L’affare del secolo? L’acqua! Sulla pelle della popolazione


di Civismundi

Da almeno vent’anni a questa parte, cioè da quando è stato introdotto l’euro, le tariffe delle utenze domestiche sono in crescita costante. Una famiglia italiana spende in media in un anno, per le utenze domestiche, circa 2.500 euro. Luce, gas, imposta sui rifiuti, ma la bolletta più pesante è spesso quella dell’acqua: per il prezioso liquido potabile la spesa può arrivare a fino ad 800 euro l’anno, sia pure con notevoli differenze tra una regione e l’altra.  

A causa dei cambiamenti climatici e dei loro disastrosi effetti sull’agricoltura di tutto il Sud del mondo, si prevede che, almeno fino al 2050, la carenza d’acqua affliggerà più di tre miliardi di persone. E sarà l’acqua, più del petrolio, al centro dei conflitti di questo millennio.

Le stime più recenti parlano di oltre 20 milioni di persone  morte per fame nel mondo ogni anno. E le medesime stime dicono che i morti di sete diventerannoalmeno il doppio.

Gli USA e la Cina, sono i paesi con il più alto consumo di acqua. E proprio gli Stati Uniti rappresentano il centro della speculazione, il Cme Group comincerà a quotare in borsa l’acqua nel 2021 partendo dalla California, forse la più grande piazza del mondo per i contratti di borsa a termine.

Ma questo bene primario per l’umanità è già da tempo nel mirino della grande speculazione finanziaria: adesso le grandi istituzioni internazionali – Fondo Monetario e Banca Mondiale, con l’assenso dell’Unione Europea – hanno dato il via libera per quotare l’acqua nella Borsa di New York a partire dal 2021. A Wall Street l’acqua diventa un “future”, cioè un titolo derivato, come avvenuto in precedenza anche per grano, mais, soia, riso. Così l’acqua, bene essenziale per la vita, avrà, con l’anno nuovo, il suo prezzo d’investimento.

I titoli derivati sono né più né meno che scommesse gestite da banche allibratrici, tese a trarre profitto da un elemento basilare, di cui nessuno sulla Terra può fare a meno. Si tratta, come specialmente gli enti locali italiani hanno sperimentato sulla loro pelle, di strumenti finanziari altamente rischiosi, anche se la propaganda delle grandi banche multinazionali, con abile propaganda, li fa apparire come vantaggiosi per gli Stati, addirittura taumaturgici, capaci diregolare il “dio mercato”. L’effetto che questi titoli potenzialmente tossici hanno ottenuto, e continueranno ad ottenere, per gli Stati che ne hanno acquistati in gran copia, è quello di agevolare la corsa alla privatizzazione le risorse pubbliche, i beni comuni.

Del resto l’acqua potabile è, in atto, un business colossale, gestito nella gran parte del mondo dalle multinazionali, che hanno ingaggiato una spietata guerra commerciale per imporre una concentrazione monopolistica sempre maggiore.

In Europa le multinazionali che si contendono, in posizione monopolistica, il mercato, sono la svizzera “Nestlé”, la francese “Veolia”, che sta per acquisire anche la “Suez”, la “Danone” e la “Coca Cola”.

I danni provocati dalla gestione dell’acqua potabile in mano alle multinazionali sono incalcolabili, come sanno le popolazioni del Pakistan, o gli indiani “Morongo” della California, portati allo stremo dalla scarsità e dalla pessima qualità dell’acqua loro erogata.

Nel solo Cile, per fare un esempio, il giro d’affari della “Nestlé” ammonta a 8 miliardi all’anno. Nel paese sudamericano il furto dei beni comuni è stato istituzionalizzato dallo Stato e l’acqua è totalmente privatizzata.  

La speculazione finanziaria, anche quando ha per oggetto un bene comune fondamentale come l’acqua, prevale sulla sovranità degli Stati, i diktat delle grandi istituzioni internazionali portano ad ignorare la volontà dei cittadini anche quando si esprime attraverso referendum e gli italiani ne sanno qualcosa: che fine ha fatto il referendum sull’acqua pubblica del 2011 nel quale il popolo italiano, con una grandissima partecipazione, bocciò la privatizzazione del prezioso liquido? Sembra incredibile, ma la pressione della pressione finanziaria su legislatori e governanti è stata, fin qui, più forte della volontàpopolare, perché gli interessi in gioco sono stratosferici, così l’esito schiacciante del referendum è mai stato tradotto in leggi in grado di fermare la corsa alle privatizzazioni.

Col nuovo anno è facile prevedere che la quotazione dell’acqua in borsa provocherà anche in Italia effetti negativi sulle tariffe, né vale l’alibi che la speculazione finanziaria potrebbe avere una funzione deterrente sugli sprechi. Nella logica dei beni comuni è lo Stato nelle sue articolazioni territoriali, non i privati, a dover investire nella ristrutturazione delle reti idriche che, nel nostro Mezzogiorno più che altrove, provocano una grande dispersione dell’acqua destinata (a caro prezzo) all’uso potabile nelle nostre case e nei siti produttivi.