il primo partito italiano.

Dopo un 2019 di alti e bassi, che aveva visto il Carroccio raggiungere il culmine del suo successo elettorale (il 34% delle elezioni europee) e poco dopo la (auto) estromissione di Matteo Salvini dal Governo, il 2020 è stato un anno di lento declino, che ha regalato ben poche soddisfazioni alla Lega: sin da gennaio, con la sconfitta alle elezioni regionali in Emilia-Romagna, che nelle intenzioni di Salvini dovevano essere l’inizio della riscossa, l’occasione per dare una spallata al Governo e tornare alle elezioni nei panni del favorito.

L’inizio dell’emergenza sanitaria, di lì a poco, ha impedito alla Lega di contrastare efficacemente il Governo, e ha evidenziato i grossi limiti di quello che era ritenuto un modello d’eccellenza dell’amministrazione leghista, cioè la Lombardia. In seguito, alle elezioni regionali di settembre, il successo personale del presidente del Veneto Luca Zaia (avversario interno di Salvini e riconfermato con percentuali plebiscitarie) non è bastato a smaltire la delusione per la mancata conquista della Toscana, in una sorta di riedizione di quanto avvenuto in Emilia-Romagna a gennaio. L’anno si chiude con la “beffa” dell’abolizione  dei decreti Salvini, provvedimento simbolo della Lega di Governo tra il 2018 e il 2019.

 

 

Tra i principali partiti, il PD è forse il più immobile. Il partito di Nicola Zingaretti ha iniziato l’anno con la vittoria in Emilia-Romagna che gli dato un certo slancio (è in quelle settimane che il PD si posiziona sopra il 21%), che però l’inizio della pandemia ha spento ben presto, con lo stesso Zingaretti risultato positivo al Covid e costretto all’inattività per diverse settimane. Da allora, per scelta strategica o per necessità, il PD è rimasto piuttosto “nascosto” dietro la figura di Conte, mantenendo una posizione ambigua (e contestata al suo interno) sul referendum costituzionale relativo al taglio dei parlamentari, e limitando bene i danni alle elezioni regionali di settembre, grazie soprattutto alla riconferma di Vincenzo De Luca in Campania e di Michele Emiliano in Puglia e alla vittoria di Eugenio Giani in Toscana.

 

 

Il caso di Fratelli d’Italia è, come abbiamo visto, uno dei più interessanti di questo 2020. Basta un’occhiata al grafico – in cui il dato minimo coincide con quello di inizio anno e quello massimo con quello di fine anno – per capire come si sia trattato di un anno tutto in crescendo per il partito di Giorgia Meloni. Eppure, è possibile individuare due fasi distinte: una prima fase è quella della crescita impetuosa, che nella prima metà dell’anno porta FDI a sfiorare già il 15%; e una fase successiva, in cui i nuovi consensi si consolidano ma crescono molto più lentamente. Un rallentamento che non impedisce tuttavia a FDI di superare il M5S in terza posizione, mentre ai consensi “virtuali” dei sondaggi si aggiungono vittorie elettorali e politiche non di poco conto, come l’elezione di un Presidente di Regione (Acquaroli nelle Marche) e quella di Giorgia Meloni alla presidenza del gruppo dei conservatori europei ECR.

 

 

Per il Movimento 5 Stelle invece il 2020 è stato un anno di alti e bassi. Sul piano dei consensi, il partito è rimasto sostanzialmente dov’era un anno fa, ma passando attraverso diverse vicissitudini: dopo le dimissioni, avvenute in gennaio, di Luigi Di Maio da capo politico e la “reggenza” di Vito Crimi, il M5S era sceso intorno al 14%, anche a seguito dei magri risultati alle regionali in Emilia-Romagna e Calabria; con l’inizio della pandemia, però, il M5S è apparso come il principale beneficiario di quello che abbiamo definito “effetto Conte”: l’aumento di popolarità del Presidente del Consiglio, registrato proprio nelle prime settimane dell’emergenza sanitaria, ha riportato il M5S (che per primo lo aveva indicato come possibile ministro e poi come premier) sopra il 16%.

La risalita però si è fermata lì, e da allora l’unica vittoria degna di nota ottenuta è stata quella del referendum sul taglio dei parlamentari, storica battaglia dei pentastellati. Nel frattempo, i tanto attesi “Stati Generali” che dovevano dare nuovo slancio al M5S si sono svolti in una altrettanto generale indifferenza, e il partito ha chiuso l’anno tornando su valori più modesti (14-15%).

 

 

Infine, più staccato dai “big four”, troviamo Forza Italia. Per tutto il 2020, il partito di Silvio Berlusconi si è mantenuto intorno a percentuali ben lontane da quelle dei suoi tempi migliori, eppure – anche in questo caso – estremamente stabili, oscillando all’interno di un range inferiore al punto e mezzo. L’anno era iniziato bene, con la vittoria dell’esponente azzurra Jole Santelli alle regionali in Calabria, dove FI era risultata anche la lista più votata del centrodestra. I successivi sviluppi hanno però evidenziato come, nonostante la “fluidità” dei consensi nel centrodestra, i consensi di Forza Italia sembrino ormai inchiodati sotto il 10%. Dopo la notizia che lo stesso Silvio Berlusconi era risultato positivo al Covid i sondaggi non hanno rilevato alcun “effetto solidarietà”.

L’atteggiamento di opposizione costruttiva, tenuto da FI in occasione dell’acuirsi della seconda ondata, ha probabilmente avuto come effetto un lieve aumento dei consensi, ma anche lì (si pensi alle vicende relative al MES e alla sua riforma) in modo non indolore e con diverse polemiche interne allo stesso partito.

 

 

Per quanto riguarda i partiti minori, sono rimasti tali (cioè minori) anche nel 2020. Il caso forse più significativo – sia per quanto riguarda le variazioni percentuali, sia soprattutto per il suo peso politico e parlamentare – è quello di Italia Viva. Il partito di Matteo Renzi, che un anno fa era stato appena fondato e si aggirava poco sotto il 5%, oggi si ritrova poco sopra la soglia del 3% (la soglia di sbarramento tutt’ora prevista dalla legge elettorale vigente).

Nonostante l’attivismo del suo leader, Italia Viva stenta a decollare, probabilmente sia a causa della concorrenza di Carlo Calenda e della sua Azione, sia a causa dell’incapacità di portare via consensi al PD, partito di cui lo stesso Renzi è stato segretario per quasi cinque anni. Restano invece invariati al 3% i consensi della sinistra, rappresentata al Governo dal Ministro della Salute Roberto Speranza.

Le variazioni fin qui viste e analizzate con riferimento ai singoli partiti potrebbero indurre a credere che nell’ultimo anno vi siano stati cambiamenti non irrilevanti nell’opinione pubblica, per quanto magari non eclatanti. A allora perché parliamo di “congelamento”? La risposta diventa evidente osservando le linee di tendenza relative non più ai singoli partiti, bensì alle aree e alle aggregazioni politiche e parlamentari.

 

 

Da questo grafico, è evidente come i consensi degli italiani siano rimasti sostanzialmente immobili durante gli ultimi 12 mesi. Si tratta, a ben vedere, di una novità: è sufficiente confrontare le linee del 2020 con quelle – ben più “movimentate” – relative al 2018 e al 2019. Nell’ultimo anno, i consensi verso i quattro partiti che formano la maggioranza del Governo Conte II (PD, M5S, IV e sinistra) hanno oscillato entro una forchetta ridottissima: soltanto due punti percentuali (dal 41,5% al 43,5%); la stessa cosa è avvenuta, specularmente, per l’opposizione di centrodestra (dato minimo 47,7%, dato massimo 49,8%), anch’esso formato da quattro soggetti (Lega, FDI, FI e Cambiamo).

 

 

Gli italiani sembrano quindi essersi riaggregati intorno a questi due macro-blocchi. Ma il “congelamento” ha riguardato anche le aree politiche per come si sono presentate davanti agli elettori in occasione delle elezioni con cui fu eletto l’attuale Parlamento, ossia le Politiche del 4 marzo 2018. Anche in questo caso, vediamo come l’aggregazione di centrosinistra (nella quale vengono considerati non solo il PD e +Europa, ma anche i soggetti “fuoriusciti” dal PD come Italia Viva e Azione, ma non la sinistra di LeU) ha oscillato soltanto di circa un punto e mezzo, passando dal 27,6% di giugno al 29,2% di ottobre-novembre.

Insieme agli elementi istituzionali e di contesto (il semestre bianco del Capo dello Stato; la riforma che ha tagliato il numero di seggi parlamentari; una legge elettorale con una componente di seggi assegnata con il maggioritario) questo immobilismo dell’opinione pubblica costituisce una sorta di “assicurazione” sulla durata della legislatura. Detta in altri termini, il fatto che i rapporti di forza non siano cambiati quasi per niente nell’ultimo anno rende assai difficile ipotizzare che possano cambiare in modo significativo in tempi brevi, in caso di ritorno anticipato alle urne. E questo contribuisce a spiegare perché nel centrodestra si continuino a invocare nuove elezioni; ma anche l’aumento delle tensioni nella maggioranza, nella consapevolezza comune che una crisi di governo costituirebbe un salto nel buio da cui sarebbero davvero in pochi a poter trarre beneficio.