La storia di Mae Jemison, la prima donna afrodiscendente ad andare nello spazio


Astronauta ma anche medico, volontaria dei Peace Corps, insegnante, ingegnere, ballerina e fondatrice di un’azienda tecnologica e di un’organizzazione no-profit

Mae Jemison nacque il 17 ottobre 1956 a Decatur, Alabama, negli Stati Uniti. Sua madre Dorothy Green era un’insegnante di inglese e matematica e suo padre Charlie Jemison, un supervisore della manutenzione. Quando aveva 13 anni, insieme a milioni di altre persone, assistette allo sbarco sulla Luna, guardando in TV le missioni Apollo. “Da piccola, cresciuta nella parte sud di Chicago negli anni ’60, ho sempre saputo che sarei stata nello spazio”, ha detto dal podio nella sala conferenze di Richard White. “Il tenente Uhura di Star Trek, un personaggio afroamericano della fantascienza, mi ha incoraggiata a raggiungere letteralmente le stelle”.

Per realizzare il suo sogno, Mae Jemison fece un percorso incredibile. A soli 16 anni entrò alla Stanford University, nel 1977 si laureò in Ingegneria Chimica. Nel 1981 alla Cornell University si laureò in medicina e fece volontariato a Cuba, in Kenya e in Thailandia. Dopo la laurea, per due anni entrò a far parte dei Peace Corps e lavorò come Area Medical Officer in Sierra Leone e Liberia, dove era responsabile della gestione del sistema sanitario che serviva i Peace Corps.

Mentre era in Africa occidentale, sviluppò anche studi di ricerca sulla schistosomiasi, la rabbia e un vaccino contro l’epatite B.Nel suo tempo libero, mentre frequentava l’università, imparò correntemente lo swahili, il giapponese e il russo, prese lezioni di ballo con l’Alvin Ailey American Dance Theatre. Sebbene non sia mai diventata una ballerina professionista.

Verso lo spazio

Nel 1983 Guion Bluford divenne il primo astronauta afroamericano a viaggiare nello spazio e nel 1985 Mae Jemison prese coraggio e decise di fare domanda per il programma di addestramento della NASA. Mae fu scelta nel 1987 tra 2000 candidati. Arrivata alla Nasa, lavorò in Florida con il Kennedy Space Center, al lancio delle prime navette dopo l’incidente del Challenger e il 12 settembre 1992 il suo sogno si avverò. Partì per lo spazio e trascorse ben 190 ore, 30 minuti e 23 secondi a bordo dello Space Shuttle Endeavour. Qui, nella sua prima e unica missione, STS-47 Spacelab-J, condusse più di 40 esperimenti tra cui uno studio sui girini e sulle cellule ossee.

Un messaggio importante

Mae, in questo viaggio, non partì solo con altri colleghi ma portò con sé oggetti molto significativi per lei: una foto di Bessie Coleman, la prima donna afroamericana a ottenere una licenza di pilota, un poster di Alvin Ailey della ballerina Judith Jamison che esegue la danza caratteristica Cry, una statua di Bundu della società femminile dell’Africa occidentale e una bandiera della confraternita Alpha Kappa Alpha, la più antica confraternita femminile afroamericana negli Stati Uniti.

Decise di portare questi oggetti perché voleva ricordare al mondo che lo spazio è di tutti e non di un gruppo e che spesso ci si dimentica che gli africani e gli afrodiscendenti hanno bramato lo spazio, contributo alla scienza e hanno esplorato i cieli: “Potremmo non voler andare tutti, ma tutti vogliamo sapere com’è. Fa parte del nostro desiderio più profondo come esseri umani. Fondamentalmente vogliamo sapere chi siamo e da dove veniamo”.

“Quando mi viene chiesto dell’importanza per i neri di quello che faccio, lo prendo come un affronto. Presuppone che i neri non siano mai stati coinvolti nell’esplorazione dei cieli, ma non è così. Gli antichi imperi africani – Mali, Songhai, Egitto – avevano scienziati e astronomi. Il fatto è che lo spazio e le sue risorse appartengono a tutti noi, non a nessun gruppo”.

Lo sguardo alle generazioni future

Jemison aveva sempre saputo di voler diventare una scienziata. Entrambi i suoi genitori sostennero il suo interesse per la scienza ma non ebbe lo stesso sostegno dai suoi insegnanti.Mae Jemison infatti raccontò un episodio che la segnò profondamente:  “All’asilo il mio insegnante mi chiese, in realtà chiese a tutta la classe, ora cosa vuoi fare da grande? E io risposi: ‘Voglio essere uno scienziato.’ E lei mi disse: ‘Non intendi un’infermiera?’ Ora, chiaramente, non c’è alcun problema con l’essere infermiera. Ma il problema allora era che questa era l’unica cosa che vedeva crescere una bambina, che aveva qualcosa a che fare con le scienze. Quindi stava cercando di aiutarmi a guidarmi e consigliarmi, e… su ciò che era possibile. Ma in realtà ho messo le mani sui fianchi e ho detto: No, intendo uno scienziato”.

Questo fu uno dei motivi per cui Mae Jemison dopo aver lasciato la Nasa, nel 1993 decise di fondare programmi per sensibilizzare i giovani alle Stem: “A volte le persone hanno già deciso chi sei senza che la tua storia risplenda. Tu, non permettere a nessuno di privarti della tua immaginazione, della tua creatività o della tua curiosità. È il tuo posto nel mondo; è la tua vita. Continua e fai tutto il possibile con esso, e rendilo la vita che vuoi vivere. Non essere mai limitato dalle limitate immaginazioni di altre persone … Se adotti i loro atteggiamenti, allora la possibilità non esisterà perché l’avrai già escluso … Puoi sentire la saggezza degli altri, ma devi rivalutare il mondo per te.” Se Mae Jemison avesse accettato la visione che il suo insegnante aveva di lei forse oggi non sarebbe diventata ciò che è oggi, una scienziata che grazie a ciò che ha compiuto riesce a ispirare e a far credere ad altri giovani che realizzare i propri sogni è possibile, se in primis siamo noi a crederlo.

Mae Jemison è anche la fondatrice di “ Jemison Group”, una società di consulenza e ricerca per sviluppare la scienza e la tecnologia per la vita di tutti i giorni. Allo stesso tempo ha fondato una fondazione “Dorothy Jemison Foundation for Excellence”, in onore di sua madre. Uno dei progetti della fondazione è “The Earth We Share”, un campo di scienze internazionale per studenti dai 12 ai 16 anni. Oggi, Mae Jemison potrebbe essere meglio conosciuta come la prima astronauta afroamericana a viaggiare nello spazio ma un giorno potrebbe essere conosciuta per qualcosa di molto più monumentale. Jemison è l’attuale presidente di “100 Year Starship”, un programma destinato a far viaggiare entro 100 anni gli esseri umani oltre il nostro sistema solare.

fonte: https://www.wired.it/