La strage di via Palestro e quella lunga notte del 1993


Di Ilaria Romeo

Un attentato, l’ennesimo, un ricatto mafioso a un anno dalle stragi di Capaci e via D’Amelio e a due mesi di distanza da quello dell’Accademia dei Georgofili a Firenze. A Milano i morti sono cinque: i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, l’agente di polizia municipale Alessandro Ferrari e Moussafir Driss, che dormiva su una panchina. Nella notte le bombe esplodono anche a Roma. L’Italia si ritrova ancora una volta, ferita e incredula, davanti alle proprie macerie

Caterina ha cinquanta giorni, Nadia ha nove anni quando la bomba esplode. È la notte tra il 26 e il 27 maggio 1993. Loro sono a casa, con mamma e papà. Un appartamento in centro a Firenze, a un passo dagli Uffizi, all’interno della Torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili di cui la madre è custode. Dormono quando una Fiat fiorino imbottita di esplosivo salta in aria. Dormono quando la torre crolla. Caterina diventa la più piccola vittima di mafia della storia italiana. Insieme a lei e Nadia muoiono papà Fabrizio (39 anni), mamma Angela (31 anni), lo studente Dario Capolicchio (22 anni).

Ma la bomba provoca anche 41 feriti, sventra la torre dove ha sede l’Accademia, causa ingenti danni al museo degli Uffizi, a Palazzo Vecchio, alla chiesa di Santo Stefano, al Ponte Vecchio e alle abitazioni tutt’attorno. A ordinare la strage è Cosa Nostra.

Dopo Falcone e Borsellino la mafia colpisce ancora, senza fermarsi. Torna a uccidere e distruggere in una terribile escalation di morte e violenza. Il 14 maggio 1993 in via Fauro a Roma nei pressi del Teatro Parioli scoppia una bomba: l’obiettivo è Maurizio Costanzo.

Due mesi dopo, il 27 luglio, un’altra bomba scoppia a Milano danneggiando la Galleria di Arte Moderna, uccidendo altre cinque persone (i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, l’agente di polizia municipale Alessandro Ferrari e Moussafir Driss, che dormiva su una panchina. “In qualche modo, senza saperlo, è morto per la nostra libertà”, dirà di lui Scalfaro con Wojtyla.).

L’onda d’urto dell’esplosione frantuma i vetri delle abitazioni circostanti e danneggia alcuni ambienti della vicina Galleria d’arte moderna provocando il crollo del muro esterno del Padiglione d’Arte Contemporanea.

“Alle 23 e 15 la notte di Milano si è incendiata e poi si è spenta – scriverà Repubblica il giorno successivo – le uniche luci di questa strada del centro della città sono i fari dei soccorritori e il grande falò che nasce dalla buca causata dall’esplosivo, dove si è spezzata una tubatura del gas. Dopo la bomba di Firenze, piazzata sotto la torre dei Georgofili, si diceva: “Toccherà a Milano, ci aspettiamo un attentato a Milano”. L’attentato c’è stato, inevitabile, annunciato, doloroso (…) Le ricostruzioni sono contraddittorie, si aggiornano e si riaggiornano minuto dopo minuto. No, nessuna trappola, nessuna telefonata per uccidere il maggior numero possibile di persone. La ricostruzione più attendibile parla di un passante che vede del fumo uscire dalla Uno bianca, e richiama l’attenzione di un’autopattuglia dei vigili di passaggio, ‘Monza 3’. Il capopattuglia Ferrari, con la radio di bordo, avvisa immediatamente i pompieri e dal deposito di via Benedetto Marcello accorre un’autopompa, in meno di dieci minuti sono tutti intorno all’auto, da cui si leva un filo di fumo. I vigili del fuoco si avvicinano alla Uno bianca. C’è una fiammella, almeno così dice Virginio Tornaghi, 50 anni, operaio Enel, che da corso Venezia andava in bicicletta in piazza Cavour. Il vigile Ferrari lo ferma: ‘Forse c’è una bomba, si fermi’. ‘Vedo più avanti la Fiat, vedo – dice Tornaghi – una fiammella sul davanti, poi i vigili del fuoco intorno, che lavoravano. Me ne sono stato lontano, all’improvviso c’è stata un’esplosione fortissima, che mi ha buttato per terra”.

Intanto altre due bombe esplodono a Roma davanti alla Basilica di San Giovanni in Laterano e alla Chiesa di San Giorgio al Velabro. Dalle prime indagini emerge un particolare inquietante: è stato usato lo stesso esplosivo non solo sulle autobombe di Roma e Milano, ma anche per via dei Georgofili.

“Il popolo italiano – tuona il presidente della Repubblica Scalfaro dal salone del Quirinale – non si farà intimidire, il paese non si fermerà, neanche all’uscita di nomi di qualsiasi levatura”. “Questa notte mi sono svegliato verso l’una – confessa il papa – Non sapevo perché, adesso so perché”. “Ho pregato molto e continuo a pregare per questa Italia”, dirà. Un’Italia che si ritrova ancora una volta, ferita e incredula, davanti alle proprie macerie.

“Non c’è silenzio – scriveva ancora Repubblica – ma un brusio continuo, arrivano centinaia di persone per vedere quello che è successo, la gente chiede, vuol sapere, non si rassegna alle vaghe notizie del servizio d’ordine che blocca via Palestro da piazza Cavour a via Marina. C’è molta rabbia, molto dolore (…) Il procuratore capo Francesco Saverio Borrelli, il sostituto del pool mani Pulite Gherardo Colombo, il prefetto, i responsabili della polizia, dei carabinieri, gli uomini dell’antiterrorismo continuano a restare là, a fissare le fiamme, a chiedersi perché è successo, chi vuole trasformare la città in trincea”.

Chi vuole trasformare il Paese in trincea.

 

Fonte: collettiva.it