di Giorgia Pizzillo
Rosi Braidotti nasce a Latisana, un paese del Friuli Venezia Giulia, nel 1954. Durante la sua adolescenza, nel 1970, emigra con la sua famiglia in Australia. Nel 1977 si laurea all’Università di Canberra; nel 1981 ottiene una borsa di studio per conseguire il Dottorato di Filosofia alla Sorbona, a Parigi. Gli anni alla Sorbona sono cruciali per la formazione filosofica, intellettuale ed esistenziale della Braidotti: qui instaura rapporti con diverse personalità, come Michel Foucault, Roland Barthes, Simone de Beauvoir e Luce Irigaray. Inoltre, è a Parigi che incontra Gilles Deleuze: una figura che risulta essere cardinale nel suo percorso filosofico, in particolare per quanto riguarda la teorizzazione dell’etica del soggetto nomade, che la Braidotti innesta nella più ampia riflessione sul femminismo e sulla postmodernità.[1]
Si afferma come un’importante esponente del pensiero femminista e postcoloniale. Dal 1988, Rosi Braidotti è docente e dirigente del dipartimento di Woman’s Studies all’Università di Utrecht. Avendo attraversato il pensiero di importanti filosofe della differenza, come Luce Irigaray, Judith Butler, Teresa de Lauretis, Donna Haraway e di teorici come Jacques Derrida, Michel Foucalt e, in particolar modo, Gilles Deleuze, Rosi Braidotti si sofferma sulla costituzione del soggetto contemporaneo in relazione al concetto di differenza. [2]
Il nomadismo di Rosi Braidotti si inserisce in un preciso contesto socio-economico e storico, ovvero quello della globalizzazione, della postmodernità e del capitalismo. Le evoluzioni tecnologiche ed informatiche che hanno pervaso il settore terziario, a discapito dell’apparato industriale, hanno causato un dirottamento della produzione verso parti del mondo meno avanzate. Questa migrazione capitalistica ha distrutto le strutture sociali e simboliche radicate, identificate nell’autorità maschile, nello Stato e nella famiglia.
I sistemi capitalistici e di produzione sono per natura policentrici e multiformi: sono messi in moto grazie alla proliferazione di una moltitudine di differenze flessibili: ovvero le merci, i marchi, le fonti di profitto. Il rapido dipanarsi dei cambiamenti che si susseguono all’interno del sistema delle società avanzate causa stati d’animo caratteristici, che vanno dall’euforia, all’ansia e al catastrofismo: deriva, da qui, la definizione di capitalismo come schizofrenia[3] Il fenomeno della globalizzazione intacca inevitabilmente l’individualità dei soggetti umani che vivono in questo spazio dematerializzato, non più capace di generare bisogni e valori.
Di conseguenza, persino il soggetto si trasforma in un’etichetta finalizzata al funzionamento del sistema capitalistico schizoide. Byung-chul Han[4], nel suo saggio Psicopolitica, afferma che l’emotività psichica è governata e controllata dalle psicotecnologie, come, per esempio, i social media. La soggettività si è spezzettata in dati, tramite gli algoritmi che sono diventati il modello della coscienza. L’individualità soggettiva si trasforma in «un io additivo e non narrativo che rimanda a una temporalità morta e si espone a progetti di manipolazione.»[5] Poiché questo contesto schizofrenico è in netta contraddizione con gli schemi di pensiero monolitici e binari tradizionali, diventa necessario pensare ad una resistenza collocata nella postmodernità.
Collocazione è da intendersi come un «luogo spaziale, temporale e materialista di coproduzione del soggetto» che segna i confini delle responsabilità individuali per ricercare delle soluzioni etiche alla frammentarietà del tempo[6]. Rosi Braidotti propone un’etica trasformativa che si innesta sul radicale rimescolamento dei codici della tradizione, riassumibili nel concetto di trasposizione.[7] Trasposizione è un termine preso in prestito da due ambiti diversi: la musica e la genetica, e indica un processo intertestuale che opera «un salto […] da un codice, da un campo o da un asse, a un altro» sia in modo quantitativo, ma soprattutto adoperando una connessione qualitativa tra le molteplicità connesse. [8]
La trasposizione produce uno «spazio intermedio, l’in-between space» che consente di generare moti imprevedibili, irregolari ma non caotici, capaci di far risuonare la differenza come elemento positivo.[9] Lo spazio che ne deriva è terreno impegnato, creativo, responsabile, necessariamente radicato ma non legato alla razionalità strumentale,[10] e l’esperienza «rivela una posizione contemplativa e creativa, rispettosa delle complessità visibili e nascoste degli stessi fenomeni»[11].
Le figurazioni che ne scaturiscono sono delle mappature, degli strumenti di navigazione capaci di creare nuovi segnali e nuove strategie di resistenza attuabili nella nostra epoca schizofrenica. Il soggetto nomade deve definirsi in base al proprio luogo di enunciazione: è «un viaggiatore “spaziale” che, di volta in volta, costruisce e smantella gli spazi in cui vive prima di procedere nel viaggio».[14] Gli assi di differenziazione, cioè la razza, l’etnia, il genere, l’età, la classe sociale costituiscono, interagendo tra di loro simultaneamente, la soggettività nomade: un’entità complessa a livelli più profondi, che aderisce alla pratica del “come-se”[15]. L’individuo effettua una tecnica di ri-territorializzazione e di personificazione che si ancora alla memoria e ai tragitti del passato per costruire percorsi nel qui-e-ora, in un’ottica di fluida apertura, tramite ripetizioni capaci di far prolificare forme e azioni alternative, che trasforma i soggetti in entità interconnesse costruiti su una dimensione affettiva condivisa.
Ne consegue, perciò, che le affinità e le differenze che intercorrono tra i vari soggetti sono il risultato di un processo graduale, di un percorso itinerante che si compie all’interno del soggetto e che l’affettività è l’energia trasformatrice di cui si avvale il soggetto nomade per aprirsi verso l’esterno. Lui/lei rimane comunque fedele alla propria individualità, che coincide con la consapevolezza della condizione di interazione con gli altri i corpi, che sono forze dinamiche, assolutamente non passive, sensibili e in movimento, e «formano unità armoniche solo attraverso la fragile sincronizzazione delle forze»[16], in cui la fragilità si crea nello spazio intermedio, nell’intermezzo in cui avvengono gli incontri.
Collocare la differenza sessuale
Nella società contemporanea, il soggetto diviene tale attraverso processi e divieti circoscritti in un contesto di potere. Il soggetto rimane costellato di frammenti che vengono a forza tenuti insieme «da un cemento simbolico: l’attaccamento a, e l’identificazione con, il simbolico fallologocentrico»[17]: è una matassa che si erge al centro della dimensione universale, un’entità schizofrenica, tremolante di desiderio che si colloca sulla cima dell’illusione unitaria. L’essere nomade, invece, reinventa le proprie tracce senza aggrapparsi all’idea di un’unità trionfante, rinegoziando volta per volta i terreni eterogenei, i registri di discorso, gli schemi enunciativi in cui si imbatte, ed ha gli strumenti per comprendere le incongruenze che gli si parano davanti. L’individuo nomade trova il proprio spazio di interazione e di azione concreta all’interno della politica istituzionale, come forza politica oppositiva alla concezione della soggettività egemonica e fondata sul valore di esclusività. Diviene un terreno di opposizione fecondo di idee contro concetti come l’etnocentrismo e il fallologocentrismo.
Rosi Braidotti individua, a questo proposito, nella teoria femminista il luogo di trasfigurazione fertile per la concretizzazione del pensiero nomade, che deve necessariamente configurarsi come un’area creativa, scevra da ogni gravità oppressiva e dalle norme tradizionali. Le femministe mantengono viva la memoria della loro sottomissione, ed è proprio su questa reminiscenza che si fonda la loro azione presente, estremamente controcorrente e ribelle ai saperi sottomessi. Il soggetto nomade che si interseca nella spazialità fervente del femminismo deve contemplare la dimensione molteplice delle differenze che attraversa ogni individuo, e può farlo solo se si colloca e si concepisce nella propria identità sessuata e incarnata. Il progetto femminista nomade che accoglie le contraddizioni e le rimodula si fonda sul progetto di etica della differenza sessuale[18].
In politica, infatti, non vi è nessuna pratica volta a creare uno spazio di mezzo tra i due sessi: da un lato, c’è il mondo maschile «guardiano di ogni soggetto e di ogni discorso»[19], dall’altro il mondo femminile, dedito alle “arti minori” come la cucina, il ricamo, il cucito, etc. Occorre, perciò, una rivoluzione concettuale ed etica che attui una mediazione cosciente, e che valuti dal suo interno le molteplici relazioni tra soggetto e mondo, tra il soggetto e il cosmo, tra il micro e il macrocosmo.[20]
Per definire la propria soggettività nomade e femminista, perciò, la donna deve riappropriarsi della propria differenza. La società civile patriarcale riduce il valore del femminile, considerandolo un corrispettivo scarno: il non-maschile, ovverouna realtà astratta.[21] La donna, lo speculum dell’uomo, il secondo sesso, – come ha definito Simone de Beauvoir – è subordinata al potere centrale maschile e patriarcale la qualifica secondo i paradigmi che considera universali: la stessa cultura egemonica si riduce ad un polo unico di identità sessuata, specificatamente maschile. Si afferma, perciò, il bisogno di strappare la nozione fallace di uguaglianza dai paradigmi fallocentrici, e rivendicare la differenza in senso positivo. La differenza, deve essere disancorata dal significato svalutante che la associa all’inferiorità, ponendo chi rientra nella categoria “dell’altro” in un rapporto di assoggettamento e asservimento. La differenza è il perno su cui fondare un’etica in cui l’individuo “altro”dalla norma dell’uomo bianco e di classe media sia valutato in modo affermativo e positivo.
La necessità delle donne di porsi come entità fortemente incarnate e sessuate, e di rivendicare la propria spazialità e temporalità in virtù dell’incarnazione del loro corpo, non è da intendersi come un’affermazione dispotica e affermativa del femminile, che coinciderebbe con la modalità propagata dal sistema fallocratico e patriarcale che, al contrario, si vuole scardinare; bensì coincide con l’esigenza di aprire varchi per un’etica del divenire sostenibile. Per farlo, bisogna partire proprio dall’incarnazione del proprio corpo, assimilare i valori di una politica della collocazione.[22] Per la cultura occidentale, il soggetto incarnato e sessuato assume un valore primario all’interno dei complessi rapporti di potere che inscrivono il soggetto in una struttura di norme discorsive e materiali: il soggetto è un’entità sessuale funzionale, socializzata, un’individualità dotata di parola inscritta nel linguaggio.[23]
Collocarsi e incarnarsi nella propria corporalità significa, pertanto, analizzare la complessità – definita attraverso gli assi differenziali che la compongono, come il sesso, la razza, la classe sociale, la cultura, etc. Il corpo è un luogo di intersezioni, «un punto di sovrapposizione del fisico, del simbolico e del sociologico»[24]. La componente della sessualità è cardinale in un contesto in cui riveste importanza il materialismo corporeo: la differenza sessuale si impone come il motore di una trasformazione strutturale del pensiero tradizionale, un luogo di potenziamento che mette al centro il desiderio delle donne, ed è capace di ridefinire e rimodulare gli schemi generali del pensiero. L’obiettivo non è la progettazione di una teoria in cui la donna è il soggetto, o l’oggetto, bensì inceppare la teorizzazione stessa del potere, per concepirlo come un luogo creato da una rete di effetti che circolano e si relazionano tra loro, costante e pervasivo su ogni livello, in cui ogni unità sessuata è legata all’altra/o formando una collettività comunitaria attiva e ricettiva.
Il soggetto, in questo luogo, deve valutare le sue fondamenta nella complessità, «aprire più bassi i sotterranei che reggevano l’edificio della sua definizione, scavare di più le cavità sopra le quali sta il monumento della sua identificazione, onde puntellare più solidamente la sua “dimora”, […] il luogo chiuso delle sue autorappresentazioni, dove abita nel suo esilio solitario il soggetto»[25] e riconoscere la differenza sessuale attraversata dalla complessità di livelli del significante “io, donna” per aprirsi ad un universale sessuato. L’universale sessuato, come territorio di intersecazione dei vari livelli di differenza, coincide con la non riducibilità del femminile al maschile e all’indistruttibilità dell’umano incarnato del legame con l’altro.
La volontà di Rosi Braidotti di collocare la differenza sessuale come punto principale di un progetto di ridefinizione del soggetto nomade trova le proprie ragioni all’interno della definizione stessa di differenza sessuale, consolidata nella struttura fondativa del sistema sociale in cui viviamo, attraverso condizioni materiali, simboliche e semiotiche.[26] Gli uomini, che sostengono le aspettative di una virilità indeterminata, sono privi di genere, proprio perché sono la rappresentazione dell’universale e in quanto tali, vivono una perdita di incarnazione; e dall’altro lato, le donne che sono di conseguenza, iper-corporee, sono private della loro soggettività, rilegata alla dimensione maschile.
L’asimmetria tra i due sessi è strutturale, credere il contrario è illusorio: è necessario riconoscere come una verità storica e fattuale il fatto che non vi sia una simmetria, proprio perché siamo disposti in un regime fallologocentrico. Pertanto, lo scarto a questa configurazione sociale imprescindibile risulta essere proprio la rivendicazione della differenza sessuale, che deve essere scardinata dal pensiero dualistico secondo il quale il femminile è ridotto in una posizione “altra” svalutata e oppositiva, per essere ribaltata in termini affermativi e positivi.
Il progetto del nomadismo femminista
È necessario mettere a punto una ridefinizione della soggettività femminile, fondata su una nuova modalità di pensiero che teorizza l’’identità della donna come luogo di differenze, multiplo, aperto e interconnesso. Rosi Braidotti articola il progetto del nomadismo femminista in tre fasi, non collegate tra loro in un rapporto cronologico e gerarchico. Si tratta, perlopiù, di livelli che possono trovarsi simultaneamente compresenti, difficilmente distinguibili, a formare una cartografia e una mappa che cerca di interpretare i vari livelli della complessità della differenza sessuale in un costante flusso di sequenze temporali, di strati di significazione e di esperienze.
Il primo livello corrisponde alla volontà politica di affermare l’esperienza corporea delle donne, costruendo sulla differenza sessuale il presupposto per un nuovo soggetto postmoderno e anti-essenzialista[27]. Sul piano politico, è un progetto che rifiuta l’emancipazione esaltata, che implicherebbe direttamente l’omologazione delle donne alle modalità strutturali e morali omocentriche secondo un percorso a senso unico e, perciò, poco prolifico per la creazione di un progetto che possa mostrare i suoi frutti a lungo termine. Rosi Braidotti insiste sulla necessità di elaborare delle forme alternative dell’individualità femminile in un’ottica affermativa che concepisce positivamente la differenza sessuale, senza rischiare di cadere nel relativismo.
Bisogna mirare, pertanto, ad una rappresentazione che possa legittimare la molteplicità: la parola donna deve essere riconosciuta come un gruppo semantico che contiene vari livelli di esperienza, varie identità che contemplano, al loro interno, sfumature diverse, diversi tempi di trasformazione, di resistenza e di politica.
Il secondo livello, tratta la differenza tra donne. Innanzitutto, è necessario definire i confini del femminismo, che è il movimento che combatte affinché si possa modificare ciò che è stato attribuito alle donne e alla rappresentazione di queste nel corso di tutta la storia patriarcale e, al contempo, che opera anche all’interno di ogni donna. Si può affermare, pertanto, che la teoria femminista opera su due livelli: ad un livello storico, inglobando i vari processi di acquisizione e rivendicazione di diritti sociali e politici, e ad un livello identitario, varcando confini più profondi della coscienza – e dell’incoscienza – di ognuna, sfiorando le sfere del desiderio.
Di conseguenza, è necessario distinguere la donna dalla femminista su un piano strutturale, in quanto femminista sia quella figura che si inserisce all’interno della storia patriarcale, emancipandosi da questa, e simultaneamente, colei che si interroga sulla propria identità individuale considerando i rapporti di potere in cui è addentrata. Si giunge, così, a definire la differenza tra la donna intesa come significante codificato in una storia edificata sulle opposizioni binarie, e il significante femminista come base del riconoscimento della donna come immagine costruita.[28]
La differenza sessuale tra donne e la complessità dell’incarnazione strutturale del soggetto, intese come prassi interpretative della soggettività femminile, sono il fulcro del terzo livello di questo progetto. È fondamentale dotarsi di nuove figurazioni, formulare una «mappa cognitiva politicamente aggiornata che legge il presente in termini di situazione radicata individuale», che permetta di creare un luogo in cui si possa attuare una re-invenzione delle donne in un progetto trasformativo che eluda dalle modalità di pensiero storicamente istituite, adottando una strategia transdisciplinare ed efficace: «il soggetto femminista è nomade perché è intensivo, multiplo, incarnato e quindi perfettamente culturale»[29]
L’identità si crea a partire dalla commistione di aspetti multipli e frammentari del sé, in relazione con i legami con l’”altro”, di immagini interiorizzate e inconsce che rendono impossibile la coincidenza dell’identità stessa con la coscienza – che, invece, si identifica con la soggettività politica, intesa come posizione volontaria e conscia. Ciò implica che ciascuno ha un rapporto specifico con la storia che ha assorbito dentro sé.
«Ogni donna in carne e ossa o soggetto femminile femminista è:
una molteplicità in sé stessa: scissa, frammentata
Una rete di livelli di esperienza […]
Una memoria vivente e una genealogia incarnata
Non solo un soggetto conscio, ma anche soggetto del proprio inconscio:
identità come identificazioni
In un rapporto immaginario con diverse variabili come:
classe sociale, razza, età, scelte sessuali.»[30]
La sfera dell’”io” è una necessità grammaticale, il nucleo attorno al quale vorticano tutti gli strati frammentati e mutevoli della propria identità. La femminista può essere intesa, in questa prospettiva, come il fulcro del desiderio delle donne: una donna che è spinta verso il femminismo, che si colloca come una modalità di lettura e interpretativa intesa e definita anche e soprattutto in termini di passioni e desideri che la nutrono.
Riprendendo il concetto di desiderio di cui parlava Deleuze, come moto interiore e fecondo dell’individualità, il femminismo è da considerarsi come un’affermazione, per le donne, del desiderio di libertà, di giustizia, di autorealizzazione che si innesta su un più profondo livello di positività affermativa. In sintesi, questo progetto cucito sulla differenza sessuale è politicamente urgente e il femminismo è da considerarsi come un progetto che evidenzia i vari strati di rappresentazione della donna.[31]
Il cambiamento si crea facendo derivare il nuovo dalla rivisitazione e dalla consumazione del vecchio: bisogna metabolizzare il vecchio, consumarlo e adoperare una ripetizione mimetica che tracci vie nuove tramite multiple ripetizioni per poter far germogliare qualcosa di autentico e perfettamente collocato nella struttura spaziale e temporale della contemporaneità.
Reimpossessarsi della propria memoria storica è la forma di resistenza contro la riduzione e il relativismo della complessità umana. Occorre operare sulle immagini, sui concetti e sulle rappresentazioni delle donne così come sono state codificate dalla cultura in cui viviamo; allo stesso tempo tener conto e rispettare la molteplicità che attraversa ogni donna. La donna, al contempo, affinché superi le tracce riduttive che contaminano la sua storia, deve pensarsi come un soggetto proiettato su assi differenti, realizzando una ricerca costante, mimetica di momenti in transito attraverso il processo del ricordo.
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[1] http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/rosi-braidotti/
[2] https://rosibraidotti.com/about/
[3] Cfr. Gilles Deleuze, Félix Guattari, Capitalisme et schizoprénie
[4] Filosofo e docente sudcoreano. Insegna Filosofia e Studi Culturali all’Universität der Künste di Berlino.
[5] Verena Gasperrotti, Umano e postumano: frammenti di un discorso identitario, in Progetto di Formazione Per un nuovo Umanesimo: percorsi al servizio della cittadinanza (21 febbraio 2020), Liceo Galvani, Bologna, op. cit.
[6] Rosi Braidotti, Trasposizioni sull’etica nomade, pp.40-41
[7] Ivi, p.19
[8] Ivi, op.cit.,p.15
[9] Nicoletta Vallorani, Rosy Braidotti, Trasposizioni. Sull’etica nomade in Altre Modernità, N.2 -10/2009, Università degli Studi di Milano – Facoltà di Lettere e Filosofia. Dipartimento di Scienze del Linguaggio e Letterature Straniere Comparate – Sezione di studi culturali, op. cit. p.323
[10] Rosi Braidotti, ibidem
[13] Rosi Braidotti, Nuovi soggetti nomadi, pp.14-17
[14] Rosi Braidotti, Figurazioni del nomadismo: “homelessness” e “rootlessness” nella teoria sociale e politica contemporanea, in Rivista Internazionale di Studi Nordamericani Ácoma Numero 13 (1998, Anno V), Giunti
[15] Rosi Braidotti, ibidem, op. cit.p.17
[16] Cfr. Lloyd 1994: 23, Rosi Braidotti in Trasposizioni, p.185
[17] Rosi Braidotti, ivi op. cit. p.28
[18] Cfr. Luce Irigaray
[19] Luce Irigaray, Etica della differenza sessuale (1985), trad. Luisa Muraro, Antonella Leoni, Feltrinelli, Milano, op. cit. p.12
[20] Ibidem
[21] Luce Irigaray, Io, tu, noi: per una cultura della differenza (1992), Bollati Boringhieri, Torino, p.18
[22] Rosi Braidotti, Nuovi soggetti nomadi, p.75
[23] Ibidem; p.79
[24] Ivi,op. cit.p.78
[25] Luce Irigaray, Speculum (1989), trad. di L. Muraro, Feltrinelli, Milano, op.cit. p.132
[26] Rosi Braidotti, Nuovi soggetti nomadi, p.99
[27] Rosi Braidotti, Nuovi soggetti nomadi, p.109
[28] Ivi, p.114
[29] Ivi, p.121
[30] Ivi, op. cit, p.116
Fonte: arateacultura.com/