La strana contraddizione tra disoccupazione e mancanza di manodopera qualificata


Il maggiore ostacolo all’incontro domanda-offerta di lavoro è dovuto, ancor più della conclamata inadeguatezza delle competenze, al fatto che le persone non rispondono alle ricerche di lavoro delle imprese

di Antonino Gulisano

Mancano i lavoratori eppure mancano anche i posti di lavoro? Una contraddizione in termini, ma purtroppo clamorosamente confermata dalla constatazione dei dati reali. L’Istat ci dice che ad aprile 2021 ben 488mila persone erano in cerca di occupazione. Allo stesso tempo ci dicono che le imprese cercano 243mila lavoratori che non trovano: questo dato, la vacazione, è il grosso modo costante in termini percentuali dagli ultimi dieci anni e corrisponde a una cifra pari circa all’1% dell’occupazione.

Dai dati dell’ISTAT emerge che, nel terzo trimestre 2021, l’input di lavoro, misurato dalle ore lavorate, è aumentato dell’1,4% rispetto al trimestre precedente e del 4,1% rispetto al terzo trimestre 2020; il Pil è aumentato del 2,6% in termini congiunturali e del 3,9% in termini tendenziali.

Dal lato dell’offerta di lavoro, nel terzo trimestre 2021 si registra un aumento di 121 mila occupati (+0,5%) rispetto al trimestre precedente, dovuto alla crescita dei dipendenti (+156 mila, +0,9%), a tempo indeterminato e a termine, che si contrappone al calo degli indipendenti (-35 mila, -0,7% in tre mesi); si riduce il numero di disoccupati (-134 mila, -5,4%) e anche quello degli inattivi di 15-64 anni (-41 mila, -0,3%). I dati mensili provvisori di ottobre 2021 confermano il trend in aumento degli occupati (+35 mila, +0,2% rispetto a settembre), che si associa a quello dei disoccupati (+51 mila, +2,2%) e al calo degli inattivi di 15-64 anni (-79 mila, -0,6%).

Rispetto al terzo trimestre 2020, l’aumento dell’occupazione (+505 mila unità, +2,2%) interessa i dipendenti a tempo indeterminato (+228 mila, +1,5%) e, soprattutto, quelli a termine (+357 mila, +13,1%); per il decimo trimestre consecutivo si registra il calo degli indipendenti (-80 mila, -1,6%). La crescita dell’occupazione coinvolge sia gli occupati a tempo pieno sia quelli a tempo parziale (+1,9% e +3,7%, rispettivamente). In diminuzione il numero di disoccupati (-308 mila in un anno, -12,0%) e quello degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-453 mila, -3,3% in un anno). Il tasso di occupazione 15-64 anni, pari al 58,4%, mostra un aumento in termini congiunturali (+0,4 punti in tre mesi) che si associa alla diminuzione del tasso di disoccupazione e di quello di inattività 15-64 anni; i dati provvisori del mese di ottobre 2021 confermano la dinamica in crescita del tasso di occupazione (+0,1 punti rispetto a settembre), che si accompagna all’aumento di quello di disoccupazione (+0,2 punti) e alla diminuzione del tasso di inattività (-0,2 punti). Anche in termini tendenziali si conferma la crescita del tasso di occupazione (+1,7 punti rispetto al terzo trimestre 2020) associata alla diminuzione dei tassi di disoccupazione e di inattività (-1,3 e -0,9 punti, rispettivamente).

Le indagini statistiche dirette e l’acquisizione delle fonti di natura amministrativa per finalità statistiche risentono ancora degli effetti dell’emergenza sanitaria sulla raccolta dei dati di base e sulla continuità di altre fonti; permane dunque il carattere provvisorio delle stime che potranno subire revisioni.

Per giugno 2021 le imprese avrebbero voluto assumere 560mila lavoratori, che però nel 30% dei casi sono stati di «difficile reperimento». In particolare nel 13% dei casi l’impresa non ha trovato sul mercato le competenze richieste, ma nel 15% dei casi non ha trovato proprio candidati.

Ora, il fatto su cui pare opportuno riflettere è proprio quest’ultimo: il maggiore ostacolo all’incontro domanda-offerta di lavoro è dovuto, ancor più della conclamata inadeguatezza delle competenze, proprio al fatto che le persone non rispondono alle ricerche di lavoro delle imprese. Interessante esaminare la composizione di questa domanda di lavoro: la gran maggioranza (383mila) riguarda impiegati, professioni commerciali e nei servizi, operai specializzati e conduttori di impianti e macchine. Professionalità di non difficilissimo reperimento. Non a caso il disequilibrio per competenze inadeguate varia dal 10% al 16%.

Tuttavia, la mancanza di candidati viaggia dal 30% al 36%, con punte altissime nel turismo-ristorazione, assistenza sociale in istituzioni o domiciliare, conduttori di mezzi di trasporto nonché operai manifatturieri. Utile anche esaminare le ricerche di personale a bassa qualificazione: nonostante l’impressione che si può avere dai media, soltanto 84mila sono le ricerche di lavoro in questa fascia, e di queste 50mila riguardano personale addetto alla pulizia, che però generano un disequilibrio del 21,6%, e facchini e corrieri (logistica) per un totale di oltre 15.000, con un disequilibrio del 12%.

È evidente quindi che esiste una grave componente di disequilibrio determinata da insufficienza di preparazione, e che obbliga a ripensare a tutto il sistema dell’educazione-istruzione e a interventi rapidi e mirati per far fronte all’attuale specifica contingenza.

Occorre domandarsi quali siano le cause di un fenomeno poco prevedibile in un periodo di crisi occupazionale come la mancanza di candidature. In alcuni casi la risposta è evidente: farmacisti, medici, biologi sono notoriamente figure quasi introvabili per problemi legati ai percorsi formativi insufficienti a soddisfare la domanda (numero chiuso). Ma si tratta di numeri marginali (anche se poi importanti per il funzionamento della sanità).

Una spiegazione che si va diffondendo è quella per cui la domanda si accompagnerebbe a condizioni economiche e di lavoro inaccettabili (i 600-800 euro al mese che si trovano spesso citati sui social). A un primo esame la cosa sembra plausibile (e certamente avviene), ma soprattutto in settori del mercato nei quali la domanda è rivolta a lavoratori non qualificati e per comparti in cui la presenza sindacale a tutelare l’applicazione dei contratti di lavoro è piuttosto rarefatta, e possono pullulare, nelle pieghe delle leggi, i cosiddetti “contratti pirata”, che danno una parvenza di legalità al dumping salariale.

Perché la domanda di lavoro, che come abbiamo visto, è significativa, stenta ad incontrare chi ha bisogno di lavorare? Esiste probabilmente una nicchia di assistenzialismo: chi percepisce la Cassa Integrazione, e spera che grazie al sindacato questo andrà avanti il più possibile, ha probabilmente trovato una nicchia comoda, magari condita da qualche lavoro in nero, e preferisce rimandare il più in là possibile la ricerca di un nuovo lavoro. È possibile, come afferma qualche osservatore (e recentemente anche il segretario della Cgil Maurizio Landini) che lo shock da lockdown abbia creato una “paura da lavoro” abbinata ad una richiesta di protezione patologica? Già un bel pezzo di Paese era orientato in questo senso. Tuttavia la conclusione della riflessione è ancora più inquietante: se l’offerta di salari da fame riguarda solo una minoranza, se a salari o occupazioni “normali” la gente non si candida, come recupereremo una situazione normale? La cassa integrazione e il divieto di licenziamento non saranno eterni.

In conclusione superare questa contraddizione per tornare alla logica della crescita della retribuzione salariale e alle normali occupazioni indeterminate e di sicurezza di stabilità dei lavoratori.

Riproporre i percorsi di istruzione, formazione e creazione di competenze delle nuove tecnologie della TCL e nel settore della sanità e della persona. Non ultimo nei servizi della cultura e del turismo.