Luana d’Orazio aveva 22 anni, era mamma di un bimbo di cinque, e lavorava a Oste di Montemurlo in una fabbrica che portava il nome della sua vita ma anche quello della sua morte. L’azienda infatti si chiama Orditura Luana: come il suo nome e come quello dell’orditoio che le ha procurato una fine orribile.
Secondo le prime ricostruzioni la giovane sarebbe rimasta uccisa intrappolata nel macchinario perché trascinata dal rullo. Un collega, vicino ma girato di spalle, afferma di non aver neppure sentito grida con richieste di aiuto: l’allarme, dato immediatamente, è stato utile solo a constatare l’inevitabile decesso.
Mentre la magistratura dispone le indagini, la politica nella persona del presidente della Regione Toscana Eugenio Giani ribadisce la volontà di “non far venir meno la scelta di investire sui controlli, sulla prevenzione e sulla cultura diffusa della sicurezza”, i sindacati ricordano che, in poche settimane, questo è il secondo incidente mortale avvenuto nell’ambito dell’industria tessile. Lì vicino infatti, tra Prato e Pistoia, il 2 febbraio scorso era già avvenuta la morte di Sabri Jaballah, 23 anni, schiacciato da una pressa.
L’unica prevenzione efficace è quella che, attraverso apposite barriere, rende materialmente impossibile l’errore umano: in questo caso avvicinarsi ad organi in rotazione che possano schiacciare, intrappolare, prendere, impigliare tessuti. Le indagini stabiliranno le responsabilità ma occasioni come queste devono almeno aiutarci a crescere nella cultura del “lavoro sicuro”, ovvero la convinzione che la sicurezza è elemento fondante per la dignità del lavoro, la qualità della vita e una società più giusta.
La cultura è necessaria perché i nostri comportamenti dipendono dalle nostre convinzioni. Mentre le norme legislative tendono a seguire in maniera sempre più stretta il criterio di massima sicurezza che ho enunciato più sopra può accadere che alcuni nostri comportamenti rendano la tragedia possibile. Non mi riferisco a un caso come questo per il quale le indagini sono ancora in corso ma non è raro che, per rendere più facile il lavoro, gli operatori disattivino gli accorgimenti utilizzati dai costruttori della macchina per renderla sicura.
Quante volte d’estate in un cantiere all’aperto capita che un operaio si tolga il casco a ragione del caldo? È solo un esempio: in quel caso intervengono immediatamente sanzioni anche gravissime, ma il rischio c’è. Non ne vale la pena, ricordiamocelo. Non dobbiamo correre nessun rischio che metta in pericolo la nostra vita e la felicità delle persone che amiamo.
Source: agi