Di Ilaria Romeo
È notte, quel 4 agosto 1974, quando nei pressi della stazione di San Benedetto Val di Sambro, una bomba esplode sull’Espresso 1486 diretto a Monaco di Baviera. Moriranno dodici persone. È la strategia della tensione. La stessa di Piazza Fontana e Piazza della Loggia
Negli anni ’70, agosto è il mese delle ferie e del tutto chiuso. È il mese del ritorno dei migranti italiani verso le loro radici, ma è anche il mese delle stragi: quella del treno Italicus del 4 agosto 1974, della stazione di Bologna del 2 agosto 1980 (sempre ad agosto – si dice – doveva scattare il golpe di Edgardo Sogno).
Attorno all’una del mattino del 4 agosto 1974, all’uscita dalla galleria degli Appennini, nei pressi della stazione di San Benedetto Val di Sambro (Bologna), un ordigno ad alto potenziale esplode nella quinta vettura del treno Espresso 1486 Italicus diretto a Monaco di Baviera, determinando la morte di 12 viaggiatori e il ferimento di moltissimi altri.
Tre delle vittime sono cittadini stranieri: Herbert Kontriner, 35 anni di nazionalità tedesca, Fukada Tsugufumi, giapponese di 31 anni, e l’olandese Jacobus Wilhelmus Haneman, di 19 anni. L’ordigno pone fine anche alla vita di tre membri della famiglia Russo di Merano, che si stava recando a Ferrara per le cure di cui aveva bisogno il figlio quattordicenne Marco. Ultima vittima accertata, Silver Sirotti, ferroviere conduttore delle Ferrovie dello Stato, insignito di medaglia d’oro al valor civile alla memoria per aver tentato di soccorrere i viaggiatori coinvolti nella strage.
L’attentato viene rivendicato con un volantino che recita: “Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare (…) seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti”.
“Il vagone dilaniato dall’esplosione sembra friggere – scriverà l’Unità – gli spruzzi degli schiumogeni vi rimbalzano su. Su tutta la zona aleggia l’odore dolciastro e nauseabondo della morte. Le fiamme erano altissime e abbaglianti. Nella vettura incendiata c’era gente che si muoveva. Vedevamo le loro sagome e le loro espressioni terrorizzate, ma non potevamo fare niente poiché le lamiere esterne erano incandescenti”.
La seduta della Camera dei deputati del giorno successivo è sospesa in segno di lutto. Il presidente Sandro Pertini sarà tristemente e nuovamente costretto a dire:
Onorevoli colleghi, ancora una volta ci raccogliamo e pieghiamo commossi e sdegnati sulle vittime innocenti e le enormi sofferenze causate da una nuova efferata e cinica strage. Vittime innocenti e ignare sono cadute stroncate dall’attuazione di un lucido disegno che, da piazza Fontana a Milano a piazza della Loggia a Brescia, sul treno a San Benedetto in Val di Sambro rivela gli obiettivi di una unica strategia: utilizzare la tensione, il terrore e la strage per sovvertire con la violenza le istituzioni della nostra Repubblica democratica e antifascista. Con animo ferito e profondamente commosso esprimiamo, a nome del popolo italiano che qui rappresentiamo, il nostro intimo cordoglio ai parenti delle vittime innocenti e la nostra piena, umana, affettuosa solidarietà ai feriti e ai loro congiunti così duramente colpiti da questa infame tragedia. Ma commozione, esecrazione e sdegno rimarrebbero sterili e vuote parole se non fossero seguiti dall’impegno operante di stroncare e chiudere definitivamente questa inumana catena di orrendi delitti. Occorrono azioni decisive e risolutive contro chi è mosso da un odio tanto tenace: l’odio per la democrazia e la pace sociale, l’odio per le nostre libere istituzioni che rappresentano il popolo e quindi l’odio verso il nostro popolo stesso, che tante prove ha saputo dare e dà di civile convivenza, di democratica unità, di profonda, unitaria coscienza antifascista.
Il 9 agosto si svolgono a Bologna i funerali di Stato. I carri funebri arrivano alla Basilica di San Petronio. Tra le autorità presenti, Enrico Berlinguer e Amintore Fanfani. In aereo giunge anche il Presidente della Repubblica Giovanni Leone.
“Quanti erano? – scriverà l’Unità – Centocinquanta, duecentomila: una folla immensa, quella che Bologna ha accolto venerdì pomeriggio perché all’estremo omaggio reso alle vittime della strage fascista fosse tributato il saluto della gente, dei lavoratori (…) Bologna a lutto ha accolto la folla. L’intera città, per tutta la durata delle onoranze, si è fermata. Non un negozio aperto, su ogni saracinesca abbassata un nastro nero, bandiere abbrunate su tutti gli edifici pubblici e le sedi dei partiti, persino sui tram. (…) Ci sono momenti in cui si coagulano i sentimenti, le amarezze, le energie e le aspirazioni degli individui, e divengono un fatto collettivo, palpabile: la manifestazione di Bologna ha costituito uno di quei momenti”.
“Avrebbe potuto essere una strage spaventosa, uno dei più apocalittici massacri che una mente criminale abbia mai ordito – scriverà il 14 agosto Mario Doplicher su Giorni. Vie Nuove – La bomba era disposta su un treno che correva in una notte afosa d’agosto trasportando quasi mille persone; come camera di scoppio era stata scelta la galleria dell’Appennino, che con i suoi diciotto chilometri e mezzo avrebbe moltiplicato e ingigantito gli effetti dell’esplosione; (…) invece, per fortuna, il treno, come spesso accade d’estate, è in ritardo, e all’1.23, quando avviene lo scoppio, la quinta vettura – una carrozza delle ferrovie tedesche su cui era stato sistemato l’ordigno – si trova a soli cinquanta metri dall’uscita della galleria. Così, grazie alla forza d’inerzia il treno riesce a raggiungere la stazioncina di San Benedetto Val di Sambro con una sola carrozza in fiamme”.
La strage, purtroppo, si consumerà pochi anni dopo. Sempre ad agosto. Sempre a Bologna.
Agosto. Che caldo, che fumo, Che odore di brace. Non ci vuole molto a capire Che è stata una strage, Non ci vuole molto a capire che niente, Niente è cambiato Da quel quarto piano in questura, Da quella finestra. Un treno è saltato.
Fonte: collettiva.it/