La storia della diga Comunelli in Sicilia che spreca l'acqua in mare 


AGI – Questa è una storia di sprechi, dissesto e speranze deluse di una Sicilia che, più dell’assistenzialismo, avrebbe bisogno d’infrastrutture: la protagonista è ancora lei, l’acqua, sulla quale nell’isola da secoli galleggiano inefficienze e ruberie mentre affondano la fatica del lavoro umano e prospettive di sviluppo.

Le piogge abbondanti che nei giorni scorsi hanno devastato l’isola, avrebbero potuto avere un lato positivo sul piano dell’approvvigionamento idrico, ma l’acqua che cade dal cielo finisce, semplicemente, nel mare.

È quanto accade a Butera, nel Nisseno, dove sorge la diga Comunelli, chiamata a servire una vasta piana in cui sono insediate centinaia di aziende agricole. Da anni gli imprenditori agricoli che hanno insediato le loro cooperative in quella zona sono sul piede di guerra perché vedono vanificare gli sforzi fatti. 

Nella diga confluiscono i torrenti Comunelli, che percorre l’entroterra della provincia di Caltanissetta e arriva fino all’invaso, e Rizzuto, che attraversa gran parte della provincia di Agrigento.

La diga ha una capacità di 6 milioni di metri cubi d’acqua, ma a causa dell’interramento dello scarico di fondo può contenerne pochissima.

Quando venne realizzato l’invaso in contrada Tenutella, la Regione spese miliardi di lire per modulare le prese e creare delle gallerie per il torrente Rizzuto, da cui nei giorni scorsi, è arrivata una grossa quantità di acqua.

La destinazione di quest’ultima, però, è stata il mare e non l’agricoltura, che ne avrebbe disperato bisogno. Da anni, infatti, la diga Comunelli è all’attenzione dell’assessorato regionale all’Energia che attraverso lavori di manutenzione straordinaria vorrebbe liberare lo scarico a fondo per tornare alla piena capacità di contenimento.

L’ingegnere incaricato della progettazione ha concluso il suo lavoro, sono state effettuate anche indagini sulle “spalle” dell’invaso. Si attendono i famosi finanziamenti del Patto per il sud per completare l’opera.

Da vent’anni a questa parte la zona a sud e a ovest della diga Comunelli è diventata prevalentemente area di una industria agricola.

Vi sono aziende costituite dai gelesi e dai licatesi, che in questa vasta zona trasformata hanno realizzato carciofeti e serre, ma l’acqua di cui potrebbero usufruire non viene immessa nella tubazione del consorzio di Bonifica di Gela per l’irrigazione.

Gli imprenditori agricoli per far sentire il loro disagio hanno istituto un comitato per la salvaguardia della diga Comunelli. Al vertice c’è Pino Marrali, imprenditore di Licata, che con tanti altri colleghi cerca di far sentire il disagio di chi investe denaro e crea occupazione e poi si ritrova a dover fare i conti con la carenza idrica.

“Siamo disposti a pagare l’acqua. È impensabile che una grande diga come quella di Comunelli – afferma all’AGI l’imprenditore – non possa invasare tanta acqua così come quando è stata progettata. C’è lo sfiato che ben funziona qualora il livello idrico dovesse essere raggiunto: mi chiedo per quali ragioni ancora la Regione non prenda un serio provvedimento per garantire noi imprenditori che creiamo occupazione”.

La cooperativa di cui è a capo Marrali conta oltre 100 dipendenti tra produzione serricola e imballaggio perché quanto viene prodotto in Sicilia viene facilmente piazzato nel mercato internazionale dell’ortofrutta. Alla fine è toccato a Marali e agli altri imprenditori realizzare gli invasi.

“Grazie alle somme della Regione”, afferma uno di loro. “Ma per riempirli – aggiunge – non sappiamo a chi rivolgerci”.

Per cercare di ovviare a questo problema c’è stato chi lungo la piana, lì dove un giorno dovrebbe sorgere la tangenziale di Gela, ha creato una condotta lunga chilometri per interconnettere gli invasi artificiali e non rimanere senz’acqua. Strano ma vero.

Poi ci sono imprenditori che hanno trovato una soluzione, un po’ più rudimentale ma che porta ugualmente a un buon risultato: creare dei canali naturali affinché l’acqua del torrente Rizzuto invece di finire nella diga Comune, e poi a mare, confluisca direttamente negli invasi artificiali.

Soluzioni “fai da te”, è vero, per evitare che i terreni abbiano sete durante le calde stagioni. Altri imprenditori, invece, si sono allacciati abusivamente alla condotta idrica di Sicilacque per avere i laghetti artificiali sempre pieni, ma tutto avveniva a danno della comunità di Licata. Lo scorso 5 agosto sono stati raggiunti da ordinanza emessa dal Gip del Tribunale di Gela.

“Le dighe e gli invasi del territorio gelese, Comunelli, Cimia e Disueri – sottolinea Peppe Randazzo segretario provinciale della Flai Cgil – potenzialmente potrebbero invasare più di 40 milioni di metri cubi di acqua ma per la mancata manutenzione e la mancanza di progetti per la loro messa in sicurezza, riducono al 20% la loro capacità. Una situazione non più tollerabile. Non serve a nulla la politica dell’approssimazione, non servono gli interventi di somma urgenza. Bisogna migliorare e potenziare i servizi all’agricoltura rilanciando il ruolo e la funzione dei consorzi di bonifica. L’acqua è un bene pubblico e tale deve rimanere. La Regione deve dunque farsi carico della gestione”.

Source: agi