La figura di Pier Paolo Pasolini è senza dubbio una delle personalità più controverse del Novecento italiano. Provocatorio, corrosivo, eretico, anticonformista, solo per ricordare alcune delle qualità che gli sono state attribuite.
Nei suoi confronti le reazioni sono principalmente due: una di rifiuto e svalutazione della sua opera, che ne sottolinea le contraddizioni e i limiti ma ne liquida i meriti, l’altra di esaltazione in cui gli vengono spesso attribuiti, in toni semi apocalittici, titoli e doti da “profeta”.
Ritengo che i tempi siano maturi per concentrarci sul Pasolini pensatore. Il fatto che fosse poco sistematico non significa che mancasse di rigore. Analizzò e descrisse con efficacia il mutamento antropologico che stava avvenendo in Italia con l’arrivo della società dei consumi. Fece acute riflessioni sugli effetti che la televisione ha avuto sulla lingua e sulla massificazione degli individui (sarebbe interessante sapere se ebbe modo di leggere le tesi di McLuhan o se fosse arrivato alle proprie conclusioni da solo), sulla secolarizzazione della società e il declino della Chiesa nella vita degli italiani e, soprattutto, sul mutamento del Potere.
Molti aspetti del mondo che ci circonda somigliano a ciò che Pasolini prefigurava, ma non facciamone un “veggente”,che spesso è l’alibi per giustificare l’assenza di spirito critico, vediamolo piuttosto come un autore con intuizioni e pensieri che si sono dimostrati giusti,riconoscendone anche gli errori.
Sarebbe necessario riprendere i temi più attuali del pensiero pasoliniano, per farne degli spunti di nuove riflessioni.
In primo luogo, occorre ripensare alla differenza tra “sviluppo” e “progresso”. Questa nuova epoca globalizzata ha esacerbato ancora di più questo problema, al punto che ricchezza finanziaria, diseguaglianza sociale e sovrabbondanza di beni di consumo vanno spesso di pari passo. Senza contare che è necessario chiedersi per quale tipo di progresso sia necessario lottare socialmente e politicamente.
Al mondo d’oggi è difficile non notare una frattura enorme tra il “progresso” inteso come diffusione di spirito critico, di consapevolezza intellettuale, di senso di responsabilità verso il mondo sociale di cui si è parte, e lo “sviluppo”, ovvero una maggior efficienza industriale e produttiva di beni di consumo. Lo “sviluppo” consumista sta dominando l’intero globo ma il “progresso” poggia su equilibri ancora decisamente precari.
In secondo luogo bisogna ri-problematizzare la questione dei medium di massa che oggi sono decisamente più complessi e pervasivi rispetto alla televisione e ai giornali.
Il web ha creato una sovrabbondanza di informazioni in cui è difficile orientarsi, senza contare che intorno ad esso è decisamente assente una cultura consapevole. Le masse si sono semplicemente ritrovate questo nuovo mezzo senza alcuna preparazione e senza modelli da seguire. L’unico elemento ordinatore sembra essere presente negli algortimi che, nella maggioranza dei casi, obbediscono a semplici leggi di profitto.
In terzo luogo, è necessario analizzare che tipo di potere (o di poteri) stia egemonizzando nelle società attuali e quali modelli culturali vengono veicolati.
Viviamo in un mondo globale sempre più interconnesso e, per ora, l’unico collante che sembra unire culture e società molto differenti tra loro è proprio il consumismo sfrenato e l’adesione alle mode ad esso connesse.
Nel “Così parlò Zarathustra” Nietzsche scrive: “Si ripaga male il maestro, se si rimane sempre scolari”. Facciamo altrettanto con Pasolini.