L’affare Moratti: storia e motivazioni di una candidatura


di Giovanni Cominelli

Nelle elezioni regionali del 2018 in Lombardia la Lega aveva ottenuto il 29,65%, Forza Italia il 14,32%, Fratelli d’Italia il 3,64%. Le elezioni politiche del 2022 in Lombardia hanno sconvolto questi dati.

La Lega è scesa al 13,9%, Forza Italia al 7,9%, Fratelli d’Italia è salita al 27,6%. Si tratta di dati da comparare con cautela, perché le elezioni politiche hanno regole diverse da quelle regionali. Però, un trend si può intravedere: la Destra si è spostata più a destra, il Centro si è dimezzato ed è ridotto lì come “casecavalle appise”.

Ce n’è abbastanza perché “il piccolo mondo di Centro” si trovi a disagio. A quanto è dato di capire, e se i gossip hanno qualche fondamento, il Centro – chi? Forza Italia? Letizia Moratti personalmente? – avrebbe tentato, ben prima delle elezioni inaspettate del 2022, di negoziare la candidatura di Letizia Moratti alla Presidenza della Regione.

In base a quali calcoli e a quali inevitabili do ut des è impossibile sapere con certezza. Certo è che i risultati hanno cambiato la scena. A livello nazionale il partner più forte di Fratelli d’Italia è la Lega, non per il magro risultato in percentuale, molto vicino a quello di Forza Italia, ma per il numero più che proporzionale di deputati e senatori ottenuti. Alla Camera, pur avendo la Lega solo un terzo circa di voti in percentuale rispetto a Fratelli d’Italia, ha 66 seggi rispetto ai 118 di Fratelli d’Italia, cioé più della metà.

E Forza Italia, pur avendo gli stessi voti in percentuale della Lega, ha solo 44 seggi. Queste disprorporzioni, generate dagli accordi politici siglati sotto velo di ignoranza sul terreno della parte uninominale del sistema elettorale, hanno prodotto effetti politici rilevanti.

Il primo è che in Lombardia il Presidente deve essere della Lega, in Lazio deve essere di Fratelli d’Italia.  Non c’è posto per Letizia Moratti, semmai le fosse stato promesso. A questo punto la signora Moratti poteva dimettersi e tornare alle sue passioni civili e ai suoi molteplici interessi privati. Non lo ha fatto. Perché?  “Che cosa le è saltato in mente?”, si chiedono tanto a destra quanto a sinistra.

La domanda ha senso: perché a tutti è noto che Letizia Moratti, di origini alto-borghesi e di simpatie socialiste, ha sempre fatto il civil servant, il Ministro e il Sindaco – come molte figure di simpatie o di area socialista – per conto e per fiducia di Forza Italia, senza averne mai avuto la tessera.

Così, da destra le arriva accuse di incoerenza, di opportunismo e di tradimento. Si tratta, almeno in questo caso, di accuse a porta girevole. La domanda cruciale “chi ha tradito chi?” si potrebbe infatti controrivolgere a chi accusa, visto che Letizia Moratti si è trovata a dover condividere posizioni filo-Putin e, soprattutto, filo-Novax, queste ultime del tutto irricevibili da parte di un Assessore alla Sanità in Lombardia, forse la più colpita dalla pandemia tra le Regioni.

Da sinistra le viene mossa l’accusa tautologica di provenire da destra e, dunque, di essere unfit e non credibile per un’eventuale alleanza con la sinistra. Ma anche qui gira una porta, ancora più grande.

Chi può dire quante figure di area riformista e socialista, che hanno trovato rifugio in Forza Italia, nell’illusione di una politica liberal-socialista, non si sarebbero potute schierare a sinistra, se il PCI-PDS non si fosse ostinato nella negazione della storia socialista dei decenni precedenti, in particolare del craxismo, accusato persino di essere una minaccia per la democrazia?

In ogni caso, Letizia Moratti si è dimessa dalla Giunta regionale lombarda, ma non dalla politica. Anzi, e per la prima volta, è intenzionata a fare politica direttamente su una piattaforma che, per quanto è dato di conoscere, non si può definire di destra, che è notissima e che lei rifiuta, ma non si può definire di sinistra, perché quella della sinistra è al momento ignotissima.

Una piattaforma, quella della Moratti, assai vicina come metodo e stile al Draghi nazionale. La questione sanitaria è certamente la prima. L’irruzione del Covid ha messo in evidenza criticità crescenti, riconducibili per la gran parte alla deterritorializzazione dei servizi sanitari, alla crisi della figura del medico di base, alla concentrazione corrispondente dei servizi negli Ospedali.

Uno degli effetti è che per far fronte ad un mal di testa o a un mal di petto particolarmente insistenti occorre andare a mettersi in fila per delle ore al Pronto soccorso.

A volte il mal di testa è un ictus e il male al petto è un infarto. Un altro effetto anche peggiore, denunciato dalla Moratti, ma tangibile da chiunque, è quello delle liste di attesa per un dolore al piede o per un possibile tumore. A questo punto si apre “una divergenza”: chi ha i mezzi si rivolge ai privati, chi non li ha attende e, se soffre di tumore, muore in lista di attesa per il 4%, parola di Assessore.  Il famoso modello lombardo pare superato per efficienza da quello veneto e da quello emiliano. Così si dice…

Costruire un’alternativa alle politiche regionali degli ultimi anni dovrebbe dunque essere l’impresa dei partiti che si candidano al governo della Regione.

Mentre Azione-Italia Viva ha preso la palla al balzo dell’autocandidatura di Letizia Moratti, all’insegna della parola d’ordine “A caval donato non si guarda in bocca”, il PD ha opposto da subito un reciso no. L’argomentazione è che “il nostro elettorato” mai e poi mai voterebbe una personalità che proviene da destra.

Ci sono due bug in questo ragionamento. Il primo è che nessuna forza politica può parlare seriamente di “proprio elettorato”, se è vero che il PD ha perduto negli ultimi anni circa 7 milioni di elettori.

L’elettorato non è proprietà privata di nessuno, va riconquistato ogni volta. È vero che esiste un nucleo di elettorato “ideologico” stabile, ma è quello in arrivo e quello in uscita che fa vincere o perdere. Il secondo bug è che o si ha la forza di vincere da soli o si tessono le alleanze.

Queste non si fanno con se stessi. “Il campo largo” è, in Lombardia, un’alleanza con se stessi, perché neppure il M5S, dato al 7%, è disponibile.

Allora, come si spiega il gran rifiuto? Poichè, nella crisi di cultura politica e programmatica che lo lacera, il PD non riesce fare in modo definitivo i conti con la propria storia comunista, non sa se essere socialista, socialdemocratico, laburista, liberal-socialista, così tutte le sue correnti si sono buttate sulla difesa pura e semplice dell’esistenza del PD, assediato da destra e da sinistra.

Ora, l’esistenza interessa agli eletti, agli Amministratori, agli apparati, assai meno agli elettori di sinistra. Che vorrebbero vedere dentro l’esistenza un’essenza. Chiamare alla difesa suprema del PD, senza chiarirne l’identità, ormai ridotta alla political correctness, alimenta il fondamentalismo, nella parte più ideologica del suo elettorato.

E il fondamentalismo, eccitato da un gruppo dirigente pur cinicamente aduso ad ogni manovra di palazzo, adesso è diventato “il nostro elettorato” che mai voterebbe la Moratti.