L’Accordo in disaccordo – l’ingarbugliato contesto del nucleare iraniano


di Alessandro Scuderi

Da più parti mi viene chiesto cosa in effetti sia e su cosa effettivamente verta il c.d. “Accordo sul Nucleare Iraniano”; ovvero i termini di tale accordo, cosa esso celi e quali siano i fini autentici. In maniera squisitamente tecnica, stiamo parlando del J.C.P.O.A. (acronimo di  Joint Comprehensive Plan of Action)  che tradotto sarebbe  Piano d’azione congiunto globale”.

Sostanzialmente si tratta di un accordo internazionale, siglato a Vienna il 14 luglio del 2015, circa utilizzo e sfruttamento dell’energia nucleare Iraniana, appunto  tra la Repubblica Islamica ed i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito) affiancate dalla Germania e dall’Unione Europea; per tale motivo viene chiamato il gruppo dei +5.

Tutto iniziò con una sorta di piano di intenti comuni (Piano d’azione Congiunto), che si ottenne grazie a dei negoziati che giunsero ad un accordo provvisorio firmato nel novembre 2013; di fatto si  gli incontri si susseguirono per i 20 mesi successivi, sino a quando, nell’aprile del 2015, si raggiunse un  accordo quadro sul nucleare iraniano; come già indicato, nel mese di luglio venne poi siglato l’accordo finale.  

Ma cosa prevedeva tale accordo? Orbene, l’Iran si impegnava a rimuovere le proprie riserve di uranio a medio arricchimento, di tagliare del 98% le riserve di uranio a basso arricchimento e di ridurre di due terzi le sue centrifughe a gas per almeno 13 anni, nonché di  arricchire l’uranio solo al 3,67%  per i successivi 15 anni; per la stessa durata temporale l’Iran ha, altresì,  concordato di non realizzare alcun nuovo reattore nucleare ad acqua pesante. L’impegno assunto prescriveva che le  operazioni di arricchimento dell’uranio, si sarebbero circoscritte ad un unico impianto, avvalendosi di centrifughe di prima generazione per almeno 10 anni. Al fine di evitare il rischio di proliferazione nucleare, l’Iran si impegnava alla riconversione dei vecchi impianti in quelli di ultimissima generazione. A tutela del rispetto del trattato l’A.I.E.A. (Agenzia Internazionale per l’energia Atomica)  avrà regolare, ma non libero,  accesso a tutti gli impianti nucleari iraniani.  l’Iran, o meglio l’eminenza grigia delle Guardie Repubblicane, Gen. Qassem SOLULEIMANI, ha pensato bene di installarne 2 nuovi di zecca in Siria; ma è stato scoperto dall’intelligence israeliana che li ha preventivamente distrutti, con mirate azioni di sabotaggio).

Naturalmente, l’Iran ha avanzato delle richieste, senza condizione alcuna, affinché accettasse il piano della J.C.P.O.A., ottenendo così la c

essazione delle sanzioni economiche già imposte nell’ambito della risoluzione 1747, dagli U.S.A., dalla U.E. e dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, proprio a causa del programma nucleare iraniano, diremmo non del tutto cristallino. Perché, direte voi, non del tutto cristallino? Perché come sopra precisato l’accordo prevedeva che l’Iran si avvalesse di un solo impianto per l’arricchimento e così, in effetti è stato fatto. Ma,  l’Iran, o meglio l’eminenza grigia delle Guardie Repubblicane, Gen. Qassem SOLULEIMANI, ha pensato bene di installarne 2 nuovi di zecca in Siria, giocando sporco sulle intese sottoscritte; ma è stato scoperto dall’intelligence israeliana che li ha preventivamente distrutti, con mirate azioni di sabotaggio, solo dopo che fossero state ultimate le fasi di installazione; giusto per arrecare oltre al danno logistico, quello meramente economico.

L’accordo in sé, a parte la tentata beffa sul territorio siriano, sembra essere politicamente corretto, ma la fama di Stato impostore e manipolatore che la Repubblica Islamica si è guadagnata sul campo, spinse il Mossad (HaMossad leModi’in uleTafkidim Meyuchadim) ad attivarsi alacremente per acquisire quante più informazioni possibili circa i contenuti “riservati” tra il Presidente U.S.A. Barak OBAMA ed il Presidente Hassan ROUHANI.

Diciamo pure che Israele non ha visto di buon occhio questa apertura verso gli iraniani, atteso che le mire espansionistiche dell’Iran nei riguardi di Siria e Libano, avvicinerebbe di gran lunga la minaccia nucleare iraniana in pregiudizio di Gerusalemme. Ciò ha innescato una serie di attriti diplomatici tra Stati Uniti ed Israele, impensabili sino a pochi anni addietro. I siti ed i giornalisti di geopolitica internazionale, ma anche gli analisti del settore più informati, sostengono che il famigerato “Istituto” (così viene comunemente indicato il servizio segreto israeliano) abbia spiato ed intercettato gli incontri “extra tabula”, sbugiardando di fatto la Presidenza U.S.A., con la consegna di una sorta di  brogliaccio delle intercettazioni, consegnato con riferito ghigno sarcastico dall’ambasciatore israeliano a Washington, Ron DERMER, ai responsabili di C.I.A. (Central Intelligence Agency)  N.S.A. (National Security Service). Appare chiaro, se ciò fosse vero, che OBAMA non abbia gradito, ma appare ancora più chiaro che abbia dovuto abbozzare un silenzio istituzionale a riguardo, sebbene tra sguardi di fuoco e mugugni a denti stretti, durante l’incontro post trattato, intrattenuto alla Casa Bianca con Bibi NETANYAHU.

Personalmente, ritengo che l’atteggiamento troppo morbido e acconsenziente di OBAMA e della MOGHERINI in particolare, nei confronti dell’Iran, sia stato del tutto inopportuno. Le ragioni sono varie e proverò a sintetizzare il più possibile quali sono gli attriti più evidenti tra ragione e razionalità, contro lo stato (ineluttabile) dei fatti:

In Iran vige una brutale dittatura militare e viene applicata la shaaria con veemente violenza;  le donne vengono torturate, fustigate, sfregiate, vilipese, ingiuriate, percosse e violentate costantemente ed in maniera del tutto legittima, se solo si permettono di godere di scoprirsi il capo. Pensate un po’ se sfidano il regime o il semplice rapporto coniugale, chiedendo il minimo del rispetto umano. In Iran ai gay ed alle lesbiche non è riconosciuto alcun diritto di esistere essendo il loro status del tutto ignorato; spesso  vengono torturati/te ed uccisi/se anche dai semplici “comitati di quartiere” (di chiara matrice religiosa), senza alcun, per quanto assurdo, processo o valutazione dei fatti. In ogni caso, prima della morte, vengono stuprati indistintamente. Solitamente le lesbiche vengono lapidate e gli omosessuali lanciati dalle terrazze degli edifici più alti; “i tribunali” più commiserevoli li destinano all’impiccagione. Identiche sorti e modalità di “giudizio” di cui sopra, vengono riservate agli oppositori, agli atei, ai credenti di altre religioni, ai dissidenti. Più volte l’Iran ha dimostrato di aggirare le norme sulla ricerca dell’energia nucleare, che già gli è costata l’applicazione delle sanzioni.

Credo che ciò possa bastare per indurre l’O.N.U. ad intervenire più che decisamente nei confronti del regime degli Ayatollah, ma invece tutto ciò passa inosservato sotto gli occhi indifferenti di quasi tutte le organizzazioni umanitarie e dei media. Credo che ciò possa bastare per persuadere i più sordi ed i più ciechi tra capi di Stato o Premiers del mondo, per ritenere il regime Iraniano tra i meno affidabili del pianeta…Invece no. Si è concesso ad un Regime fondamentalista e totalitarista la possibilità di produrre energia nucleare al pari del C.E.R.N. (Centro Europeo di Ricerca Nucleare).

Sul fronte anti Iran, Stati Uniti e Israele vengono comunemente considerati uniti, ma con due atteggiamenti o se vogliamo, due linee politiche non del tutto inscindibili, come già nel passato è avvenuto. L’accordo sul nucleare iraniano sta confermando questa percezione, anche con l’attuale amministrazione TRUMP. Sarebbe, infatti, un grosso errore ritenere le rispettive strategie sovrapponibili o compatibili tra esse; i fini, le aspettative e le dinamiche gestionali delle politiche di Washington e Gerusalemme, sono poste su rette diverse e nemmeno tanto parallele.

Perché ciò avviene o sta avvenendo? Avviene perché è diverso il modo di attuare sia le strategie che le tattiche di entrambi i Governi, sebbene gli obiettivi sembrano essere gli stessi, ovvero contenere le mire espansionistiche dell’Iran. Ma Israele, nel proprio DNA politico, possiede dei geni di particolare propensione allo studio dello sviluppo futuro del contesto generale e particolare del quale si interessa; sostanzialmente scrutare ben oltre l’orizzonte. Ciò determina una netta distinzione tra le due agende politiche. La richiesta impellente di Israele, specie alla luce della “morbidezza” di O.N.U. e E.U., è quello di ottenere dall’alleato U.S.A. una linea estremamente risolutiva e decisa  nei confronti degli Ayatollah. TRUMP, dal canto suo, nonostante faccia la voce grossa, non ha ancora spinto i toni della disputa sulla lite, perché l’Iran è lontano geograficamente dal suolo statunitense, mentre la piccola Israele è pericolosamente vicina, ormai, grazie alla testa di ponte che la Siria offre all’Iran, dopo anni di egemonia politica-religiosa protesa sul Libano.

Le divergenze fra U.S.A. e Israele

Le divergenze e d i contrasti fra Stati Uniti e Israele, ai tempi del “nuclear deal” del 2015, venne spiegato dagli analisti di “affari esteri” con l’individuazione di  cinque temi esplicativi, permettendo di capire perché i due Paesi alleati non potevano considerare comuni le rispettive scelte di campo con punti di vista assimilabili. Sebbene oggi alla Casa Bianca sieda TRUMP, tali punti di vista potrebbero essere riconsiderati.

Il primo tema di divergenza è rappresentato, come sopra accennato, alla  percezione della minaccia. Israele sente così talmente vicino e minaccioso l’Iran, da ritenerlo un incombente pericolo per la sua stessa esistenza. Nell’ottica esistenzialista di Gerusalemme, nessun Paese confinante o vicino deve possedere la tecnologia per la ricerca nucleare. L’Iran, di contro, non fa nulla per nascondere il suo obiettivo volto alla distruzione del “nemico sionista”, organizzando di volta in volta, attacchi premeditati e foraggiamenti infiniti di denaro a favore di Hamas ed Hezbollah. Israele, come già fece nel 1982 in Iraq distruggendo il sito nucleare di Osirak, ha più volte colpito reattori in Iran e Siria  non appena ha percepito il sospetto (poi rivelatosi puntuale e preciso) di un programma nucleare non consentito.

Il secondo tema, secondo alcuni analisti,  è il c.d “ fattore-trauma” che affligge Israele nel considerare qualsivoglia minaccia, come un estensione del contesto dell’Olocausto.  Nell’immaginario collettivo israeliano è idea diffusa che ciò si possa reiterare e che uno dei molteplici Paesi islamici nemici lo possa minacciare con una strage. Tale diffuso sentimento è alimentato proprio dai proclami “eroici” degli Ayatollah ed alla particolare retorica cui sono usi riferirsi, inneggiando alla guerra santa. Gli U.S.A., dal canto loro, riconoscono  il loro “fattore trauma” nella possibilità di fallire ancora una volta, dopo gli insuccessi sostanziali dell’impegno militare in Afghanistan e Iraq. Ossia, costi bellici stratosferici, migliaia di caduti, alcun obiettivo strategico raggiunto.

Il terzo tema di divergenza, e secondo me quello più determinante, è rappresentato dalla tempistica. Nonostante sembri che l’Unione Europea pare proporre nuovi accordi, prolungando così l’impegno diplomatico con una sorta di corda elastica,  Israele esige la fine definitiva del programma nucleare iraniano, senza alcuna possibilità di revisioni future. Gli Stati Uniti, invece, proprio per il motivo sopra esposto, è incline a tollerare una successiva rimodulazione dell’accordo,  non considerando l’Iran una minaccia imminente e “vicina” alla propria politica. Gravissimo errore di valutazione…

La quarta differenza consiste nella valutazione strategica della c.d. “linea rossa”. Mentre gli  U.S.A. sono molto più flessibili e permissivi circa la determinazione del tracciato, rispetto a Israele che pone limiti molto più ampi.  Nonostante l’amministrazione TRUMP, appaia più “nervosa” ed arrogante di quella di OBAMA, gli Stati Uniti si dimostrano disposti alle trattative, riponendo una eccessiva  fiducia sulle capacità iraniane poter gestire un’infrastruttura nucleare senza fini belligeranti. Israele tuona e sbatte i pugni sul tavolo, perché nonostante abbia smascherato OBAMA e gli accordi stessi con l’Iran, si vede “tradito” dal nuovo Presidente U.S.A. Questo è il motivo per cui TRUMP ha accelerato il trasferimento dell‘ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, nel tentativo di flemmatizzare le ire dell’alleato; un colpo al cerchio ed uno alla botte…

Per Israele, la Linea Rossa è rappresentata dalla capacità stessa dell’Iran di produrre una bomba nucleare; e non può permetterselo, ovviamente.  La presenza iraniana sul suolo Siriano è già di per sé una linea rossa abbondantemente superata, e la diplomazia israeliana si è già attivata con quella Russa per ottenere ad Est parte di ciò che le manca ad Ovest. Maestri, come sono, nello spionaggio diplomatico, gli israeliani fanno in modo di preoccupare gli U.S.A. per il loro avvicinamento a Putin, nonostante questi supporti la Siria. Di contro le mire espansionistiche dell’Iran, spaventano anche l’Arabia Saudita che sa bene di non potersi opporre militarmente agli Ayatollah, quindi si guadagna le simpatie di  Israele, aprendo verso lo stato ebraico, considerando per la prima volta il suo diritto di esistere. Nonostante ciò Israele, quando, dove e come lo ritiene necessario, bombarda in Siria ogni postazione iraniana o legata all’Iran, considerata pericolosa. Una dimostrazione di forza che affascina i sauditi… 

Per quanto l’elezione di Donald TRUMP abbia potuto  migliorare la politica americana in Medio Oriente, è mia opinione ritenere l’approccio dell’attuale amministrazione U.S.A. alquanto confusionaria e disorganica, rispetto la reale situazione dell’area, già complessa e caotica di suo.  

 

A Donald TRUMP sfugge la necessità di concordare una comune linea di condotta contro l’Iran, con l’alleato Israeliano. Questa riluttanza ad accettare che Israele sa e conosce gli affari del M.O. molto meglio di quanto non posano sapere gli analisti U.S.A. e  ciò comporta che i due governi non trovano paralleli atteggiamenti a riguardo. Sebbene John BOLTON, sembri essere il più determinato amico di Israele all’interno della Casa Bianca, c’è da dire che  altri apparati statunitensi, come C.I.A. e Pentagono, non sono allineati con questa condotta. Tale cautela l’ha mostrata anche Mike POMPEO, nonostante sia considerato un falco dell’amministrazione americana, definendo la tensione e la possibile guerra con l’Iran, solo come una estrema ratio. Ciò significa, praticamente, che un conflitto con l’Iran non interessa gli Stati Uniti, ma essi dovranno fare i conti anche con le esigenze che Arabia Saudita, Qatar ed altri paesi dell’area,  pongono come pressanti richieste, disorientando le certezze che TRUMP considerava di possedere. Ma non è la sola certezza che TRUMP considerava di avere…