di Carlo Crotti
Ci fu un breve periodo nel lungo regno di Luigi XIV in cui la Francia fu turbata da una serie di processi per stregoneria e avvelenamento che risultano fondamentali per comprendere alcuni aspetti della società francese del XVII secolo.
Tali avvenimenti, passati alla storia come “affaire des poisons” infatti non soltanto smascherarono l’ipocrisia di una nobiltà che quotidianamente si recava a Messa per poi non esitare a eliminare col veleno coniugi indesiderati e rivali, ma ci permette altresì di osservare come superstizione e fede religiosa fossero legate e, soprattutto, quanto il sistema giudiziario fosse classista, sessista e inadeguato. Lo scandalo scoppiò nel 1679 e si concluse soltanto nel 1682, ma bisogna risalire a una decina d’anni prima per comprendere meglio il contesto.
Nel 1668 il Trattato di Aquisgrana aveva sancito la fine della guerra di devoluzione fra Francia e Spagna, ma aveva aggravato i già difficili rapporti tra francesi e olandesi. Luigi XIV, in vista di una sua entrata in guerra contro l’Olanda decise di inviare in Inghilterra la propria cognata, che era sorella del re inglese Carlo II. Henriette Anne Stuart, spesso indicata dalla storiografia italiana come Enrichetta d’Inghilterra, era figlia di Carlo I e aveva sposato il fratello di Luigi XIV, il duca d’Orléans.
Il sovrano francese decise di far leva sull’amore fraterno per spingere Carlo II a diventare alleato della Francia: firmando quello che sarebbe passato ai posteri come Trattato segreto di Dover, l’Inghilterra s’impegnava a intervenire al fianco della Francia in caso di conflitto con la potenza olandese. Inizialmente contrario, Carlo II si lasciò convincere dalla lauta ricompensa della Francia e dall’insistenza della sorella. Tornata in Francia, Enrichetta ricevette gli omaggi del cognato e il biasimo del marito, con il quale aveva un rapporto assai conflittuale.
Uno dei loro più recenti scontri aveva portato Enrichetta a far esiliare l’amante del consorte, il cavaliere di Lorena. Tuttavia il duca d’Orléans ottenne dal re il ritorno del suo amante, assetato di vendetta, e la morte di Enrichetta, sopraggiunta a poche settimane dal suo ritorno in Francia, ne fu la conseguenza, almeno secondo la diretta interessata e i suoi contemporanei. La giovane donna (aveva ventisei anni) infatti non solo diceva di non sentirsi al sicuro, ma durante la dolorosa agonia che la colpì dopo aver ingerito una bevanda, dichiarò ai presenti di esser stata avvelenata.
L’eco della sua tragica morte raggiunse velocemente l’Inghilterra e lo stesso Segretario di Stato di Carlo II si disse indignato dalla nomina a maresciallo del cavaliere di Lorena che, perfino in suolo inglese, sapevano responsabile di quella morte. La crisi diplomatica sembrava inevitabile e invece nel 1672 l’Inghilterra affiancò la Francia nella guerra contro l’Olanda e la Svezia le seguì, ma quando la Spagna, la Danimarca, e il Sacro Romano Impero si unirono all’Olanda, gli inglesi si tirarono indietro. Le altre potenze proseguirono il conflitto fino al 1678 e la Francia, nonostante avesse praticamente l’Europa intera contro, ne uscì vittoriosa.
Da successivi studi del verbale dell’autopsia eseguita sul corpo di Enrichetta d’Inghilterra si è concluso che la morte fosse dovuta a una peritonite. La lettura attenta delle corrispondenze e delle memorie dell’epoca ha poi permesso di scoprire che la donna in realtà fosse malata già da anni e probabilmente il suo viaggio a Dover non fece che peggiorare le sue condizioni.
Perché allora tutti gridarono al veleno? Ce lo spiega Voltaire quasi un secolo più tardi affermando che furono la malignità umana e l’attrazione per ciò che è fuori dall’ordinario a far sì che si affermasse con tale vigore la tesi dell’avvelenamento. Questa tesi descrive perfettamente quanto avvenne in Francia poco tempo dopo.
Nel 1673 una ricca marchesa venne accusata di aver avvelenato il padre e i due fratelli: riuscì a fuggire, ma dopo tre anni di ricerche fu trovata, arrestata, torturata, processata e infine decapitata e arsa in piazza. Nessuno si immaginava che quella fosse soltanto la prima di una lunga serie di esecuzioni capitali legate al sulfureo mondo dei veleni.
Tre anni più tardi un’altra avvelenatrice, nota come La Voisin, finì sul patibolo, ma questa volta le circostanze erano diverse: grazie alle sue rivelazioni, ottenute sotto tortura, si scoprì una rete che contava un centinaio tra alchimisti e fattucchiere pronti a esaudire i desideri efferati di insospettabili e facoltosi clienti.
Infine, pochi giorni prima delle sua pubblica esecuzione, lanciò una delle sue accuse più eclatanti: il tragediografo Jean Racine, da poco eletto storiografo del re, avrebbe avvelenato la sua amante. Si scoprì che si trattava di uno scambio di persone e il tragediografo non venne nemmeno convocato.
Fu in quel contesto che venne istituito un tribunale con poteri giurisdizionali speciali: tutti i casi legati alla rete di avvelenatori e avvelenatrici sarebbero stati giudicati da un organo ad hoc che non prevedeva la possibilità di appello.
Ma i risvolti più inquietanti dovevano ancora arrivare: pochi giorni dopo l’esecuzione pubblica della donna si fece avanti sua figlia con inedite e scioccanti rivelazioni. La giovane, che si era specializzata in interruzioni di gravidanze indesiderate e aveva seguito le orme della madre rivelò l’identità delle clienti che frequentavano la loro casa e a ogni interrogatorio aggiungeva particolari sempre più sconvolgenti, fino a fare il nome della marchesa di Montespan, favorita del re.
La marchesa di Montespan regnava sul cuore del re e quindi sull’intera corte da una decina d’anni e aveva dato a Luigi XIV almeno sette figli, la maggior parte dei quali già legittimatiti. Dalle prime rivelazioni sembrò che la marchesa frequentasse le indovine per farsi leggere il futuro, poi per procurarsi filtri d’amore, fino ad arrivare, ormai disperata, a partecipare a rituali satanici che culminavano nello sgozzamento di neonati e poi a ordinare del veleno per sbarazzarsi della sua rivale. Infine, le rimase soltanto un ultimo, estremo gesto: sbarazzarsi del re in persona che l’aveva tradita e umiliata.
I verbali delle deposizioni venivano regolarmente trasmesse al re: possibile che la donna che aveva tanto amato, che ancora viveva al suo fianco e che gli aveva dato così tanti figli fosse capace di simili abomini?
Ma a essere travolti dalle accuse furono anche il valoroso maresciallo di Luxembourg che tanto si era contraddistinto nella guerra d’Olanda e uno degli amori di gioventù del re, la Contessa di Soissons, nipote del cardinale Mazzarino: entrambi furono accusati di aver avvelenato i rispettivi coniugi. Accanto a loro altri nomi di nobili illustri, per lo più donne.
Possibile che il devoto Re Sole, strenuo difensore della cristianità, fosse circondato da una corte di efferati criminali?
Innanzitutto va detto che il fervore cattolico del XVII secolo spesso era una questione puramente di facciata e a volte nemmeno quello. Il cristianissimo Luigi XIV, che aveva tentato di convertire gli inglesi e più tardi avrebbe perseguitato i protestanti, si recava a messa tutti i giorni, ma viveva con quattro donne: la moglie, Maria Teresa d’Austria, la favorita ufficiale, ovvero la marchesa di Montespan, l’amante effettiva, cioè Angélique de Fontanges e la donna che amava veramente, la marchesa di Maintenon.
Inoltre il confine tra fede e superstizione era assai labile ai tempi e l’una non escludeva l’altra, tanto che la lettura delle carte e il ricorso a filtri magici era pratica assai comune perfino tra le persone colte della nobiltà. È quindi verosimile che anche una come la Montespan si rivolgesse a fattucchiere per conoscere il proprio futuro o acquistare amuleti e pozioni afrodisiache, ma prima di accusarla a posteriori per sacrifici umani e tentati omicidi occorre fare un passo indietro.
Gli interrogati che fecero il suo nome si confusero spesso nelle date e si contraddissero, pur dimostrando che la marchesa fosse nota nel loro ambiente. Fra loro, una tale Filastre, prima di avviarsi verso il patibolo, confessò che quanto detto sulla Montespan fosse una calunnia. Tutti gli altri accusati che coinvolsero la marchesa furono incarcerati a vita: venne così evitato un pubblico processo che avrebbe inevitabilmente coinvolto e infangato la favorita del re. La loro mossa, quella di denunciare la donna più potente di Francia, fu dunque vincente e evitò a tutti loro la pena capitale.
Non dimentichiamoci inoltre della tortura, metodo usato con grande facilità e crudeltà ai tempi, spesso con esiti controproducenti. La più gettonata era la tortura dell’acqua, che consisteva nel versare nella bocca dell’interrogato enormi quantità d’acqua. Poche rivelazioni avrebbero protratto la tortura fino a estreme conseguenze, talvolta fatali; tante e sensazionali confessioni avrebbero invece garantito una tregua e rallentato i tempi.
Ma questo affaire va letto anche nell’ottica dei complotti di corte e delle fazioni politiche. I più potenti politici dell’epoca erano Colbert, ministro e tesoriere, e Louvois, ministro della guerra. Il primo ha lasciato in eredità il colbertismo, ovvero un’idea illuminata di mercantilismo; il secondo ha trascinato Luigi XIV in una lunga serie di guerre che col tempo avrebbero logorato le casse dello stato e l’immagine del sovrano. I due erano acerrimi nemici e nessuno riuscì mai a primeggiare sull’altro. Probabilmente non fu un caso che la Montespan, la contessa di Soissons e il maresciallo di Luxembourg appartenessero alla cerchia di Colbert e Louvois in un’occasione interrogò da solo un’avvelenatrice.
Detto questo, quando la giovane amante del re morì in circostanze drammatiche, egli vietò l’autopsia: per amore della fanciulla o per terrore di scoprire tracce di veleno?
La famiglia della ragazza tuttavia decise di eseguire lo stesso l’autopsia, il cui resoconto è giunto fino ai giorni nostri. Con un’analisi moderna del documento, unito alla ricostruzione della storia clinica della ragazza, appare molto probabile che la giovane morì per un carcinoma alla membrana fetale che finì per comprometterle anche i polmoni. Del resto, come testimoniano i contemporanei, la ragazza era malata già da tempo. Questa morte segnò dunque il culmine di una serie di scomparse apparentemente misteriose che colpirono fortemente l’immaginazione dei contemporanei.
Un anno più tardi, il 21 luglio 1682, il tribunale speciale venne chiuso definitivamente per ordine del re: gli arresti erano stati 367, gli esili 23, i carceri a vita 5 e le condanne a morte 36. Queste ultime riguardarono, a parte la marchesa di Brinvilliers, solo persone del popolo.
Ai nobili fu lasciato il tempo necessario per lasciare la Francia e la marchesa di Montespan invece mantenne i suoi lussuosi appartamenti a Versailles ancora per molti anni e vide legittimati anche gli ultimi figli avuti col re.
Insomma non tutti ebbero lo stesso trattamento, ma se l’implicazione della più celebre favorita del XVII secolo è ancora oggetto di dibattito, la storiografia moderna ha stabilito che le morti di Angélique de Fontanges e Enrichetta d’Inghilterra furono accidentali e le voci dell’avvelenamento furono il frutto di una paura collettiva, che portò il re anche a emanare nel 1682 un editto che bandiva dal regno ogni alchimista.
Fonte: instoria.it/